Il buon cuore - Anno X, n. 35 - 26 agosto 1911/Educazione ed Istruzione

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Luigi Meregalli

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Religione Notiziario

[p. 275 modifica]Educazione ed Istruzione


A Santa Catterina

(Val Furva)


La cronaca di questa cura alpina segna quest’anno una pagina memoranda: l’«impianto idroelettrico». Non è certo un’opera grandiosa — nè vuol rivaleggiare coi grandiosi impianti di Grossotto, Adamello e Val Malengo;Veduta generale di S. Catterina. — ma per l’applicazione che in un tempo non lontano sarà feconda e al luogo ed alla pittoresca valle e per l’audacia e ferrea volontà del suo ideatore l’egregio cav. C. Giongo, merita un cenno.

Ideato il geniale impianto nello scorso marzo — ed iniziati i lavori nel maggio — col luglio si veniva inaugurando, con splendido effetto, la luce elettrica alla Fonte, nel Grand Hotel Clementi e sul piazzale.

Il lavoro impose grandi sacrifici, quando si tenga calcolo alle molteplici difficoltà del luogo, della altezzaLa Chiesa di S. Catterina. e del trasporto materiali, non disgiunti quei pregiudizii che regnano sovrani nelle località separate dai centri da ogni miglior comunicazione!...

Il canale di carico fu costrutto metà in legno — perchè il terreno non perfettamente consolidato li non assicurava la riuscita, e più la durata di un’opera in cemento — ed anche perchè per la ristrettezza del tempo non si sarebbe forse riuscito ad ottenere una consistenza sufficiente prima dell’immersione dell’acqua. Anzi v’ha una parte di canale provvisorio, sospeso esternamente alla roccia, nella quale andrà — in tempo [p. 276 modifica]migliore — scavata la galleria, che allaccierà i due tronchi.

L’impianto per ora non sfrutta che un terzo della portata totale, cioè di 300 litri al 1° con una cadutaImmagine di S. Catterina.di 34.85, collo sviluppo di HP. 139 nominali, effettivi 104, e aumentabili fino a HP. 420, quando l’immersione sia portata a litri 930. L’impianto meccanico è costituito da una turbina idraulica con un motore ad olio, fornita dalla Casa Rieter e C. di Winterthur (Svizzera); e di un’allenatore Ganz, della nota Società italiana di elettricità Ganz. Il macchinario è di una precisione a tutta prova.

La presa è al torrente Gavia, circa km. 1 dalla fonte di S. Catterina, e poco discosto sorge anche il padiglione della Centrale.

Il consumo di energia somma ora 40.000 wolts.

La direzione dei lavori fu affidata al sig. ing. Garoni Edoardo di Milano, che ebbe a collaboratore l’egregio ingegnere Nievo di Bergamo.

L’ardita iniziativa del comm. Giongo ha portato un contributo di vita nuova a quel lembo di terra felicissimo e soddisfa ad una delle maggiori esigenze del confort moderno. E voglia il Cielo che per la facilità di poter realizzare una maggior produzione d’energia, si renda possibile il funzionamento di una tramvia elettrica sul percorso Bormio-S. Catterina — ed estendere la rete a tutto il Comune di Val Furva.

Alla solenne inaugurazione intervennero le loro Eccellenze i ministri Credaro e Nitti, i senatori Taverna e Fano, i deputati Taverna, Faelli, Greppi e Cirmeni oltre tutte le autorità dell’alta Valtellina con un gran concorso di persone venute da lontano.

Le loro Eccellenze e seguito visitarono l’impianto prendendo cognizione dell’esito felicissimo nell’impresa. — Sua Eccellenza Rev. Mons. Vescovo di Como non potendo intervenire per impegni già in corso alla simpatica inaugurazione, delegò il Rev. Monsignor Polvara di Milano per la Benedizione rituale dell’impianto, che fu compita con tutta la solennità, facendo da padrino S. E. l’on. Credaro, e da matrina delle macchine la signora Nitti.

Monsignor Polvara alla rituale benedizione fece seguire il breve discorso che pubblichiamo:

«Eccellenze, Signore, Signori,

«La liturgica benedizione da me ora impartita a questo nuovo impianto elettrico, vuol essere in certo modo considerata come la vidimazione divina della letizia che allieta gli animi di noi tutti, qui convenuti in questa geniale e alpestre riunione (resa più solenne dalla presenza delle LL. Eccellenze i Ministri....) per celebrare degnamente l’inizio di questa nuova scattorigine di forza, e quindi di vita e civiltà.

