Il buon cuore - Anno XII, n. 22 - 31 maggio 1913/Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

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Vangelo della 3a domenica dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: Siate misericordiosi, come anche il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati. Perdonate, è sarà a voi perdonato; date e sarà dato a voi; si verserà nel vostro seno una buona misura calcata e ricolma e sovrabbondante; poichè si farà uso con voi della stessa misura, di cui vi sarete serviti cogli altri. Diceva poi loro anche questa similitudine: E’ egli possibile che un cieco guidi un cieco? non ca dono essi entrambi nella fossa? Non v’ha scolaro da più del maestro. Perchè poi osservi tu una pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, e non badi alla trave che hai nel. tuo occhio? Ovvero come puoi tu dire al tuo fratello: Lascia, fratello, che io ti cavi dall’occhio la pagliuzza che vi hai, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita, cavati prima dall’occhio tuo la trave e allora vedrai di caS. LUCA, cap. 6.

Pensieri. La S. Chiesa nel presentarci il brano d’oggi continua la lezione di Cristo sulla misericordia. Ci ha mostrato chiaramente quale sia la missione di Gesù in mezzo agli uomini o deboli od erranti] missione di pietà, d’amore e di giustizia per noi, viziati da natura, deboli per ambiente, corrotti dall’aria medesima, che respiriamo. La pietà misericordiosa di lui a nostro favore è alta opera altresì di giustizia. Noi lo ringraziamo il Signore di tanta bontà: dobbiamo dire a lui tutto il benefico effetto della sua carità, per cui dall’abisso possiamo ed osiamo sperare ed ardire — col suo aiuto — alla riparazione, alla perfezione, alle eccelse vette della santità, ma Gesù e la S. Chiesa, che ci hanno rivelati i nostri rapporti col cielo, ci spiegano in questo brano, come debbano mutarsi i nostri rapporti col prossimo, col nostro simile. Si stabilisce questa proporzione: Dio ci userà quella pietà e misericordia che noi avremo usato pei nostri fratelli, cbsicchè se siamo stati perdonati da lui molte e molte volte, noi dobbiamo perdonare ai nostri fratelli offensori molte e molte volte: oppure ci verrà perdonato da Dio quanto avremo perdonato ai fratelli noi medesimi. Più ancora ci promette Gesù. Se, non avremo giudicato, se avremo perdonato innanzi allo stesso giudizio della gravità dell’offesa del fratello noi fuggiremo, schiveremo l’esatta e scrupolosa giustizia di Dio.: Più ancora. Ci si dice di dare in. misura buona, in misura abbondante, anzi di sopravvanzo come ed in quella misura che il vaso scosso ed agitato contiene di frumento e tutto avrete in abbondanza in voi: poichè si dà questo fatto, che facile è a ciascuno di noi osservare la pagliuzza nell’occhio di chi ci sta di contro — piccoli nei, minimi difetti, scusabili debolezze — e tacere, nascondere la trave che occupa l’occhio nostro. Dunque?

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Dunque il mitissimo Gesù a costoro, che pieni dí zelo intempestico ed intemperante, osservano, rimproverano e giudicano i difetti del prossimo, regala ed applica l’epiteto tutt’altro che grazioso di ipocrita! Perchè? Perchè è ipocrisia usare due pesi e due misure. E’ odioso, è irritante, indispone l’atto di zelo untuoso con cui si chiede tutto per sè e tutto si nega agli al [p. 171 modifica]tri. Sappiamo così bene colpire l’altrui debolezze, mentre una pietà celestiale sa scusare i nostri vizi, le nostre prepotenze. Innanzi a Dio — presso del quale non v’ha preferenza alcuna — costoro si creano e s’organizzano in una casta di privilegiati... La pietà, la religione, etc., non li obbliga a farsi migliori ed in una maggior perfezione di bontà non li obbliga a compatire e tollerare e pazientare, ma si credono esseri fatti così, e così da Dio stabiliti da essere degni d’onore, gloria, benedizioni dai fratelli, che riguardano — come suprema degnazione — felici e fortunati di sedere loro allato ed essere figli di Dio ma in misura diversa... Oh! l’orrenda ipocrisia! oh! la ripugnanza! oh! l’orrore se ciò s’ammanta di pietà, di religione, mentre questa non copre che egoismo e raffinata superbia.

