Il buon cuore - Anno IX, n. 26 - 25 giugno 1910/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Beneficenza Religione

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Circolare. di S. E. l’on. Luzzati

contro le pubblicazioni oscene

Della energia, della rettitudine e di altre doti eminenti dell’on. Presidente del Consiglio dei Ministri parla altamente la seguente circolare, che pubblichiamo nella speranza non rimanga lettera morta e trovi invece doveroso compimento nelle autorità a cui spetta la perseverante difesa della morale minata dalle vergognose speculazioni della stampa oscena.

«Nella recente discussione alla Camera dei deputati sul bilancio del Ministero dell’Interno, parecchi oratori hanno richiamato l’attenzione del Governo sulla necessità di opporre un argine alla diffusione degli eccitamenti al mal costume provocato da pubblicazioni oscene, riproduzioni fotografiche, cartoline illustrate, figure, disegni e scritti offensivi della morale e della pubblica decenza.

«Il guaio lamentato è purtroppo vero: io stesso ho potuto convincermene tanto che, anche prima della discussione accennata sopra, avevo determinato di dare disposizioni energiche per la pronta repressione di questa intensa attività corruttrice, persuaso che il Governo non debba rimanere inerte di fronte alla gravezza dei pericoli derivanti da siffatta opera funesta, se, come non può mettersi in dubbio, lo Stato è il più alto tutore della pubblica moralità.

«Aggiungasi che le pubblicazioni e le stampe pornografiche non si limitano a violare una norma astratta di morale e di diritto obbiettivo, e non sono pregiudizievoli soltanto agli adulti, ma possono contaminare e pervertire l’animo della gioventù alla cui purezza tutte le forze morali della società devono cooperare in modo energico ed efficace nell’intento di raggiungere uno dei più elevati compiti di civile educazione.

«Il Governo, come ho già avuto occasione di dichiarare alla Camera dei deputati, ha disposto perchè dalla Amministrazione delle ferrovie dello Stato si provveda a proibire ai concessionari per la vendita di giornali e di libri nelle stazioni la divulgazione di stampe di incisioni contrarie alla morale, mettendo a effetto la speciale clausola inserita nei contratti che determina la decadenza della concessione in caso di infrazione del divieto. Ma ciò non basta; occorre che le autorità di pubblica sicurezza alle quali è affidata dalla legge la tutela della pubblica decenza, spieghino la massima vigilanza la più inflessibile severità perchè sia evitato il tristo e ora non raro spettacolo di vedere sparse ed esposte senza alcun ritegno nelle pubbliche edicole e nelle vetrine dei librai figure e opuscoli osceni, la cui pubblicazione è spesso anche preannunziata mediante manifesti, studiatamente discreti, ma non per questo meno eccitanti e lascivi, dei quali gli uffici di pubblica sicurezza autorizzano l’affissione con eccessiva tolleranza.

«Senza citare tutte le varie e molteplici disposizioni sparse nelle diverse leggi che hanno per comune intento la repressione della pornografia e costituiscono, se bene applicate, un’arma efficace contro il diffondersi delle pubblicazioni immorali e oscene, mi restringerò ad accennare agli articoli 17 dell’editto Albertino 26 marzo 1848 sulla stampa, 64 della legge sulla pubblica sicurezza e 389 del Codice penale, ricordando anche che la legge 28 giugno 1906 ha conservato la facoltà di procedere al sequestro preventivo dell’edizione per gli stampati oggetti offensivi del buon costume o del pudore.

«Ho la ferma fiducia che ove le autorità di pubblica sicurezza spieghino un’azione di vigilanza e di repressione nei limiti concessi dalle leggi in vigore, più energica, perspicace e continua di quanto hanno fatto fino ad ora, potrà facilmente scomparire o scemare il doloroso fenomeno che Parlamento e Governo, interpreti sicuri della pubblica opinione, non corrotta, sono concordi nel deplorare e nel volere gradatamente escludere pel bene del paese e per la sua progressiva elevazione morale e civile».