«E ben legittima è questa letizia, non solo in quelle benemerite persone che idearono e tradussero in pratica quest’opera benefica, ma anche in noi tutti, che sull’ali agili della speranza intravediamo i molteplici vantaggi che da quest’opera verranno a questa ridente e pittoresca valle.

«È una gioia legittima, poichè proviene da un’opera che è frutto delle sudate fatiche umane, che guidate dal genio sanno strappare alla gran madre natura le inesauribili forze di cui è perennemente feconda.

«E perciò è cosa ben degna e giusta che nell’esultanza dello scopo raggiunto, gli animi nostri riconoscenti si sollevino fino a Dio, per ammirarne e lodarne la bontà e sapienza veramente infinita. I nuovi locali della Ditta Giongo e C. costruiti nel 1907. «Considerate quanta sapiente Provvidenza in tutto ciò che succede sotto i nostri sguardi.

«Questo Sole benedetto che fa crescere gli aranci dorati dell’isola del fuoco, che matura l’uva rossa e bianca dei bei colli di Toscana, coronati di pallenti olivi, [p. 277 modifica]che feconda le ubertose pianure padane, questo stesso sole scioglie le nevi delle candide scintillanti vette dei nostri monti, e le fresche acque raccolte e scorrenti per le segrete e lucide vie dei ghiacci, s’accolgono in ruscelli e formano gli impetuosi torrenti, che incanalati e coercizzati per entro i grandi tubi d’acciajo, precipitano urlando con impeto irresistibile e infrangersi contro le ali della turbina, per generare in questo furioso connubio quella forza misteriosa, della quale tante applicazioni veniamo facendo, senza ancor conoscerne l’intima natura. E queste stesse acque poichè avranno quì generata una sì gran forza, senza aver nulla perduto, ripigliando il loro corso normale giù pel risonante Frodolfo, andranno a raggiungere l’Abdua cérula, per ripetere più e più volte, in proporzioni assai maggiori, altre genesi di forza e di luce.

«O come misteriose e sapienti sono le leggi di natura! Come spontanea e logica ci occorre la bella, sintetica affermazione del divino poeta:

La gloria di Colui che tutto muove
Per l’universo penetra e risplende,
In una parte più e meno altrove.

e però con questa liturgica benedizione noi affidiamo riconoscenti questa suprema e sapiente Provvidenza che regge e governa l’universo intero».

I ministri poi intervennero al pranzo dato in loro onore, partecipandovi oltre alle autorità i numerosiItinerario geografico villeggianti, senatori, deputati in luogo, l’on. sindaco di Milano con una rappresentanza della Giunta.

Allo spumante hanno pronunziato applauditi brindisi l’ing. Viviani presidente della Società Giongo ed il senatore Taverna. Rispose l’on. Nitti inneggiando alla terra Valtellina, ferace di boschi, di acque e di uomini, ed augurando il vero benessere a S. Catterina ed a tutta la Valle.

Per l’Asilo Convitto Luigi Vitali pei bambini ciechi



OBLAZIONI.


Famiglia Pestalozza, in memoria della diletta Mamma |||
 L. 10 ―


ECHI E LETTURE



Anche le nostre gentili lo conoscono bene; lo hanno sulla punta delle dita, tutte. Parliamo del ditale, il quale ha pur esso la sua storia. Allorchè lo si ammira nelle sue multiple forme, sulla punta più o meno affusolata di un dito di donna, non si pensa che la sua invenzione è dovuta ad una premura gentile. Nè l’inventore pensò certo che quella sua semplice modesta e facile creazione avrebbe arricchito altri, che della sua idea poi si sarebbero fatti lanciatori. L’inventore del ditale è un olandese — insegna il Die Frau — di professione gioielliere e di nome Nicolò Di Benachaten. E fu certa signora Mytroniw Wan Nescler, quella alla quale il 19 gennaio 1684, il giorno del suo compleano, Nicolò inviò il primo ditale da lui inventato, accompagnando il dono con una graziosa lettera, con la quale la pregava di voler accettare quel modestissimo ricordo da lui inventato a difesa delle sue belle ed esperte dita nel cucire.

