Il buon cuore - Anno IX, n. 29 - 16 luglio 1910/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno IX, n. 29 - 16 luglio 1910 Religione

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I miracoli della carità

Agli 8 dell’aprile ultimo scorso è morta in Larnay (Poitiers), nell’Istituto delle Soeurs de la Sagesse, Suora Sainte-Marguerite, la cui vita di abnegazione e il cui ingegno creativo nel campo della pedagogia degli anormali avevano attirato da tempo, pei suoi mirandi risultati, l’attenzione degli specialisti e delle persone più diverse.

L’Ordine al quale essa apparteneva, che s’è consacrato fin dal 1833 all’educazione dei sordomuti e fin dal 1857 a quella dei ciechi, ha schiuso pure da anni le sue porte a quei poveri sordo-muto-ciechi che sono all’ultimo grado dell’infelicità umana e che la mancanza di cure fatte in tempo porta spesso nei Manicomi o negli Ospizi degli incurabili.

Prima che la Suora ora morta entrasse nell’ordine, cioè negli anni precedenti al 1881, una sua santa compagna, Soeur Sainte-Médulle, vi aveva già istruito una bambina sordo-muta-cieca, Marthe Obrecht, ed aveva poi insegnato alla giovane consorella il metodo da lei seguito. Metodo che non s’allontanava da quelli ben noti, da tanto usati negli Istituti dei sordo-muti e dei ciechi, ma che, trattandosi di allievi sordo-ciechi, faceva tesoro dei mezzi adoperati isolatamente con gli uni e con gli altri, unendone in un armonico e paziente programma i principî.

L’esperienza ha mostrato che, per strappare dalle tenebre in cui giacciono le intelligenze alle volte più che normali di questi poveri disgraziati, bisogna trattarli, non come ciechi, secondo le vecchie teorie mostravano d’indicare, ma come sordi, e che «l’ordine della loro istruzione deve essere il seguente: insegnar loro: i°, la mimica; 2°, la dactilologia; 3°, la scrittura Braille;Suor Sainte-Marguerite che conversa con Marie Heurtin.4°, la parola». Ma tuttociò è meno che una pura traccia se non vi si aggiungano tutta la perseveranza e tutta l’intuizione che sono necessarie per svolgerla, cercando caso per caso quei misteriosi addentellati della coscienza su cui sia possibile fissare le basi del mirando edificio.

In tale eroica impresa le Suore della Sagesse hanno a collaboratrici delle Consorelle sordo-mute, essendo stata annessa al loro ordine una sezione, detta della Notre-Dame des Sept-Douleurs, in cui queste possono prendere il velo, come già le cieche hanno a tal fine la nota Comunità di San Paolo, assai ben illustrata da un libro di Maurice de la Sizeranne 1.

Soeur Sainte-Marguerite, nata nel Morbihan (Bretagna) [p. 226 modifica]da una famiglia di marinai che lasciarono la vita nel mare, entrò a 18 anni nel noviziato della Sagesse, e, dopo aver insegnato due anni nell’Asilo Saint-Hilaire di Poitiers, passò nel 1883 all’Istituto di Notre-Dame di Larnay. Il suo carattere sereno la rese cara a tutti, mentre col suo ingegno pronto e sagace riuscì ad imparare ben presto il linguaggio dactilologico e tutte le più elementari ma indispensabili norme dell’insegnamento per gli anormali. Dotata d’una costanza a tutta prova, si applicò contemporaneamente al riparto affidatole di sordo-mute e all’istruzione di quella sordo-muta-cieca Marie Heurtin che doveva far la sua gloria.

Era questa un’infelice ragazza del Vertou (Loire-Inférieure) che tutti gl’Istituti di carità avevano respinto, come talvolta tocca a coloro che hanno indosso troppe disgrazie, e che i congiunti non sapevano più a chi affidare. Più che una creatura umana sembrava una fiera; le sue energie prigioniere si manifestavano con urli e gesti violenti che nessuna carezza valeva talvolta a quietare. Suo unico vincolo che la stringeva alla vita erano i bisogni primi dell’organismo e un coltellino da due soldi da cui mai voleva separarsi. La sua intelligenza giaceva al di là delle barriere postele dalla sventura e chi l’aveva vista aveva giudicata idiota. Ma idiota non era; era solo una fra le più misere delle creature. «Non vedere e non udire! Ve lo immaginate bene — diceva a suo proposito Ferdinand Brunetière nella seduta dell’Accademia francese del 23 novembre 1899 — ciò che letteralmente vi sia di tenebre accumulate in queste due parole? Ve la rappresentate voi, in questa notte, la prigionia dell’intelligenza? Ve lo immaginate voi questo orrore di sentire, per mezzo del tatto, che esiste un mondo, e di cercare lungo i muri della propria prigione di carne un’uscita su questo mondo e di non trovarla?» Ebbene, chi tolse da questo orrore Marie Heurtin, facendole trovare, non solo questa uscita, ma facendone una giovane colta, gentile, pia e profondamente serena fu Soeur Sainte-Marguerite.