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E questo è strano, anzi- così strano che più là si verifica dove meno dovrebbe essere. Se vi trovate in compagnie di mondani v’accade d’udire voci di pietà, di filantropia, voci di scuse per chi erra e travia. Mettetevi in una sala, in una comitiva dove si onori la religione, dove si coltiva la pietà. Come va che là maggiormente si fa critica, si usano forme aspre, giudizi severi, e dure condanne? Perchè questo? Una spiegazione si dà col facile passaggio dall’odio al peccatore al soggetto che lo compie, il peccatore e — non sempre attendendo ad una doverosa distinzione — facilmente confondiamo tutto in un giudizio severo. Ma ciò non toglie il caso pur sempre triste di persone use alla chiesa, dedite alla pietà, frequenti ai Sacramenti, che con un assai cattivo vezzo tutto criticano, tutto osservano anche di minimo nei confratelli di religione, e tutto diagnosticano con una malignità e minuziosità di analisi che guai, guai a noi se Dio avesse ad applicare rigorosamente quelle parole: quella misura che avrete usata per gli altri, sarà la misura stessa che io userò nel giudicare voi. B. R.,

L’Istituzione d’una colta signora

Abbiamo avuto occasione d’accennare altre volte alle geniali iniziative con cui quella ben nota cultrice delle arti che è Agnese Mylius, volle segnalarsi anche in altri campi dell’intelligenza, allo scopo di onorare la memoria della sua compianta madre, già altamente benemerita della coltura e della beneficenza milanese. Oggi poi l’accresciuto numero e la provata utilità di tali iniziative, il cui intendimento è di promuovere nuovi studi ed applicazioni scientifiche a vantaggio delle classi rurali e lavoratrici, ci sembrano degni di più ragguagliata notizia. Anche

pel fatto, che se è uno dei più bei vanti del nostro tempo il fiorire di tante opere intese a riparare ai danni derivanti dalla natura impoverita delle sue energie e dei suoi prodotti, non minor plauso ci sembra dovuto alle ricerche e ai tentativi miranti a ricavare un maggior numero di beni dall’aumento delle sue ricchezze. Tale si è appunto lo scopo delle varie Istituzioni in memoria di Eugenia Mylius Schmutziger, fondate dalla figlia di lei, tra le quali primeggiano • il Premio per incoraggiamento alla stagnicoltura, affine di promuovere in date regioni, dove le acque lo consentbno, il prodotto dei pesci mangerecci; il Concorso per la produzione degli ortaggi destinati al consumo delle famiglie affidato alla nostra Cattedra ambulante d’agricoltura, del quale già furono fatti conoscere i buoni risultati ottenuti a vantaggio delle famiglie coloniche; l’importante Concorro per la protezione dei nidi, destinato a tutelare nelle nostre campagne il tanto necessario incremento dell’avifauna; il Concorso per lo studio delle regioni alpine, ossia per invogliare gli studiosi a nuove ricerche dei depositi metalliferi in date zone alpestri. E poi ancora a vantaggio di queste, un Concorso per la coltivazione dei garofani, mediante la quale si sa come certi paesi, ad esempio l’Engadina, abbiano saputo procurarsi una non trascurabile fonte di commercio. Così pure la coltivazione delle erbe odorifere (mentre si lamenta oggi la quasi totale scomparsa di alcune specie) fa parte, con premii, di queste utilissime gare. Alle somme in denaro, stabilite pei vincitori dei concorsi, si aggiungono delle superbe medaglie di argento e di bronzo fatte coniare appositamente dalla fondatrice, e ch’essa stessa, squisita artista, volle cesellare con eleganti disegni simbolici di propria invenzione. Non crediamo ancora completo il quadro delle fondazioni dovute al generoso spirito d’iniziativa personale di Agnese Mylius; senza dire d’altri suoi titoli di benemerenza in ordine alla coltura, come l’istituzione del ciclo di Letture Eugenia Mylius, che ridonda a special decoro dell’Atene e Roma. Ma quanto si è detto basta ad illustrare il di lei nobile intendimento d’incoraggiare gli studi per nuovi ed utili scopi pratici, che onora la sua mente non meno del suo cuore solo bramoso di rendere omaggio all’indimenticabile nome ed ai preclari meriti materni.

