Il buon cuore - Anno XI, nn. 44-47 - 23 novembre 1912/I Morti

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I Morti

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Il buon cuore - Anno XI, nn. 44-47 - 23 novembre 1912 Religione

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I MORTI

1912.1


Oggi è il giorno consacrato alla memoria di tutti i fedeli defunti: è un giorno a un tempo mesto e solenne.

Qualcuno ha detto: le campane del 2 Novembre hanno delle lagrime nei loro rintocchi: io prendo queste parole per commentarle: hanno delle lagrime nei loro rintocchi; ma non sono soltanto lagrime di dolore; sono insieme lagrime di amore e di speranza.

Sono lagrime di dolore. Ci richiamano i giorni in cui abbiamo perduto i nostri cari, i giorni in cui si sono spezzati i vincoli che ci univano ad essi: ci richiamano le ansie, le trepidazioni, le alternative tra le speranze e i timori che precedettero la morte, lo schianto dell’ultima separazione, la morte, i funerali, il sepolcro!

E’ un padre, una madre, son fratelli, sono amici: quanti son già partiti! Per molti la famiglia è più di là, che di qua: il cimitero è divenuto la nostra casa!

E nessuno è escluso da questa dolorosa necessità. Al cimitero vanno tutti, perchè tutti al cimitero hanno dei loro morti: i grandi, i piccoli; i ricchi, i poveri; i credenti e anche quelli che non han più fede.

Il giorno dei morti è bello, è commovente, nei paesi di campagna: dopo la solenne funzione del giorno di tutti i Santi, tutta la popolazione raccolta nel Tempio si avvia in processione al camposanto, alternando preghiere e mesti canti. I vivi si aggirano in mezzo alle tombe dei loro cari, che tutti hanno conosciuto, che tutti ricordano; si rivive ancora un po’ tutti insieme, e vivi e morti.

Lo spettacolo dei Cimiteri il dì dei morti nelle città è solenne, è imponente, ma è meno devoto, meno sentito: tutti vanno, portano un fiore, accendono un lume; ma per molti è più una parata, una moda; nessun pensiero religioso aleggia sul loro capo, vive nel loro cuore; è un ritrovo, una rivista, una curiosità...

Anche l’Istituto, nel periodo poco più lungo di un anno, ha portato il suo tributo alla morte: nell’agosto dell’anno scorso moriva, dopo breve malattia, improvvisamente, l’Economo Ghisi: nel mese di Novembre ci era tolta la nostra compagna, la Carizzoni: nel mese di Settembre di quest’anno moriva il Dottor Brera, che tanto amava l’Istituto; e son poche settimane che ci fu tolto anche il vostro compagno Pacchiana; aveva fatto con noi la campagna a Binago: i parenti lo vollero a casa nei quindici giorni tra il ritorno da Binago e il principio dell’anno scolastico: lo vidi alla fine di Settembre, nel giorno in cui, vestito della divisa di sortita, si apparechiava ad andare a casa: era grasso, rosso, tondo, e... piangeva: non voleva andare a casa... Era presentimento? Dopo pochi giorni arriva la notizia: colpito da meningite il Pacchiana è morto!

Piangiamo; son giuste le lagrime del dolore.

* * *

Ma colle lagrime del dolore vanno miste altre lagrime; le lagrime della speranza e dell’amore. I nostri cari sono morti, ma non sono perduti; sono partiti, ma non cessarono di esistere; il loro corpo è nel sepolcro, ma l’anima loro è immortale.

[p. 346 modifica] Quale è la loro sorte? dove son’essi? La fede ci dice che l’anima abbandonata la terra, si presenta al tribunale di Cristo, per essere giudicata, e a norma di questo giudizio, l’anima è destinata a questi tre stati: o all’inferno, o al purgatorio, o al paradiso.

Confidiamo che nessuno dei nostri cari sia condannato all’inferno: pure con difetti, pure con colpe, ebbero la fede, morirono confortati dai sacramenti; il Signore vuole la salute di tutti: la salute degli uomini costituisce il suo trionfo, il trionfo della redenzione di Gesù Cristo.

La condizione più comune è il Purgatorio. Erano credenti, eran buoni, han fatto del bene, ma qualche difetto l’ebbero: ci vuole l’espiazione, l’espiazione pei peccati commessi, il compimento della pena pei peccati perdonati, ma non del tutto espiati.

