Il buon cuore - Anno IX, n. 37 - 10 settembre 1910/Religione

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Vangelo della domenica seconda dopo la Decollazione


Testo del Vangelo.

Diceva il Signore Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi vestiti da pecore, ma al di dentro sono lupi rapaci. Li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; nè un albero cattivo far frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, sarà tagliata e gettata nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli.

S. MATTEO, cap. 8.


Pensieri.

Li riconoscerete dai loro frutti i falsi pastori che dovete fuggire, ammonisce Gesù, e, di conseguenza, le opere saran quelle che parlano anche in favore dei veri profeti.

Ecco il criterio che noi dobbiamo seguire per vedere a chi, quando, possiamo dare la nostra fiducia.

Non dobbiamo basare i nostri giudizi sulle apparenze; sulle diversità di opinione o di scuola.... Gesù non ci ha insegnato così, Egli ci ha detto solo di guardare ai frutti, alle opere.

I buoni frutti testimoniano della bontà dell’albero; i frutti cattivi non si possono cogliere che su cattive piante!

Seguiamo i consigli di Gesù noi nei nostri giudizi?

Davanti a un’opera buona, a una vita tutta spesa per la verità e per il bene, diciamo noi, come Gesù vorrebbe, i frutti son buoni, dunque è buono anche l’albero o, piuttosto, non indaghiamo prima da che parte la persona in questione proviene e a secondo di questa noi diciamo bene o male ciò che non è che bene?

Oh, noi siamo cristiani ossequienti all’insegnamento di Gesù solo in quello che ci accomoda; in questo caso, invece di imitare il Maestro che proclamava il bene dove lo trovava, anche a costo di suscitare malcontento intorno a sè, noi somigliamo i contemporanei di Gesù che, invece di arrendersi davanti alla sua santità, davanti ai suoi prodigi ripetevano: può mai venire alcunchè di buono da Nazaret?

Oh, quante volte, leggendo il quarto Vangelo, penso, gemendo, a quanti, dopo Gesù, possono però ripetere con lui: «Molte buone opere vi mostrai da parte del Padre mio; per quale di queste opere mi lapidate?»

E quante volte, alla semplice domanda pare risponda un grido come quello della turba inferocita che chiedeva la crocifissione di Cristo!

Oh, Signore!

«Ogni pianta che non porti buon frutto, si taglia e si getta nel fuoco...»

Le buone piante danno frutti buoni e queste hanno conservata la vita. Ma quelle che danno frutti cattivi vengono tagliate e gettate sul fuoco.

La vita felice è per la sola virtù; non basta evitare il male, bisogna fare il bene.

In altre pagine il Vangelo ammonisce che gli alberi infruttiferi devono essere sradicati, perchè inutilmente aduggiano il terreno ed è detto che se un albero improduttivo sussiste, è solo per la misericordiosa speranza che la sterilità sia temporanea....

Che piante siam noi?

Siam noi vive, perchè facciamo il bene o perchè Dio attende che ci scuotiamo e ci salviamo? Oh, se è così, non tardiam più a rispondere con la nostra vita mutata alla paziente indulgenza del Signore....

Il tempo lasciatoci per lavorare noi non sappiamo quando finirà: mettiamoci all’opera prima che cali la sera della nostra giornata terrena....

E il Vangelo continua chiarendo quali sono le opere, i frutti che noi dobbiamo dare.

Non bastano le preghiere, le pratiche di pietà; non [p. 293 modifica] basta invocare Dio, bisogna, soprattutto, adorarlo con la vita pura e degna! Bisogna che la richiesta che ogni giorno risuona sulle labbra del cristiano: Sia fatta la tua volontà, non sia invocazione vana, ma sospiro del cuore....

Chi la sa la volontà del Signore su di noi! Nessuno! Tutti la ignoriamo: sappiamo solo che vuole da noi la bontà d’ogni giorno, d’ogni ora; sappiamo che la sua volontà ci si manifesta nelle circostanze nelle quali veniamo a trovarci....

Come le accogliamo queste contingenze varie, a volte liete, spesso tristi e dolorose?...

È cristiano o tutto terreno, tutto di quaggiù, il nostro comportamento? Come la facciamo noi la volontà del Signore?... Oh, mio Dio, quante deficienze!