Col metodo insegnatole da Suor Sainte-Médulle e colla collaborazione dell’Ordine che tanto meriterebbe in Francia della gratitudine pubblica, dopo Marie Heurtin, essa istruì una giovinetta d’Izieux (Loire-Supérieure), Anne-Marie Poyet, anch’essa sordo-muto-cieca, e altre si accingeva a ricollegare alla vita, a strappare dalle tenebre immani della sventura, quando fu presa da una polmonite e rapita in pochi giorni al suo apostolato pieno d’amore.

Di essa, che ora riposa nel piccolo e fiorito cimitero di Larnay 2, ben si può dire che fu l’organizzatrice dell’insegnamento dei sordo-muto-ciechi in Francia, come l’Abate de l’Epée lo fu di quello dei semplici sordo-muti. Per opera sua e dell’ordine delle Suore della Sagesse il problema dei sordo-ciechi, che aveva già tentato spiriti irrequieti e profondi come quelli del Diderot, degli Abati dell’Epée e Sicard, del dott. Howe e così via, fece dei passi addirittura insperati. Nel suo ufficio l’umile Suora portò una pazienza e un ingegno pieno d’intuizioni, per cui potè perfezionare al sommo tutti i sistemi prima di lei in uso e farsi vera maestra in questo arduo e singolarissimo ramo della pedagogia. Tutto il suo apostolato s’inspirò al «nulla dies sine linea» e non valevano indugi o apparenti sconfitte per scoraggiarla; i cenni più umili di risposta erano per essa, come per le sue consorelle, stimoli sufficienti a perseverare.

Passando dal noto all’ignoto, cercando di far sorgere nell’essere vegetante a lei affidato il primo concetto di un rapporto fra un oggetto qualunque e un segno e procedendo poi di giorno in giorno a sviluppare questo concetto e ad aumentare il numero dei rapporti, la meravigliosa maestra riuscì ad insegnare alle sue allieve: i°, il linguaggio mimico; 2°, la dactilologia; 3°, la scrittura Braille; 4°, la scrittura Ballu; 5°, la scrittura inglese e i primi elementi del linguaggio vocale. Anna-Maria Poyet, che a differenza dell’Heurtin non era nata senza i tre sensi, ma li aveva perduti a 17 mesi, fece anzi in quest’ultimo campo maggiori progressi delle altre sue compagne; ma l’Heurtin, oltre a ciò che si disse, imparò anche a servirsi della macchina da scrivere, a cucire, a stirare, a far la calza, ad aver cura della propria roba e a fare parecchi giuochi.

Ma tutto questo è ancora un nulla in confronto di ciò che questa creatura, sordo-muto-cieca dalla nascita e fino ai dieci anni totalmente inconscia della natura dei propri atti, potè apprendere nel campo del pensiero. Poichè, se con un certo sforzo riusciamo intendere come un insegnamento paziente ed amorevole possa far entrare in un’anima siffattamente prigioniera dei concetti positivi, constatabili mediante rapporti di fatto, ci riesce assai più mirabile come per gli sforzi riuniti di un’eletta di apostoli del bene, si sia potuto elevare le anime di tali infelici alle idee astratte della vita morale, e, dopo aver dato loro i mezzi di capire e di comunicare con gli altri, le si sia rese capaci di acquistare una coltura, di sentirne la bellezza e di vivere nella serena visione di Dio. Ora si pensi che Marie Heurtin conosce la storia ecclesiastica e civile, ha un chiaro concetto delle principali leggi geografiche, ricorda prontamente le nozioni letterarie e sa assurgere dal fatto singolo anche nuovo, come, ad esempio, la conoscenza da lei fatta della macchina «automobile», ai rapporti ch’esso ha con la vita che la circonda e da questa con quella universa. Anzi, accrescendo sempre la sua coltura, allargando la cerchia delle sue esperienze positive e morali, essa si è mostrata capace, ove ne valesse la pena, di poter subire un «réchauffage» di coltura ben superiore alla normale. E valgano a prova alcune sue lettere e brani di giornale or ora pubblicati dal prof. Arnould in un libro che citerò più innanzi.