Essi soffrono, ma amano, ma sperano: la loro anima è uscita dalla terra accompagnata dalla grazia di Dio: nel momento del giudizio essi hanno veduto Cristo: vedendolo essi ebbero l’impressione di tutto il gran bene che è il vedere Dio, il possedere Dio: appena l’ebbero veduto, han dovuto separarsene.... Che strazio! Una santa, santa Caterina da Genova, ha detto che la pena più forte del purgatorio sta nell’essere lontani da Dio, dopo di averlo veduto, conosciuto.

Possono fare qualche cosa per noi? Essi non possono meritare per se: il merito si acquista solo nella vita presente: ma anime in possesso della grazia di Dio possono pregare per noi, e Dio le esaudisce, se non per diritto di giustizia, per ragione di convenienza, pel motivo che nessun atto buono può rimaner senza compenso dalla parte di Dio.

Possiamo noi fare qualche cosa per essi? Oh, sì: noi possiamo pregare per essi; noi possiamo offrire per essi le nostre buone azioni, il bene che facciamo, e se noi siamo in grazia di Dio il bene che facciamo ed è offerto per essi, è un merito per essi; un merito tanto più grande ed efficace quanto più grande è la grazia nel nostro cuore, e più numerose e più perfette sono le opere buone che facciamo. Vi è un’opera il cui effetto meritorio è assoluto, è infinito: è la santa Messa celebrata, fatta celebrare in suffragio delle anime dei defunti sacrificio di Dio il merito non è più limitato ed umano, ma infinito e divino.

Si fa quindi fra noi e le anime dei nostri morti come uno scambio di ricordi e di preghiere: essi pregano per noi, noi preghiamo per essi, e le nostre preghiere hanno la doppia efficacia di diminuire le loro pene nell’intensità e di diminuirle nel tempo. Qual pensiero di conforto questo che le cure pei nostri cari non cessarono colla loro morte ma possono continuare; sono mutate nel modo ma non sono meno reali ed efficaci nell’effetto!

Fortunatamente le anime loro sono già in paradiso? Le nostre preghiere allora sono le preghiere in onore dei santi, le loro preghiere sono le preghiere dei santi fatte per noi.

E se per effetto delle nostre preghiere, delle nostre buone azioni applicate in loro soffragio, le loro anime vedessero diminuito il tempo della loro espiazione e della loro pena, vedessero anticipato il loro ingresso nel cielo, dite, dite, quale sarà il loro sentimento a nostro riguardo, quale sarà il loro primo ufficio appena giunti in cielo, giunti in cielo per noi? Essi non saranno felici se non per essere riconoscenti, essi non sentiranno il beneficio del bene che possiedono se non per chiedere a Dio lo stesso beneficio per noi; e intanto ajutarci a tal fine a schivare il male, a far meglio il bene, santi a farci santi.

Piangiamo quindi la morte dei nostri cari, ma le lagrime del dolore siano miste a lagrime di speranza e di amore.

Sopratutto confortiamoci nel fare il bene, nel divenire sempre più buoni, pensando che il bene fatto da noi in loro suffragio è di sollievo alle loro pene; il bene però fatto in grazia di Dio, perchè solo la grazia dà il merito alle nostre azioni. Supremo beneficio della nostra religione il chiamarci ad essere prima buoni noi per fare il bene degli altri.

* * *

La preghiera, il suffragio pei poveri morti, sempre doveroso e caro in tutti i tempi lo è principalmente in questo momento. Quanti nostri fratelli nel periodo di quest’ultimo anno sono caduti vittima del dovere sul suolo dell’Africa, hanno versato il loro sangue per la patria! Non fu come nel periodo eroico del nostro risorgimento il sangue versato per l’indipendenza e la libertà della patria; fu il sangue versato per non rendere inutili i benefici dell’indipendenza della libertà. Senza la guerra di Libia il nostro paese stretto in un cerchio di ferro, avrebbe veduto la sua importanza e la sua forza scemata nel mondo, e nel concerto delle nazioni europee non avremmo più potuto dire le nostre ragioni a fronte alta, a parità di condizioni colle altre potenze: figli, colla nostra inazione, avremmo compromesse le vittore dei padri. Gloria quindi ai caduti sulle spiaggia africane per procurare la forza e la grandezza della patria, pace alle loro anime generose e credenti. Si intreccino sulla loro tomba in un doppio concerto di merito e di gloria, la riconoscenza, la preghiera. il plauso degli uomini, la benedizione e il premio di Dio!

  1. Questo breve discorso venne fatto il 2 novembre nell’Oratorio dell’Istituto dei Ciechi di Milano.