Accademia musicale nell’Istituto dei Ciechi


Il 19 corrente nel Salone dei Ciechi, alla presenza di Autorità scolastiche e di un pubblico numeroso e intelligente, il maestro Roberto Negri diede un saggio del suo metodo razionale per l’insegnamento del canto nelle scuole elementari.

Circa 300 alunne e alunni delle scuole Comunali di Via F. Casati, Galvani, Palermo, Rugabella e Spiga eseguirono parecchi canti molto opportunamente scelti dal loro maestro.

Ogni scuola poi eseguì un solfeggio, e non fu questa la parte meno attraente del bel programma, perchè tutti poterono convincersi che quei piccoli esecutori sapevano leggere la loro tavola musicale e interpretarla esattamente.

Il maestro Negri volle anche brevemente spiegare il suo metodo, mostrando in pratica come egli lo applichi.

Tra i pezzi cantati non si può dire quale sia stato il più bello e il meglio eseguito perchè tutti piacquero e di tutti si sarebbe voluto il bis.

Gli allievi ciechi Romanelli e Fiorentini, tra la prima e la seconda parte suonarono due pezzi, che furono molto applauditi, specialmente dai piccoli cantanti, ai quali non pareva vero che si potesse suonar così bene, quando non si può leggere la musica.

Chiuse il trattenimento il Canto delle Spighe, un pezzo nel quale si riassumono le difficoltà che il maestro Negri fa affrontare e riesce a far superare ai suoi allievi, e la Marcia Reale che fu riudita con gran piacere, perchè interpretata con finezza e con calore veramente eccezionali.

I Direttori e le Direttrici delle Scuole di Milano nelle quali s’insegna il canto col metodo del maestro Negri, sono lieti che sia stata riconosciuta pubblicamente la bontà di tale metodo e si augurano che l’Autorità Comunale continui a favorire chi è in grado di dare ai piccoli scolari un insegnamento razionale, serio, che [p. 205 modifica] potrà esser loro davvero utile, anche come preparazione a uno studio più profondo, e che non può, in nessun modo pregiudicare le loro condizioni fisiche, perchè non esige sforzi superiori alla loro età.

Che se il canto insegnato nelle scuole elementari con un vero metodo e un fondamento scientifico potesse far nascere e prosperare anche in Italia quelle Società Corali che fanno tanto onore ad altri paesi e che sono un grande coefficiente all’educazione del popolo, il maestro Negri e chi lo coadiuva potrebbero essere davvero proclamati benemeriti, e Milano ancora una volta darebbe un esempio lodevole e imitabile.

Come ci difende uno storico Anglicano


L’ottuagenario dottor Giacomo Gairdner ha pubblicato recentemente un tal lavoro sulla genesi e il primo svilupparsi della Riforma in Inghilterra, che resterà per un pezzo la prima autorità in materia (Lollardy and the Reformation in England — Vol. 2, pp. complessive 1100; Londra, Macmillan and C.). Come lo dice il titolo, si tratta dell’associazione religiosa dei Lollardi, istituita nel 1300 ad Anversa per l’assistenza degli infermi e il seppellimento dei cadaveri, perseguitata dall’Inquisizione e considerata come eretica, e dell’Anglicanismo al suo principio. Per il fatto che l’autore, da sessantaquattro anni entrò come scrivano all’Ufficio di Registro, e prima di tutti fece la conoscenza con quegli originali documenti che occuparono in seguito la sua attenzione, possiamo immaginare quale competenza quale attendibilità abbia acquistato. E cosa strana! le sue conclusioni armonizzano con quelle degli storici cattolici, quali il Lingard e l’abate Gasquet; e contradicono alle vedute comunemente ricevute dalle sezioni della Chiesa Stabilita, l’alta e la bassa Chiesa. Nel The Month (Dic. 1908), il p. Gesuita Thurston, non facile lodatore, è entusiasta del libro e dello scrittore, che segnala a tutti gli studiosi da consultare.