NOZZE DI DTAMANTE

21 maggio 1853 - 21 maggio 1913 Nella casa di Nazareth splendidamente addobbata, si svolse una di quelle care intime feste, che lasciano nel cuore — pronto e consapevole a sentirla — un’impressione di santa letizia: Vi sono giorni [p. 172 modifica]fu detto da una Consorella - ore vi sono le quali potrebbero paragonarsi alle oasi ristoratrici nell’arido pellegrinaggio della vita. Ore, come le altre fuggenti ma che lasciano dietro a sè -- luminose meteore — un solco radioso di luce che rischiara l’arduo cammino, rinfranca i nostri passi, ritempra l’animo a nuove energie, e nel cuore infonde quella virtù d’amore e di sacrificio che su una Croce ebbe il suo martirio e la sua apoteosi. E davvero rigeneratrici dello spirito,. confortatrici del cuore, animatrici gagliarde del pensiero e dell’azione furono appunto le ore trascorse ieri nella Pia Casa di Nazareth. • L’Ill.mo Monsignore Don Luigi Orsenigo, decano dei Canonici di S. Ambrogio, vi celebrava la sua Messa di diamante e come già fece per la sua Messa d’Oro, prescelse compiere Taugusto Rito nella stessa Casa della Riparazione ch’ebbe a fondatrice la venerata sorella sua che ottenne d’essere sepolta fra le sue figlie amatissime. Vigoroso ancora di spirituale giovinezza, l’Ill.mo Monsignore ascese l’Altare e vi offerse il S. Sacrificio assistito dall’Ill.mo Monsignor Roncari, abate Mitrato di S. Ambrogio, dai padrini sigg. Agliati Giuseppe e nob. Domenico Bianchi, alla presenza di Monsignor Ghezzi, arciprete e del Ven. Capitolo, di Monsig. Limonta, Superiore della • Pia Casa, e di Monsig. Locatelli, Prevosto di S. Stefano. Erano pure presenti le ascritte al Pio Consorzio con la loro Presidente Donna Giovanna dei Marchesi Cornaggia. Commovente la musica, mesto e soave il canto delle ricoverate. Si sentiva -in essi tutta la mistica dolcezza d’una Fede che eleva e santifica, d’una speranza che redime e consola, d’una promessa che salva e premia. Al Vangelo della. Messa Don Ismaele Rossi, con parola viva e sentita, parlò del Sacerdozio santo, illustrando così la vita buona, operosa, ricca di virtù e di meriti dell’Ill.mo Monsignore Orsenigo, affermandone la distinta intemerata personalità. Letta la Messa. Monsignore sostò qualche istante alla Tomba della sorella, indi entrò circondato da Clero, nel salone ove già si erano affollate tutto le Consorelle ansiose di udirvi una parola di inc6raggiamento e dì benedizione. Qui gli venne ossequiata l’offerta della Messa di diamante delle Consorelle di S. Savina, e diverse pergamene ricordanti i voti e gli omaggi di tanti cuori grati e riverenti. Due fanciulle bianco vestite, recitarono due poesie ispirate ai più n6bili sensi, scritte per la circostanza da una Pia Suora Riparatrice., Altra poesia di una Consorèlla a nome del Pio Consorzio da lui fondato e diretto con l’alta intelligenza che lo distingue. Il Santo Padre si degnò inviare la sua Benedizione ricca della Plenaria indulgenza lucrata da tutti i presenti. Anche l’Em. Sig. Cardinale Arcivescovo inviava