Attacchiamoci a Gesù e impariamo da Lui ad essere ubbidienti, se è necessario, fino alla croce, fino alla morte!

Per l’Asilo Convitto Infantile dei Ciechi


OBLAZIONI.

Somma retro L. 108487 46

Signora Enrica Calegari vedova Bergomi, per una Messa in perpetuo anche in suffragio della propria Madre |||
   » 100 ―


Totale L. 108587 46



S. E. il Generale

Gran Collare della SS. Annunziata



Scomparve una nobile figura del risorgimento italiano, una figura completa; completa materialmente, completa moralmente.

Completa materialmente. Egli abbracciò colla sua vita tutto il lungo periodo dell’epopea nazionale, assistendone ai principî e accompagnandola nel suo svolgimento fino alla fine. Ascritto per tradizione famigliare all’esercito, prese parte alla prima guerra del 1848 per l’indipendenza. Dopo la sconfitta di Custoza, ritiratosi l’esercito sardo sopra Milano, il Revel, capitano di una batteria, difese con essa l’irrompente esercito vincitore. Combattè valorosamente a Novara. Nel 1854 prese parte alla spedizione di Crimea, occupando già un posto distinto nello stato maggiore dell’esercito inglese. A S. Martino, nel 1859, colla sua divisione di artiglieria contribuì grandemente, prima alla resistenza, poi all’offesa, che portò alla vittoria, che doveva avere così radicali conseguenze nella redenzione totale d’Italia. Nel 1866 ebbe un incarico dei più importanti e difficili, di rappresentare l’Italia nella cessione della Venezia, fatta da Francesco Giuseppe a Napoleone, e da Napoleone all’Italia. Fu ministro della Guerra e generale d’armata.

Completa moralmente. Egli unì nel suo animo in un solo pensiero e in un solo affetto, l’amor di patria coll’amor di religione. Egli era intimamente convinto che questi due sentimenti potessero armonizzarsi; anzi dovessero armonizzarsi, e solo dal loro connubio leale, sincero, costante, aspettava il vero e completo bene della patria. E pari a questa convinzione fu sempre la manifestazione esterna della sua vita. Giammai egli nascose nel suo fervore patriotico i suoi sentimenti religiosi, giammai egli sacrificò i suoi sentimenti di devozione alla patria, davanti alle imposizioni di partiti politici ammantati di religione.

Fu uomo di carattere, tutto d’un pezzo. La sua figura, alta, diritta, il suo volto severo e sereno a un tempo, rendevano bene al di fuori l’indole dell’animo suo dolce e dignitoso.

Ritrattosi a vita di riposo, non riposò. Cessata l’opera delle armi, intraprese l’opera della penna, e scrisse con mente lucida, con penna nitida, con esattezza scrupolosa, diversi volumi, che ritraggono in serie successiva i momenti più importanti del Risorgimento Italiano, che torneranno di utile documento a chi un giorno vorrà scrivere in modo imparziale e completo quella storia.

Venne dal Re onorato col supremo onore dell’Ordine della SS. Annunziata, e fu concorde l’approvazione di tutti per la ben meritata onorificenza.

Una nota gentile allietava l’ultimo periodo della sua vita, protrattasi alla eccezionale longevità di anni 93. Egli godeva di aversi intorno la schiera festante dei figli delle sue figlie: gli pareva di rivivere in essi una novella vita.

Era onorato dall’amicizia di persone illustri, fra le quali merita speciale menzione Monsignor Bonomelli, ed alla sua volta concedeva la sua stima e la sua affezione a molte persone, nelle quali era contento di vedere l’attuazione del suo programma di patria e religione insieme unite.

La sua morte fu placida e serena come la sua vita. Vi era già preparato da molti anni. Una delle sue visite consuete, in Milano, era di andare alle Chiese ove era esposto il SS. Sacramento per le quarant’ore.

L’annuncio della sua morte sollevò un senso di generale compianto. Le condoglianze arrivarono alla famiglia da ogni parte. Il Re, la Regina Margherita, il Duca di Genova, i Presidenti del Senato e della Camera, con affettuosi telegrammi, manifestarono quanta parte prendessero al grave lutto.