Uno dei più importanti pronunciamenti del Gairdner, che riassume la principale lezione da trarre dall’opera, è subito nella prima pagina, dove è detto che non può accordarsi con quelli che ritengono la Riforma «una grande rivoluzione nazionale, espressa nella risoluta asserzione dell’Inghilterra per la sua indipendenza». E come già sentì il prof. Maitland, anche il Gairdner:non trova sostenibile che «non vi fu mai tempo in Inghilterra in cui l’autorità Papale non fosse mal sopportata» o che «l’atto decisivo del ripudio di quell’autorità seguisse in modo affatto spontaneo come risultato di lunga serie di atti somiglianti che si realizzarono fino dai tempi più antichi». Nulla, prima dell’abolizione fatta dal Parlamento, attesta la generale avversione dell’autorità spirituale di Roma; nè la nazione, prima di quella data, credette mai sarebbe stata più indipendente se la giurisdizione del Papa fosse stata rimpiazzata da quella del Re. E in ciò mirabilmente si accordano Maitland agnostico e Gairdner fedele anglicano. Sentite come si esprime quest’ultimo:

«Roma esercitava il suo potere spirituale per la libera e volonterosa obbedienza degli Inglesi in generale; e che questi riguardassero tal potere come vantaggioso anche per il controllo esercitato sopra una tirannia secolare, è un fatto che non richiede per convenirne, nessuna profonda conoscenza dell’antica letteratura inglese. Chi era il — santo e beato martire — cui vanno a cercare a Conterbury i pellegrini di Chaucer? Uno che resistette agli attentati sovrani miranti a menomare i diritti della Chiesa papale. Per quel motivo e non altro, egli morì, e per quel motivo e non altro, i pellegrini che si recarono alla sua tomba, lo riguardarono come un Santo. Fu soltanto dopo che un re abile e dispotico mostrò di essere più forte del potere spirituale di Roma, che il popolo inglese spezzò i legami di sudditanza al Papa. Ed è pure documentato che sulle prime esso popolo cessò di obbedire contro voglia.

Quale fosse poi la vera natura della contesa tra l’autorità papale e quella secolare, cui il Vescovo Creighton vorrebbe trovassimo una semplice contesa per l’indipendenza nazionale.... noi possiamo dire in modo generale che essa fu essenzialmente la stessa che si accese al tempo di Becket. Essa fu una contesa non del popolo inglese ma del Re e del suo Governo con Roma.... Quanto ai sentimenti nazionali, il popolo evidentemente riguardò la causa della Chiesa come la causa della libertà. Che la sua libertà soffrisse grave danno coll’abolizione della giurisdizione papale sotto Enrico VIII, non vi può essere dubbio di sorta».

Parlando dei Lollardi il nostro autore non dubita di sentenziare che sulla fine del decimoquinto secolo essi erano morenti, anzi dei morti. Del Wiclefftismo non ha troppa simpatia. Nessuno, che abbia attentamente seguito i particolari della carriera di Sir John Oldcastle «il più valente e degno martire di Cristo» come lo chiama Foxe, sarà tentato di girare ad altri l’enfatica espressione del panegirista. «Nessun uomo dovette piangere il fato di uno che aveva mostrato al cospetto di tutti di essere il disonore del cavalierato». L’idea socialistica Wiclefflista non condusse che a serie perturbazioni tanto in Inghilterra che in Boemia. Un Protestante partigiano come Karl Hase dice: «Wicleffo non produsse nessuna permanente religiosa impressione sulla massa del popolo. Il suo insegnamento fu male inteso e causò una rivolta di contadini che finì in disastro». Un’accusa fu trovata a carico di Oldcastle che cospirò per uccidere Enrico V suo fratello, i prelati, ecc., per abolire gli Ordini Religiosi e radere al suolo le Chiese; e quest’accusa, il nostro autore in possesso di documenti dell’epoca, la conferma pienamente.