la sua Benedizione col voto fervido che l’anniversario di Stia Ordinazione gli tornasse molte volte ancora per accumulare sempre, maggiori tesori per il Cielo. Chiuse la festa l’Ill.mo Monsignore che ebbe parole di ringraziamento per tutti. Primo’ fra essi il Clero della sua ’Perinsigne Basilica Ambrosiana, i padrini che l’assistettero, le Suore che riversarono (sono parole sue) tesori di sante memorie. Anche per le Figlie di Savina ebbe parole di speciale predilezione, ma nella umiltà sua non volle attribuita ai suoi meriti la grandezza della dimostrazione e delle onoranze giubilari ricevute. Terminò il suo discorso dicendo: a E’ detta Mei(sa di diamante quella che ho teste celebra,to. Non sia •una qualifica imprestata. Che è un diamante? Carbone che natura industre lavora e trasforma. Ebbene, eccovi presente un pezzo di carbone. E voi che siete buoni, pregate perchè il sovrannaturale lo lavori e lo stras formi in diamante? oh no, non troppo alto. Almeno in un minerale qualunque, in un pezzo di pietruzza che possa venir raccolta dagli angeli e far parte anche ultima del pavimento». yis«934t!,,t.

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ODISSEA D’UN ELETTORE La Procedura Elettorale Caro Direttore, Giacchè siamo in piena discussione intorno all’applicazione pratica della nuova legge elettorale politica, non riuscirà inutile conoscere l’odissea di un elettore, che, dopo trent’anni d’incontrastato esercizio del diritto elettorale, si trova in una ben strana situazione. Nato e cresciuto in terra manzoniana, all’ombra del classico Resegone,• benchè dimorante nella diletta Milano, egli ha sempre dato la preferenza per il voto politico alla sua nativa Lecco. Al momento della grande inscrizione di tutti gli elettori capaci,di votare in qualsiasi forma, invitato ufficiosamente e anche amichevolmente dal Comune di Lecco -a dichiarare se intendeva rimanere fedele al Collegio nativo, inviò regolare domanda e il suo nome fu inscritto, come pel passato, nella novissima lista elettorale politica. Era tranquillo e attendeva Io scioglimento della Camera per recarsi nel territorio manzoniano ad esercitare il suo diritto e il suo dovere, quando la sua pace fu turbata da una notificazione municipale: la Commissione Elettorale Provinciale di Como aveva cancellato il suo nome dall’elenco degli elettori politici di Lecco, motivando la sua azione col dubbio della di lui inscrizione a Milano. Contemporanea [p. 173 modifica]mente gli giungeva avviso dall’ufficio elettorale milanese della non inscrizione nel suo elenco per constatata inscrizione del suo nome nel Collegio di Lecco. Che fare? Non era, come non è elettore politico precisamente come un interdetto o un infelice fuori della legge. Ma perchè quella onorevole Commissione comense, anzichè informarsi allo spirito largo e liberale della nuova legge, promulgata per allargare e facilitare il compito del voto, anzichè cancellare a priori il suo nome, non ha pensato di rivolgere al Comune di Milano una semplice domanda con uno delle migliaia di stampati a sua disposizione? Gli si presentava però una via aperta, e in quella si slanciò come Renzo nelle sue più difficili congiunture: un ricorso alla R. Corte d’Appello di Milano. Non temporeggiò. In ventiquattr’ore, dopo quattro visite agli uffici elettorali ed a quelli delle domande e dei rilasci di certificati, potè avere da impiegati compiàcenti il documento comprovante la sua non inscrizione nell’elenco di Milano, e, sicuro della vittoria, affidò subito alle buone mani di un Consigliere della Corte d’Appello il suo ricorso documentato e in duplo come la legge prescrive. Dopo alcuni giorni, ecco capitargli a casa una busta gialla, contenente tutto il suo incartamento, coll’aggiunta di un decreto d’una linea, che fissava la discussione della sua causa per il giusto mezzodì del 2 maggio. Ma intanto, che cosa doveva egli lare? Comparire? Non comparire? Rinunciare per la sua pace e per i suoi impegni ai sacrosanti doveri elettorali? Si recò al Municipio ed alla R. Corte per Consiglio, e — apriti cielo! — 7 seppe che avrebbe dovuto, per mezzo di un ufficiale giudiziario, intimare tutto il suo incartamento al Presidente della Commissione elettorale di Como e ritirare poi le prove ufficiali dell’avvenuta notificazione; e tutto questo entro cinque giorni dalla data deI decreto, mentre due erano già spirati! Non rinunciò alla via Crucis, e alle spese inerenti; se ne andò a Como raccomandandosi a un notaio amico, il quale lo mise nelle mani di un avvocato praticissimo; tanto è vero che egli riuscì a ripresentare il suo ricorso alla R. Corte prima che spirasse il quinto giorno fatale. La R. Corte è solennemente insediata, e viene la volta del nostro.... elettore. Questi si sente sicuro dell’esito,,ma, a buoni conti, approfitta della parola concessagli; la sua posizione gli sembra semplicissima: rimane elettore a Lecco come un Renzo qualunque; il dubbio sollevato dalla. Commissione di Como è eliminato da un documento inoppugnabile, dunque... Povero Renio Tramaglino! Il Consigliere relàtore della causa scopre che il suo ricorso sarebbe, al primo incontro, presentato in ritardo di alcuni giorni, stando alla lettera della legge, quindi... — Ma no! -- egli grida esasperato — io ho fatto