Per quanto in Olanda, da allora, prendesse sviluppo fra le donne l’uso del ditale, pur tuttavia esso divenne una industria lucrosa soltanto molti anni dopo, quando certo Giovanni Dotting andò in Inghilterra per vendere a Londra i ditali da lui fabbricati. Fu così che essi si incominciarono a fabbricare a Londra, d’onde si sparsero per tutto il mondo.

Il Corriere d’Italia ha parlato nobilmente del Nibby e delle relative condizioni finanziarie della sua famiglia che sono poco floride. Parliamo anche del Baedeker. Perchè no? Tanto più che se tutti sanno che cosa è un baedeker; pochi però si ricordano dell’uomo che ha dato il suo nome a quelle preziose a guide internazionali. Lo M. A. B. di maggio, dedica un articolo al «re dei ciceroni». Kari Baedeker, sul principio del secolo scorso, era a capo di una modesta Casa editrice, a Coblenza. Baedeker, ch’era un appassionato viaggiatore, notò che tutti i touristes inglesi e americani non muovevano un passo, senza consultare le guide edite dall’editore inglese Murray. Ma tali guide erano insufficienti e spesso inesatte. Fu allora che il Baedeker concepì l’idea di fornire il pubblico viaggiante di tutto il mondo, di guide sicure. Egli intraprese una lunga serie di viaggi, visitando e studiando a lungo i paesi che poi descriveva. Questi viaggi occuparono quasi tutta la sua vita. Il suo prime libro fu quello sui Paesi Bassi, pubblicato nel 1839; seguirono quelli sulla Germania e sull’Austria, tre anni dopo, e sulla Svizzera (1844). La guida di Londra fu delle ultime a comparire, nel 1862. Il successo di questi libri è stato sì grande, che oramai le cifre comparate della vendita annuale dei volumi del Baedeker, indicano con precisione il numero dei viaggiatori delle varie nazionalità, che visitano un dato paese. Così, nell’Europa Centrale, prevalgono i viaggiatori tedeschi. In Francia, in Italia, nella Spagna, in Egitto, il numero dei tedeschi è uguagliato o forse sorpassato dagli inglesi e dagli americani. Quelli che viaggiano meno di tutti sono i francesi. [p. 278 modifica]

Un’artistica cappella dell’Addolorata


Nel libro «L’Addolorata nella Storia, nella Liturgia, nella Pietà, nella Letteratura, nell’Arte e nei suoi dolori più culminanti» che vien pubblicandosi in questi giorni dalla S. Lega Eucaristica, io non potevo dimenticare l’opera insigne che la scoltura consacrò alla Regina dei Martiri, per lo scalpello di Vincenzo Vela, e figura mirabilmente nella Cappella gentilizia deiSpaccato generale della Cappella. Marchesi D’Adda in Arcore. Non potevo tacere inoltre che la Cappella istessa è un magnifico omaggio che l’architettura ha fatto all’Addolorata. In quel libro fa bella mostra una vignetta rappresentante la statua del Vela; ma, per non esorbitare dagli angusti confini assegnatimi dagli Editori, e solo per questo, non si è potuto dare anche la Cappella, che nell’assieme è un vero gioiello d’arte. Ciò mi accorava al sommo; e per riparare in qualche modo a quella involontaria frode commessa in danno dei lettori, qui riproduco e illustro brevemente tutta la Cappella suddetta; se ne compensi chi può.

La Cappella di cui parliamo non trovasi nell’interno della sontuosa villa che domina dall’altura d’uno dei primi colli briantei; ma ai piedi, e per quanto — relativamente — grande, non è visibile che a qualche passo di distanza, dissimulata com’è da frondose piante. Un ampio piazzale si stende innanzi al rettilineo che parte dalla Cappella, rasenta la lunga cancellata d’ingresso alla Villa e tocca la portineria e l’abitazione dell’agente della casa d’Adda. Caso raro: chi passa innanzi alla Cappella non può non ammirare coll’opera d’arte anche un monumento di pietà filiale, simpatizzare col dolore di chi vi piange tumulata una madre adorata, unire la sua prece alla prece incessante che si alza al cielo in quel sacrario dell’arte e del dolore. Certo perchè la sventura è sacra; ma anche perchè da quel colle si perpetua una gentile tradizione di illuminata, larga beneficenza a tutti nota.