Altro bel punto del libro del Gairdner riguarda la questione della traduzione della Bibbia, là dove si dice della parte personale di Wicleffo nel promuovere detta traduzione, e del Nuovo Testamento di Tyndele e della Bibbia di Coverdale.

Ed interessa sentire come il nostro storico si [p. 206 modifica] pronuncia sull’attitudine della Chiesa del Medio Evo riguardo alla Scrittura:

«La verità è, che la Chiesa di Roma non era contraria per nulla alla traduzione della Scrittura mettendola nelle mani del laicato colle precauzioni che fossero state giudicate del caso. Fu solo creduto necessario di vedere che nessuna traduzione non autorizzata o corretta si diffondesse, e anche in questo sembra che le autorità non si posero ad una guardia speciale finchè si allarmarono pel diffondersi della versione di Wicleffo dopo la sua morte».

Poche pagine più innanzi il dott. Gairdner tocca il midollo della questione con ammirabile chiarezza:

«Ciò che rese così soggetta ad obbiezioni all’occhio dei contemporanei la versione della Bibbia fatta da Wicleffo, non fu la corrotta traduzione o altro soggetto a censura, ma il semplice fatto d’essere composta a uso generale del laicato che sarebbe incoraggiato a interpretare a modo suo senza più riguardo ai direttori spirituali. La Chiesa non si oppose mai a che i buoni laici tenessero versioni approvate; ma il mettere tale arma, quale è la Bibbia inglese, nelle mani di uomini che non avevano riguardo per l’autorità, e che ne avrebbero usato senza sapere come farlo bene, era pericoloso non solo all’anima del lettore ma anche alla pace e alla disciplina della Chiesa».

Quando un uomo colto e coraggioso come il Gairdner, possiede così profonda conoscenza di quell’epoca e di quegli uomini, non c’e da meravigliare della traboccante simpatia per l’eroico sacrifizio fatto di sè da uomini come Fisher ed il Moro. Nel capitolo «Martiri per Roma» il nostro storico s’innalza alla sublimità dell’argomento e ci pone innanzi una narrazione che, anche dal punto letterario può sostenere il confronto coi più classici esempi d’arte di storico. Citiamo solo qualche linea per amore di brevità:

«Non possiamo leggere la storia di tali martirii, — della morte guardata in faccia con costanza e delle torture sopportate con tanta pazienza ed equanimità — senza farci una domanda, che è certo del maggior momento. Questi eroi cristiani non erano essi anche dalla parte della ragione? Portar loro una simpatia dimezzata è ignobile. Supporre che non giudicarono secondo verità il merito della causa per cui morirono, è supporre qualcosa di veramente strano nella storia de1 martirio».

Con altrettanto coraggio il Gairdner fa l’apologia delle persecuzioni di Maria la cattolica, per quanto i fatti macabri possano rivoltarlo, come rivoltano qualunque coscienza moderna; ma la verità e la giustizia non devono soffrirne.

«Vivendo in mezzo alla tranquillità e alla libertà dei nostri tempi, non è facile dipingere a noi stessi lo stato delle cose, quando violentemente si spezzarono le sanzioni di moralità privata e internazionale in seguito alla sottrazione della Chiesa d’Inghilterra alla giurisdizione papale, paralizzando l’autorità dei Vescovi.... Per stabilire un governo sano sotto Maria, è chiaro, il reame dovea un’altra volta riconoscere la spirituale giurisdizione del Papa e fare i migliori sforzi

per debellare l’eresia.... Con tutto questo da fare, si può pensare se era facile per Maria essere tollerante verso la nuova religione; e tuttavia ella sulle prime lo fu, come potè meglio....