Come mai, si chiederà, potè Suor Sainte-Marguerite arrivare a così mirandi risultati? — Bastino per dare una prima idea di tale miracolo questi particolari: Suor Sainte-Marguerite aveva fatto in un tempo relativamente breve l’istruzione positiva della sua strana allieva, partendo da un segno corrispondente al coltello ch’essa aveva caro e instillando via via nel suo spirito una serie di rapporti fra le nomenclature e gli oggetti, [p. 227 modifica] ma nulla aveva tentato ancora nel campo delle idee astratte. Quando le parve giunto il momento si rivolse anche a questo, prendendo a base l’insegnamento degli aggettivi. E le fece anzitutto «toccare con cura due sue compagne, l’una grande e l’altra piccola e le inculcò così la nozione di grandezza». Essa persistette in questo ordine di idee, pur non dubitando delle orribili tempeste che stava per scatenare. Per dare alla sua allieva l’idea della ricchezza e della povertà, un giorno che degli sterratori avventizi passavano, come avviene di frequente, pel convento, essa gliene fece toccar uno coi suoi vestiti strappati e il suo sacco sulle spalle, opponendogli una persona ben vestita, ornata di monili e che aveva qualche moneta in tasca. Allora la fanciulla si alzò, dichiarò che non avrebbe mai voluto essere povera e che suo padre «aveva dei soldi», ed esalò il suo disgusto per i mendicanti e per i poveri. Era così agitata quel giorno, che la Suora la lasciò calmarsi, ma tornò alla carica il giorno dopo, chiedendo alla fanciulla se l’amava. Maria, ch’era profondamente attaccata alla Suora le espresse colla sua attitudine e i suoi gesti tutta la sua affezione (l’idea di tenerezza è una delle prime che gli esseri umani manifestano, per sprovvisti che sembrino di mezzi di espressione). La Suora le mostrò allora ch’essa stessa era povera, che non aveva denaro, e le inspirò dei sentimenti più giusti riguardo la povertà.

L’acquisto dell’idea di vecchiezza fu più terribile ancora. Una vecchia sordo muta di 82 anni, chiamata Onorina, si prestò all’esperienza; Maria le palpò il viso, scoperse le sue rughe e il suo corpo curvato, e li confrontò col suo proprio viso e col suo proprio corpo, e con quelli di Suor Sainte-Marguerite. Questa le disse ch’essa, Maria, sarebbe un giorno come la vecchia sordomuta, ch’essa avrebbe delle rughe, e che, dopo essere cresciuta, finirebbe per curvarsi e aver bisogno d’un bastone per camminare. La rivolta fu formidabile. La fanciulla dichiarò che ciò non sarebbe mai avvenuto, ch’essa non voleva che ciò fosse, ch’essa intendeva di restare sempre giovane: giovane, giovane, mai vecchia! E poi, quando la vecchiezza venisse, essa si irrigiderebbe per non lasciarsi curvare da lei.

(Continua). Augusto Michieli.

Attorno ad un bel tema d’esami

Per la licenza d’Istituto tecnico, il tema di prova scritta d’italiano, era il detto di Michele Lessona:

«La vera beneficenza oggi non consiste nel fare elemosina. Consiste nell’inspirare all’uomo delle classi inferiori il rispetto di se stesso, il sentimento della dignità umana; consiste nell’inspirargli più con l’esempio che con le parole, l’amore al lavoro, il culto del vero, il gusto del bello, l’abito del risparmio, che mena alla indipendenza, il più prezioso di tutti i beni».

Ora, davanti a questo oracolo, un giovane, educato all’antica, dovrà per lo meno sentirsi le vertigini. Dunque, nella coscienza moderna il soldo, il pezzo di pane, un letto, una cura medica gratuita dati all’indigente che da sè non può più nulla, non è vera beneficenza; o forse questa classe di indigenti non esiste più; o forse la beneficenza tradotta in forma materiale, è umiliante per chi la riceve, o cosa indelicata in chi la compie; o favorisce l’infingardaggine; o comunque, in omaggio ad una valutazione nuova, e più raffinata e filosofica dei doveri degli uomini.

E allora i trentaquattro milioni di moneta sonante che si spendono ogni anno a Milano in beneficenza, saranno danari sprecati; e quei generosi che si ostinano prima di lasciar questa terra nel legare ad Ospedali, a Chiese, a Istituti pii, all’assistenza degli invalidi, alla loro cura fisica e morale, ad assicurare loro — in forma di pensione per gli anni della vecchiaia, dei giorni più lieti, ebbene, quei generosi saranno dei balordi che ignorano quale sia la vera beneficenza della giornata.