L’idea di questa Cappella data dalla morte della madre dell’attuale proprietario, senatore Emanuele d’Adda, avvenuta nel 1849 ai 27 dicembre; alla pia che aveva appena delibate le gioie di sposa e di madre, ben conveniva un segno che ne perpetuasse la memoria. Ne assunse l’esecuzione l’architetto Giuseppe Balzaretto, erigendola in posizione tale da aver l’ingresso sulla via comunale in ossequio ad una clausola del municipio di Arcore che imponeva l’onere di una messa festiva a comodità del pubblico.

La Cappella è di forma ottagona e di stile bramantesco o del risorgimento lombardo. Ha due ordini sovrastanti, con otto absidi, di cui le quattro principali al primo ordine contengono l’altare, il monumento sepolcrale, la porta d’entrata e le epigrafi; al secondo ordine gira tutt’attorno un corridoio interrotto da tribune. Dal secondo ordine al cupolino si slancia ardita la cupola maggiore, bella e svelta che alleggerisce assai la complessa ornamentazione; sotto il primo ordine s’aprono i loculi per la tumulazione.

La ricchezza dell’ornato che l’artista vi gettò a profusione sulle parastate o lesenne e sulle fascie circolanti al di sopra dei capitelli è d’un pregio unico per correttezza, agilità, festosità.

Certo però che il valore inestimabile del monumento funerario e della statua dell’Addolorata, hanno aggiunta all’architettura, quello che potevasi aspettare dal genio di Vincenzo Vela.

Che prodigiosa espressione in quella giovane madre che lotta calma e raggiante di fede religiosa colla morte implacabile! Come l’Ermengarda manzoniana:

«Giace la pia col tremolo
Sguardo cercando il Ciel».

Ma tanto più attrae simpatia e pietà, certo riceve [p. 279 modifica]ogni dì da un figlio che la piange sempre affannoso come se morta ieri, i cento e cento caldi baci dati e non restituiti, lei vivente....

Quanta verità, quanta naturalezza, quanta semplicità e quale bellezza artistica e morale rese magistralmente in mezzo a tutto quel candore di bianco marmo!

E non meno artistica la statua dell’Addolorata che campeggia sopra l’altare tutto una fioritura di ornati leggeri e delicati e istoriato con bassorilievi rappresentanti fatti del Nuovo Testamento.

La Vergine assisa, è rappresentata sola, raccolta in un sublime isolamento, come è istinto delle anime superiori dopo le più tragiche prove della loro vita. Lo sguardo è fisso al cielo dove sembra cercare un essere a Lei troppo caro, e tiene fra le mani e sulle ginocchia una corona di spine; forse l’unica cosa che potè contendere vittoriosamente a quel sepolcro che inghiottì tutto quanto avea di più caro sulla terra. E’ veramente la Desolata.

Ed è a Lei che la Cappella è dedicata, per una pietosa evoluzione che certo ha sua ragione di essere inParte centrale della Cappella. un prevalente senso gentile e cavalleresco per la Donna dei Dolori. I sepolcreti gentilizii erano dedicati di solito alla Santa Croce, all’Ecce Homo, alla Pietà, all’Uomo dei dolori. Recentemente si amò preferire a Custode delle tombe la Donna e la Madre che nel suo doloreMonumento rappresentante la marchesa Maria d’Adda Isimbardi. fú più vicina a noi, più umana, ispiratrice di più confidente abbandono....

Ed ecco l’epigrafe:

a te vergine tuttasanta
simbolo celeste dell’umano dolore
il mio dilettissimo padre

GIOVANNI D’ADDA

rapitomi ahi! troppo presto da morte
il 5 agosto mdccclix
eresse un giorno questo monumento
vi depose le ceneri della cara mia madre
vi riposa anch’egli aspettando il comune risorgimento

vergine addolorata sostegno degli infelici
fa che la rimembranza di vita incontaminata
di quelle anime angeliche
mi sia guida nell’arduo sentiero del mondo

madre degli afflitti
fa che il mio dolore sia fecondo
di civili proponimenti e di generose azioni
onde il dono della vita
che solo d’essi a me infelicissimo rimane
sia degno della loro santa memoria.