«Il caso era semplicemente che buon numero di persone stava determinata, non tanto a chiedere per sè una mera tolleranza, ma a svellere ovunque ciò che essi chiamavano idolatria, e conservare gli uffizi divini di Edoardo nelle parrocchiali contro ogni autorità ed anche contro i sentimenti dei comparrocchiani. In breve, v’era sempre nel paese uno spirito di ribellione che aveva le sue radici in rancori religiosi; e se Maria voleva regnare in pace e nell’ordine, quello spirito doveva venir represso. Dall’aprirsi della persecuzione al giorno della morte di Maria, e dunque, in quei disgraziati tre anni e nove mesi, si ricorda siano state mandate al rogo duecentosettantasette persone. Ma lo spaventevole numero delle vittime non deve accecarci interamente. Ne si ha da dimenticare che una volta che un atto del Parlamento si crede giusto di passarlo, è anche giusto metterlo in esecuzione. Esitare avrebbe implicato semplicemente che le autorità temevano di aver torto, e il risultato sarebbe stato quello di favorire le forze di disordine cui si voleva opporsi».

Con questo però l’autore non si dissimula, nè lo nasconde ad altri, il danno venuto all’antica religione dall’estrema severità di questa persecuzione, che alienò da Roma il popolo inglese più che le odiose misure di Enrico VIII.

Un’ultima coraggiosa difesa che il Gairdner fa ai cattolici, è quella riguardante le accuse ai monasteri:

«Ma in sostanza si ammetterà che nessuna fede era concessa ai rapporti de’ Visitatori, i quali miravano chiaramente a non altro che a dare un pretesto alla parlamentare soppressione dei più piccoli monasteri.... Dai rapporti presi nel loro complesso noi certo possiamo vedere che i monasteri differivano l’uno dall’altro pel carattere, e possiamo anche capire che i membri istessi consideravansi in ciascun caso come le cose che richiedevano i maggiori emendamenti. È impossibile levarsi dalla lettura senza sentire che il vizio col tempo penetrò anche in quei ritiri della pietà, ma che molti di essi fossero profondamente corrotti e lasciati continuare così per molto tempo, non mi sembra legittima deduzione di queste franche rivelazioni».

È certo che come il dott. Jessop e il canonico Dixon, il dott. Gairdner colla conoscenza intima, di prima mano dei documenti restanti di questo periodo di decadenza — i tempi di Innocenzo VIII e di Alessandro VI, ci dice come nella sua opinione non v’ha fondamento per l’idea che i monasteri inglesi non fossero che letamai del vizio o una sorgente di corruzione pel paese.

Il poderoso lavoro da cui abbiamo stralciato qualche riga appena, è adunque, una magnifica apologia della causa nostra; e tanto più meritevole di lode e di gratitudine, in quanto è tutta basata su onesta imparzialità e su un’intrepidezza troppo rara nello sposare una causa impopolare. Certo l’esempio non resterà isolato; ad ogni modo la menzogna e la calunnia oseranno meno, sapendo qual gigante è sorto a fronteggiarle, a sbugiardarle, [p. 207 modifica] restando vigile a spiare lontano qualunque tentativo di asservire la storia ai miserabili interessi di religione e di partito preso. Del resto l’esempio avrebbe già fatto strada, perchè vediamo già annunciati altri lavori del genere, e lodati da cattolici competenti, anche perchè vengono dall’altro campo.

Basti citare: Rise and growth of the anglican Schism by N. Sander, The English Church in the sexteenth century, from the accession of Henry VIII – oppure Records of the Reformation – ed anche Henry and the English monasteries. D’una cosa sola però ci sarebbe a dolerci: che per coloro i quali non conoscono la lingua inglese tutti questi sono tesori chiusi a chiave. Giacchè non è a sperarsene così presto una pubblicazione in nostra lingua; noi non abbiamo il coraggio librario anche commercialmente inteso.

L. Meregalli.