Come complemento, riportiamo due speciali telegrammi, quello del Presidente del Consiglio, on. Luzzati, che ben riassume i molteplici aspetti del carattere dell’uomo illustre; e quello di Monsignor Bisleti, che con parole di lagrime invia l’espressione del cuore di Sua Santità Pio X.

Ecco il telegramma inviato da Luzzatti: «Il Governo si associa al dolore della famiglia per la scomparsa di un patriota eminente, di un cittadino puro che rese grandi servigi alla patria ed al Re senza strepito di gloria e di rumori mondani colla devota modestia che contrassegna il vero valore morale e militare. —

«Luzzatti»

[p. 294 modifica] Il Pontefice, con il quale il defunto era in corrispondenza, ha inviato le sue condoglianze a mezzo di Monsignor Bisleti. Ecco il testo del dispaccio inviato ad una delle figlie: «Il Santo Padre ha inteso da me con dolorosa sorpresa la comunicazione del suo telegramma e mi ha dato incarico di far pervenire immediatamente a lei ed a tutta la famiglia le espressioni che in questa luttuosa circostanza salgono spontanee da un cuore paterno. Sua Santità raccomanderà al Signore l’anima benedetta del loro caro defunto e implora sopra tutti la benedizione di Dio consolatore. Mando loro le la lagrime per saluto».

La benedizione del vicario di Dio in terra è la più bella promessa del premio di Dio in cielo.

L. Vitali.



A 93 anni, dopo breve malattia, religiosamente come visse, è spirato la sera del 3 settembre nella sua villa, di Borgovico in Como.

L’illustre generale ebbe i natali da Genova la Superba il 20 novembre 1817.

Per narrare la nobile vita del conte Genova Thaon di Revel bisognerebbe raccontare diffusamente la storia delle nostre guerre del risorgimento, chè di tutte le tappe sanguinose di cui si compone la lunga lotta per l’indipendenza egli fu infaticabile, valoroso, intelligente attore. Non v’ha campo di battaglia ch’egli non abbia calpestato nell’ora suprema del cimento, non v’ha, si può dire, bollettino di guerra che non ricordi gloriosamente il suo nome.

Discendente da una famiglia di diplomatici e di guerrieri, Genova Thaon di Revel iniziò giovanissimo la carriera delle armi.

Uscito da quella Regia Accademia militare di Torino in cui furono educati tutti gli uomini di guerra del vecchio Piemonte, fu assegnato all’artiglieria, al Real Corpo d’artiglieria come si diceva allora.

La campagna del 1848 lo trovò tenente. Si distinse a Staffalo, a Custoza, nell’infelice scontro del 4 agosto sotto Milano, col quale Carlo Alberto tentò invano di opporsi alla rioccupazione della capitale lombarda da parte degli austriaci; ma si distinse specialmente a Staffalo, il 24 luglio, dove, mettendo in batteria quattro pezzi a brevissima distanza dai cannoni austriaci, li ridusse al silenzio preparando così efficacemente il fortunato assalto alle alture dato dalla brigata Cuneo. Si guadagnò una menzione onorevole e una medaglia d’argento al valore militare.

L’anno dopo era a Novara. Nella sfortunata battaglia dava prova di tale intrepidezza, di tale sangue freddo, mentre intorno a lui gli ordini dell’esercito vinto si rompevano e soldati e cavalli e carriaggi in forma confusa si precipitavano entro la città, che gli veniva conferita una seconda medaglia d’argento.

Era maggiore quando s’iniziò la guerra del 1859 e con la sua brigata fu addetto alla terza divisione dell’esercito sardo, comandata dal generale Francesco Mollard, fiero tipo di soldato savoiardo, al valore e alla

ostinazione eroica del quale si deve se San Martino fu per noi una vittoria.

Respinti i primi attacchi, nel tempestoso pomeriggio del 24 giugno, la divisione Mollard s’era raccolta in una attesa piena di angoscia dietro l’alto argine della ferrovia che conduce da Desenzano a Peschiera. Il vecchio Mollard, sceso da cavallo, si tormentava nervosamente i baffi, mentre attendeva impaziente ordini e rinforzi per il combattimento che doveva raddrizzare le sorti della battaglia e vendicare il sangue sparso da tanta gente la mattina nei micidiali assalti all’altipiano di San Martino, erto e saldo come un bastione.

