Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro V/Capitolo XLIV

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Capitolo XLIV

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Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Capitolo XLIV
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i;’i’es.sii iiiairo: vfMiientibiis,sesp sponte ofîerimt. et simulata debilitate ve! pedum vel alaruin, quasi statini capi possi iit, )j;rcssus flngunt tardiores: hoc mendacio sollicitant obvios et eludunt, quoad provecti lougius a nidis avocentur (Solintis, cap. XII).

Plinio racconta nò più nò meno, nel libro X cap. XXXIII.

Dopo Plinio, tutti i naturalisti hanno curiosi aneddoti intorno all’amore della pernice maschio per la compagna; o di ambi, ed in modo speciale della madre, per la tenera prole. Mette anche in pericolo se stessa, per difendere e salvare la sua nidiata. I maschi si battono cavallerescamente per la femmina amata.

La pernice d’Italia (perdio cinerea), chiamasi un eli e starna.

Capitolo XXXII.

Il pappagallo, psittacu), abbonda nei (ìaesi posti fra 1 tropici; molti ne sono i generi. Brunetto dice, che i pappagalli vengono dall’India, essendo questa la regiojie onde gli ebbero prima i Greci, probabilmente all’epoca della spedizione di Alessandro il macedone. Il paleornide di Alessandro, pare sia l’uccello spedito dall’isola di Ceilan al conquistatore,

del rjnale conservò j) nome, l lìoniaiii do()o [p. 301 modifica]

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1 Greci no possedevano in oi»ia; i’ li i iccndano sovente

i loro.scrittori.

lìruiietlo;()n)i)en(lin (piolo cacitolo tl.il LW di Solino.

Capitolo XXXIII.

Secondo il Jiution, il pavone fu introdotto in Grecia da Alessandro il jurande, che tras()ortollo dall’ India. 1 pii’i probabile l’ossevi introdotto ()rinia, torse al tempo di Pericle. Aristofane lo ricorda negli Accn-ncsi, e negli Uccelli, comédie ra()presentate in Atene, la prima nell’anno terzo dell’olimpiade 88, e la seconda neiranno.secomlo dell’olimpiade 91. Ateneo lo dice ricordato da scrittori antichi: Aristotile no parla come d’uccello assai noto. Era cibo squisito nei pranzi dei Romani, e poi dell’età di mezzo, imband(Mi(lolo coperto delle sue penne.

Capitolo XXXIV.

L’tisignuolo e la tortora sono gli uccelli i)rediIftti dagli innamorati malinconici. È proverbiale la ledei tà comunemente attribuita alla tortora vedova del com;Kagiio. Virgilio nel liiìi’o IV delle Georgiche,

narrando il jìateiico episodio dì AiTStoo. fece [p. 302 modifica]
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una ipotiposi insuperabile dell’usignuolo, che piange

soavemente cantando all’ombra del pioppo: Nelle Egioche allude alla tortorella, che geme solitaria sull’alta cima dell’olmo. Anche le piante accennate dal poeta accrescono bellezza malinconica e leggiadria sentimentale alla descrizione. Era il ìuaesiro e l’cm tore di Dante.

Ancora sul Capitolo XXXIV.

Postilla del Sorio.

«Il testo francese capitolare: son ni covre de follie de squille (testo Chabaille, d’esquille) por le lu (t Chab. lous, altri louj qui ne foche ses faons (altri, puigoins). Car lu (altri lou) n’ose aler la cu cele herbe soit. La voce italiana sachiel sembra dichiarata falsa dal testo originale francese de follie de squille. Ma in questo si trova la bestia lu, inimica della tortora. Il ms. Berg. traduce lo luino; ma forse scrisse per vaga iudovinaglia il traduttore bergamasco. Che dirne? Plinio nel libro X cap. 95 ediz. dell’Arduino, dice che sono nemici fra loro turtur et pyralis. Qiiae sii autem pyralis, nondum compertum, osserva il p. Arduino. Nulla di ciò riferisce

Alberto Mao’no. Auclic ii Solino ne tace.» [p. 303 modifica]

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Caimtolo XXX\ 1.