tutto in 24 ore dalla’ notificazione; quattro visite agli uffici, ritiro di documenti, redazione e presentazione-del ricorso in duplo, poi la corsa a Como e via dicendo! La’ parola è al Pubblico Ministero, e questa piomba come una mazzata sulla testa del povero elettore in sudore da molti giorni; si ritiene irrecivibile il suo ricorso, mentre poco prima aveva udito parole benevoli intorno al ricorso di un elettore che aveva subito una condanna. E tutto questo non è successo ad un elettore analfabeta, bensì ad un elettore che ha pubblicato qualche volume e da trent’anni scrive in giornali accreditati. Pertanto, come esimersi dal chiedere che cosa succederà nel Collegio di Lecco, del vero Renzo Tramaglino, e di Tonio e Gervaso? Ed ora, il nostro elettore si chiede: — Sono tale o non lo sono? -- E va sfogliando una margherita, ripetendo la domanda... Ma ad occhi chiusi ritiene che non lo sarà,. perchè se anche ricorresse in Cassazione, certo avrebbe il responso ad elezioni compiute. Caro Direttore, questo infelice è il Suo af f.mo Angelo Maria Cornelio. Siamo in grado di aggiungere la lieta fine di questa

odissea elettorale: la R. Corte d’Appello, ritornando in propria seduta sul caso interessante, ha dato finalmente ragione al nostro amico A. M. Cornelio. Ma ci domandiamo come avranno fatto e come faranno in simili frangenti centinaia e migliaia di elettori analfabeti!

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  • Per la mia povera chiesa,