Finalmente alle 16 giungeva l’ordine del Re di prendere San Martino ad ogni costo e all’ordine seguivano i rinforzi: l’intera brigata Aosta, fresca, ordinatissima, nonostante la lunga marcia, arrivava sul campo e muoveva all’attacco, sostenuta dai gloriosi avanzi delle brigate Cuneo e Pinerolo. Thaon di Revel, appena avuta la notizia che la battaglia ricominciava, correva al galoppo a prendere quattro cannoni lasciati in posizione sulla strada di Peschiera, li riuniva ad altri raccozzati su tutta la fronte di battaglia, metteva insieme una grande batteria di 42 cannoni che apriva subito un fuoco infernale battendo le alture, le batterie nemiche, le cacascine, i nugoli densi della fanteria austriaca che biancheggiavano dietro le siepi. Preparato l’assalto da questo fuoco rabbioso, le colonne italiane avanzavano vittoriosamente. E Thaon di Revel, con tre delle sue batterie, accorreva a rincalzo dei fanti, si piantava a breve distanza dal nemico, lo flagellava con nuove tremende scariche a palla e a mitraglia. Non gli aveva gridato Mollard che si doveva vincere o morire? La resistenza austriaca, sotto quella tempesta di cannonate, sotto l’impeto irresistibile della nostra fanteria, piegò e crollò. La vittoria era nostra.

Fu la più bella pagina della vita di Thaon de Revel quella magnifica audacia dell’artiglieria trascinata all’assalto come una colonna di bersaglieri.

Vous avez fait une charge à la baionette avec vos pièces — gli disse alla sera il rigido Mollard. Re Vittorio venne a cercarlo sotto Peschiera, dove si stavano facendo i primi approcci per l’assedio, gli strinse le mani, gli annunziò che l’aveva creato ufficiale dell’Ordine militare di Savoia.

L’anno seguente Thaon de Revel scendeva di nuovo in campo. Benchè non fosse che tenente colonnello, gli veniva affidata la carica di comandante superiore dell’artiglieria del corpo di spedizione nelle Marche e nell’Umbria. Veniva promosso colonnello per l’abilità e il valore con cui dirigeva le operazioni dell’assedio di Ancona; la condotta serbata all’assalto di Mola di Gaeta, il 4 novembre 1860, gli valeva la commenda dell’Ordine militare di Savoia. E dopo la battaglia era nominato direttore generale del dicastero della guerra in Napoli e gli veniva affidato un compito delicatissimo, quello di regolare lo scioglimento dell’esercito garibaldino e l’incorporazione della maggior parte dei suoi elementi nell’esercito nazionale.

Maggior generale e aiutante di campo di Umberto, coadiuvò efficacemente il giovane principe a disporre [p. 295 modifica] la sua divisione in modo da respingere le offese austriache, quando gli ulani e gli ussari di Pulz e di Bussanovics l’assalirono con impeto selvaggio poco fuori di Villafranca, la mattina del 24 giugno 1866, nella sanguinosa giornata di Custoza. Anzi quella mattina corse il rischio di venir fatto prigioniero. S’era spinto insieme col capitano Manfredo Cagni, ora generale e padre del capitano Umberto Cagni, sullo stradale che da Villafranca conduce a Verona per sapere qualche cosa del nemico. La campagna densa di gelsi nani e di filari di viti e di grano non permetteva di scorgere nulla. Improvvisamente, gli arrivò addosso, con l’impeto di un uragano, la carica furiosa degli ulani. Dovette volgere le terga e dar di sprone per non lasciarsi cogliere. Riunitosi al Principe e suggeritegli le fulminee disposizioni per la difesa, prese posto con lui entro il famoso quadrato del 490 fanteria. La sua condotta gli meritava la croce di grande ufficiale dell’ordine militare di Savoia.

Dopo la guerra gli veniva affidata la missione di ricevere in consegna dal commissario francese Loboeuf — come è noto l’Austria aveva ceduto la Venezia alla Francia perchè a sua volta la cedesse a noi — le fortezze e il materiale da guerra rimasto nel Veneto.

Saliva ai più alti gradi della gerarchia militare, occupava successivamente il comando della divisione di Padova e quello del II corpo d’armata.

Rappresentava alla Camera i collegi di Gassino, di Chivasso, in cinque o sei legislature. Reggeva per qualche mese il portafoglio della guerra nel 1867. Nel 1879 veniva chiamato a far parte del Senato e partecipava attivamente ai lavori parlamentari.