Il Direttore spirituale dell’italica gente ha parlato, non c’è più nulla a ridire. Tutti quei miseri che assolutamente abbisognano di soccorsi materiali, d’elemosina, si rassegnino, trovino giusto e sacrosanto l’oracolo del Lessona: se prendessimo in parola il Lessona, loro sono serviti a meraviglia.

La vera beneficenza inoltre consisterebbe nell’inspirare all’uomo delle classi inferiori il rispetto di sè, ecc. Quasicchè l’uomo delle classi superiori abbia sempre tutte le belle cose che l’elemosiniero moderno tiene consiglio dal Lessona di inspirare ai diseredati dalla fortuna! O forse il nostro Direttore spirituale crede offensivo, o un controsenso, far l’elemosina morale ai ricchi di danaro e presumibilmente anche di sensi elevati, ma che in realtà ne difettano spaventosamente?

Del resto non si creda che la forma di elemosina da praticare oggidì sia una ricetta nuova di tutta invenzione del Lessona — unicuîque suum — si legga il Vangelo e vi si troveranno tutte le belle teorie d’elemosina morale di cui parla il Lessona, col di più di una perfezione, d’una sanzione, d’una potenza che quelle del Lessona non hanno. E poi si potrebbe consultare un tantino anche la storia dei nostri Santi, dei nostri uomini migliori e si vedrà che da venti secoli ci si sforza di inspirare in tutti gli uomini, delle classi inferiori e superiori indistintamente, perchè tutti ne hanno bisogno, il rispetto di se stesso, il sentimento della dignità umana e anche il sentimento della dignità d’uomini redenti, spiritualizzati, imparentati con Dio, chiamati in terra e in cielo ad altissimi destini, un pochino più nobili e sublimi dei soliti, l’amore al lavoro, non solo per interesse, o come mezzo nobilitante, moralizzante o doveroso per cagione di solidarietà, ma come penitenza e stromento di merito, il culto del vero ma di tutto il vero, anche quello sopranaturale, il gusto del bello, anche fuori dell’ordine umano, e l’abito del risparmio che mena all’indipendenza, col di più di un altro abito, quello della santità, che mena all’altra indipendenza, ben più preziosa, dalle ragioni e dalle ritorte del peccato, per cui si sale alla libertà dei figli di Dio.

Così andava pensato il tema, a voler essere precisi. Ma sarebbe piaciuto alla Minerva e agli esaminatori e agli esaminandi? E tanto comodo non procurarsi delle [p. 228 modifica]seccature; è così soddisfacente non parere volgari, separare la propria causa da certe altre, restringersi in una sfera tutta umana e arieggiare il più possibile gli spiriti emancipati da pastoie religiose, magari paganeggianti, circonfusi da tutta una gloria di bellezza classica che innamora....

***

La legge cristiana del perdono

Onda placida di luna dai baglior silenziosi,

come tenue argenteo velo sui monti e il pian ti posi.

Va la mente dubbia errando al fantastico splendore:
sorgon lievi al blando lume i fantasmi dell’amore,

i ricordi del passato, le speranze balde audaci,
i pensieri confidenti, aspri sdegni e dolci paci.

Ma nel lume intorno effuso ogni sogno va disperso
una lacrima perenne sol rimane nel mio verso.

È una lagrima di sangue per chi m’ha così ferito,
per chi il cuore mi ha ridotto come masso inaridito.

Blanda luna nel cui lume si confonde ogni mistero,
tu perdona al mal ch’han fatto a quest’animo sì altero.

Bianca luna nel cui lume si confondono le cose,
nel tuo argento sia disperso tutto il duol che mi corrose.

Sboccin rose su la terra l’indomani al novo sole:
sia nascosto il pianto mio tra le rose e le viole,

tra le rose e le viole che fiorisce il cimitero.

Bianca luna, nel tuo lume tu confondi ogni mistero.

Siderno, 1897.

Francesco Macry Correale.

NB. — Dai Canti dell’adolescenza di prossima pubblicazione, seconda edizione.

  1. Les soeurs aveugles, Paris, Lecoffre éditeur.
  2. Un affettuoso articolo sulla di lei morte, dovuto al professore Louis Arnould dell’Università di Poitiers, comparve ne La Croixdi Parigi del 15 aprile ultimo scorso.