(Hi.’iiitichi ()aragouaroiio lo struzzo al camello, perchè vive nel deserto, è molto alto, sopporta per lungo tempo la sete, ed ha il piede bisolco. Ha pure affinità di organi digestivi con quelli de’ ruminanti. Gli Orientali lo dicono uccello-camello: i Greci, (rroi/ÔOK«/ur)»iXç: Plinio, struthio camelus, nome ripetuto da Linneo.

Gli Orientali attribuirono a disamore dello struzzo per la sua prole, l’abbandono ch’egli fa delle ova nella sabbia. La Bibbia vi allude sovente. Filia populi mei, quasi struthio in deserto, lamentava nei treni il profeta Geremia.

A.ncoi*a sul Capitolo XXXVI.

Postilla del Sorio.

«I mss. francesi hanno saìig: ma credo essere il sera fsevutn struthio camelinum ) così utile in medicina. Vedi Plinio lib. IX cap. 30, e la nota del p. Arduino 19: stìHithionis sevum ad inulta esse medicamenta utile, etiam Philo pìodidit: Lib. de (ini mal. 2*"opriet. pag. 28. La stampa francese 1863 conferma la mia congettura: r\ gras rst mvlt profit

aì)U’.» [p. 304 modifica]
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Capitolo XXXVII.


La Crusca legge scerpasolea, dove le stampe leggono scerpafolea. Così il Sorio, il quale aggiunge: Di queste frodi del cuculo ragiona anche Plinio lib. X cap. 25, ed Aristotele libro VI e IX Hyst. Nat. Quindi il latino cuculus metaforicamente.

Il cuculo, o cucco, pronuncia così nettamente le due sillabe che gli dànno il nome, che in tutte le lingue può citarsi come esempio incontrastabilissimo di onomatopeja. In greco κοκυ, in latino cuculus, in italiano cucco, in tedesco kuckuck, in francese coucou, in inglese cuckooc, ecc.

Ancora sul Capitolo XXXVII.


Postilla del Sorio:

«Il ms. Ambr. sterpassola; la Crusca: scerpasolea. Plinio lib. X cap. 11 semperque parit in alienis, maxime palumbium. Il p. Arduino nella sua postilla 8 così nomina questo uccelletto: corruca, scilicet la fauvette: Graecis έπιλαις, vel ύπολαις, aut alia quaelibet avis, cujus in nido cuculus ova ponit.

V. Forcellini, cuculus[p. 305 modifica]

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Capitolo XXX Vili.

Il riiJfOfiolo (o)’iohisj nei dialclli nostri si chiama, gola, bocca fico, brusola, gaìbc(h-o, ga) -bella, giallone e gravalo gentile. Venendo lì-a noi alla stagione in cui sono maturi i lichi, de’ quali è ghiotto, come di altre (ruttai, i contadini toscani proverbiano, che il suo canto vuol diro: (’(unpagnuolo, è ma (tiro lo fico. In alcuno rcjioiii di l’rancia lo traducono invece: e’ cs/ le cotnjirrr lovirf, qui ìiiange 1rs cerises, et laisse le noì/an. Si augiungano alh novollc di sor Brunetto.

Capitolo XXXIX.

li picchio l’insettivoro, o mangia d’ordinario formiche e larve di coleotteri, che cerca sugli alberi, e sotto la loro corteccia. Si arrampica sulle piante con destrezza ammirabile. Ne percuote la corteccia col becco durissimo, per farne uscire gli insetti. Dal suono che manda il ramo, conoscendo che vi sono appiattate le larve dei coleotteri; col becco, fatto alla cima a foggia di scarpello, apre un I)ertugio, por lo ((uale fa entrare la lingua lunghissima..’

’ol dardo coì-noo, con denti ri\olti indietro [p. 306 modifica]
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di cui è armata la punta, trafigge, e tira fuori la

larva. Quando i picchi a far ciò sono in qualche numero, empiono il bosco di strano romore. Essendo molle e viscosa l’altra parte della superficie della lingua, con essa prendono le formiche, insinuandola nella apertura de’ formicai. Talvolta le prendono mentre a schiere vanno e vengono dalle loro tane. A ciò si riducono i portenti narrati dal nostro maestro.