Nel 1886 veniva inscritto nella riserva dell’esercito e occupava gli ozi, scrivendo i suoi ricordi: La cessione del Veneto e Dal 1847 al 1855, La spedizione di Crimea, Il 1859 e l’Italia Centrale, Da Ancona a Napoli.

Il 15 agosto 1905, commemorandosi a Torino il cinquantesimo anniversario della guerra di Crimea, alla quale egli aveva preso parte come addetto al Quartier generale inglese, il Re gli conferiva il Collare dell’Annunziata, suprema ricompensa dei lunghi segnalati servigi resi alla patria.

Soldato valoroso, padre esemplare e funzionario coscienzioso, e zelante fino alla più tarda età, il nobile Uomo fu altresì raro esempio per le sue virtù religiose ed ebbe da Dio il premio di una salute a tutta prova e di una invidiabile lucidezza di mente, che gli concesse anche di benedire i suoi cari nel momento doloroso del supremo congedo.

Devesi poi notare che il generale Revel, conscio dell’efficacia delle Missioni in ordine civile, spirituale e patriottico, diede grande impulso alle Missioni Italiane quale Presidente dell’Associazione Nazionale di soccorso ai Missionari Cattolici Italiani.

La bella, forte e dolce figura del venerato Uomo è scolpita nel cuore di chi ebbe la ventura di conoscerlo, dalla Reggia alle più modeste abitazioni degli umili.

La stampa d’ogni colore, senza distinzione di partito, tributò un coro di ben meritati elogi al defunto, segnalandolo come uno dei più valorosi fattori dell’unificazione italiana.

I funerali, a Como e a Milano, riuscirono imponenti e commoventi per il grande concorso delle popolazioni. Da molti però, non si dissimulò la delusione provata per la mancanza di speciali rappresentanze, che rendessero omaggio al Collare della SS. Annunziata e al Generale che aveva servito quattro generazioni di Casa Savoia.

C.



TRIBUTO DI LAGRIME E PREGHIERE

ALL’ANIMA BELLA PIA GENEROSA

DI

ENRICA CALEGARI Ved. BERGOMI

VISSE PER DIO - PER LA FAMIGLIA

PASSÒ BENEFICANDO

POVERI MALATI BAMBINI

FU TUTTA PER TUTTI

MORÌ SANTAMENTE A 60 ANNI.


Tale l’epigrafe che si leggeva sabato mattina, g. 3 settembre, sulla facciata della Chiesa di S. Biagio in Monza; epigrafe fotografica, se si potesse dire, tanto bene ritraeva la vita e le virtù dell’estinta.

Il rimpianto sincero da Lei lasciato lo si leggeva sui volti affranti eppur — ad esempio di lei — rassegnati dei figli, nella mestizia delle persone che seguivano il corteo e specialmente nell’espressione eloquente del dolore degli umili, che sapevano la carità affabile, nascosta, edificante della pia signora.

Non fiori, tranne le ghirlande profumate dei figli, della famiglia. Non discorsi al Camposanto, ma l’armonia di meste preghiere, fra le quali, come puro incenso elevato al Cielo, un Requiem dolcemente pronunciato da poveri bimbi beneficati dalla signora Bergomi: altri bimbi, non di Monza, non presenti di persona in quel Camposanto, pregano pregheranno per lei che non li scordò in vita, non li scordò in morte: i bambini ciechi dell’Asilo Infantile Luigi Vitali di Milano: desiderò, in unione a una di lei sorella, che uno di essi riposasse in un lettino dedicato alla memoria di sua madre, che aveva provate le amarezze della cecità; desiderò che una Messa di suffragio per l’anima di madre e figlia sia celebrata fra quei poveri bimbi, mentre, tempo fa, aveva promesso loro una prossima sua visitina.

No, poveri bambini, non le andrete più incontro festosi sul limitare della vostra casetta, non ne udrete la voce gentile, che avrebbe fatto indovinare a voi il suo dolce sorriso, le sembianze buone del suo volto, ma le vostre preghiere innocenti e grate le affretteranno l’incontro e il premio degli Angeli in Cielo!

M. C.



Il Municipio di Milano ha ordinato 150 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.