Nei boschi della provincia di Verona questo uccello è chiamato ingozzo, e spizzòccaro. Il primo nome deriva da ’picus: il secondo da sjniz, "punta, che si riferisce al suo becco. Nei paesi stessi è chiamato spizzucchino, il tagliapietra, che spizzucca i marmi.

Picchio, pigozzo, spizzocaro hanno visibilmente una medesima radice onomatopeica.

Capitolo XLI.

Questo capitolo è compendiato dal cap. XL di Solino.

Le stampe leggono: «Il leone ch’è forte e orgoglioso sopra tutte le cose, e per la sua fierezza è sì fetido ciascun dì, che ispezza la sua gran crudeltade ecc.» La stampa del 1474 legge fedito. Il ms. Ambrosiano, legge ferito. Il Serio crede, che Bono scrivesse fedito (corrotto poi in fetido), leggendo

nel t: «Et quo par sa grani fìorto osi si plaio [p. 307 modifica]

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tous jors» anzi clic «Et ((uo par.sa (raut liortc

onsit proie tous jors etc.»

Il Carrer: «Lezioue che non iiiiciido. L’adotta tuttavia la Crusca, recando il passo ad esempio della voce fetido, per jìuzzolente, jdeiio di fetore.»

L’errore fu corretto, secondo il t.

11 leone «logli antichi è l’archetipo della forza e della generosità. Anche il Butfon h pieno d" entusianio, ed esalta poeticamente

Il Itioiido iniperadur della foresta.

Sono celebri i ìW\ì’ luogiii di Dante:

Questi parea che ’iicoutro a me venesse
Con la test’alta, e con rabbiosa fame,
Sì che parea che l’aer ne temesse

(Inf 1.)

Solo guardando
A guisa di leon quandn si posa

(Purg. VL)

verso copiato dal Tasso nella Germalernme Liberata,

canto X stanza r0. [p. 308 modifica]
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Capitolo XLII.

Postilla del Sorio.

«Questo animale anteleus, così chiamato da tutti i testi ch’io vidi, io non trovai registrato in nessuna scrittura. In Alberto Magno trovo questo animale medesimo, ma sotto il nome calopus. Tractatus II de animalibus cap. 2, e quanto ne dice il maestro Brunetto riferisce anche Alberto.

Capitolo XLIII.

Il capitolo parla dell’asino domestico e del salvatico, quantunque con maggior estensione ragioni del secondo. Il francese asne, significa asino in genere. Così nel l’è intitolato il capitolo. Se volevasi conservare il francese as7ie, non era ragionevole accodarvi ovvero asino salvatico.

Che in origine fosse scritto: asne, o vero asino, e asino salvatico?

Il Monti, nella Proposta, alla voce onagro, ride

anche su questo arnes della vecchia Crusca. [p. 309 modifica]

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:M)\»

Capitolo XLIV.

Postilla il Sorio: Questo caiitolo ò tratto in parte da Palladio, Tif. XI Marlius.

Brunetto scrive: Lun(a la schieua, diritta e piena (forae ()iana), le gambe lunghe, e dure uerhora, e piccole unghie, e coda grande e pilosa, e tutti i peli (alias, polsi) del corpo bene disposti, cioè corti e spessi. E sia di pelo rosso.

Palladio: «Dorso recto et plano, cruribus solidis, nervosis et l)revibus, ungulis magnis, caudis longis ac setosis, pilo totius corporis denso ac brevi, rubei maxime coloris aut fusci.»

Virgolò questo passo il maeti(ì Krunotìo diversamente, e ne esce variato il concetto.

Capitolo XLV.

La donnola in Italia.’ detta anche hallotuìa, e hrìinla. È la mustela dei Latini, in cui è evidente la radice miia, muris, conservata nel morècciola, o sorciolino, dei Veneti. È la conuidreja degli Spagn noli: la (lonìinha dei Portoghesi: la vnzd dei Tedeschi; la loeasel degli Inglesi: la ìiymphliza, cioè sposina, dei Greci moderni.