se vi piace. Del Padre Appolonio, Missionario Cappuccino dell’Eritrea. Molto spesso voi leggete nell’a Eco dell’Africa» (abbonamento annuo L. 1.5o, ROMA, via dell’Olmata, i6), delle lettere come la mia, e forse direte: a Oh! anche costui è un mendicante... ma noi nonpossiamo arrivare -dappertutto!». E’ vero! ma il Missionario ha ricevuto da Dio una confidenza illimitata, una fede inestinguibile senza mai scoraggiarsi, povero mendicante, egli, senza vergogna e rossore, va sempre stendendo la mano. Oh, ma questo non già per lui! povero per sè stesso, egli vive poveramente e muore ancor più povero; egli si accontenta di una topaia, ma piange,vedendo il buon Dio in una stalla. La mia chiesa però non è una stalla: sentite la storia: Adi Caieh fu sempre una posizione strategica di prima importanza... su di un versante, ad oriente, [p. 174 modifica]si alza un contrafforte che domina la strada che conduce verso l’interno. Sopra questa altura gli Abissini, un tempo, costruirono un piccolo forte, di forma rotonda; questo forte divenne poi prigione. Quando gli Italiani s’impadronirono del paese, la prigione fu adibita a polveriera, poi a fortino, poi ancora a prigione, e alla fine... 1a Missione, non potendo provvedere in altro modo ai bisogni spirituali dei Cattolici del luogo, chiese ed ottenne di poter adibire il piccolo e vecchio edificio a chiesa. Il trasformismo è una dottrina curiosa ed abbastanza malveduta; ma, quando la si vede in pratica, essa è ancor più curiosa. Su questo caso il trasformismo è ben triste, e vi sono dei giorni, in cui io, tutto solo nella mia povera ex-prigione, mi sento il cuore gonfio. In Adi Caieh, paese di più di 3000 uomini, i mussulmani, che sono il maggior numero della popolazione, si sono costruiti una bella moschea, più, i cofti hanno una chiesa abbastanza spaziosa, gli Europei hanno belle case e splendide palazzine.... il Missionario sta in un misero casolare screpolato che qualche scossa di terremoto finirà per atterrarlo del tutto, ed il Buon Dio è allogiato in una piccola torre, anch’essa screpolata, il cui tetto, nel tempo delle piogge; lascia passare l’acqua da tutte le parti,. L’altro giorno, mentre me ne stavo a pregare vicino al mio Pio Maestro, sentii nel mio cuore un desiderio ardente di costruirgli una dimora un po’ meno indegna di Lui. Ed io gli ho promesso di mettere sottosopra cielo e terra, pur di arrivare al mio fine. Rientrato nella mia capanna, trovai sul mio tavolino un numero dell’o Eco dell’Africa i ed istintivamente io dissi a me stesso: Ecco la porta, alla quale io devo bussare! Ed io batto alla vostra porta, tutto ripieno di una confidenza senza limiti, persuaso che il mio appello sarà ascoltato; lo sapete voi quanto mi occorre? quattro meschini biglietti da mille lire. Per la mancanza di questa miseria, il povero Missionario pesta i piedi (mi struggo nelle ricerche...) col cuore angosciato; io sento i miei cattolici che si lamentano, i mussulmani ed i cofti che si beffano di noi, gli Europei che mi dicono, felici forse di trovare questa scusa: «Noi verremmo alla Messa nelle domeniche, ma non già in simile. bicocca! i Ed io sento anche il buon Ges4 che non dice nulla, ma la cui voce si fa sempre più pressante.... Così io non mi trattengo più, scrivo, parlo, supplico, tendo la mano... metteteci qualche cosa per amor del Signore.

Questi quattro miserabili biglietti ci sono bene in qualche parte; essi ammuffiscono inutilmente, chiusi col loro bel color d’oro in una gran cassa forte, tutta rivestita di ferro... uccelli dalle ali dorate; sterili prigionieri che sarebbero tanto felici, se voi permetteste loro di prendere il volo e di venir qui a far una casa al Creatore, un tempio un po’ meno indegno al Governatore del mondo. Mentre scrivo, un piccolo Abissino cattolico piega sulle mie spalle il suo musino nero, come se volesse leggere: Padre, che cosa scrive? Una lettera. A chi? Ad alcuni miei d’Italia. — Per far che cosa? Per domandare una elemosina. E questa elemosina — a che deve servire? A costruire qui una chiesa. Crede che verrà l’elemosina? Ciò dipende.... Da chi? Allora io faccio un gesto largo... io indico voi, voi che cercate talvolta qualche opera buona da compiere. Ho finito -- a voi adesso il parlare. Terminando vi dirò che voglio dedicare la mia chiesa,,perchè certamente essa si farà: (io conto sopra di voi) a Maria Immacolata. Amici lettori, ascoltate l’ultima mia parola... Un piccolo soldo, per carità, per costruire una piccola chiesa a Gesù, io ve lo domando per amor di Maria Immacolata. Voi non potete rifiutarvi. — Io prego, spero ed aspetto. Ogni offerta, anche minima, accetta con viva riconoscenza il «Sodalizio di S. Pietro Claver a Roma, via dell’Olmata 16. Basta inviarla con la specificazione: Per la costruzione della Chiesa nell’Adi Caieh, Eritrea. («Corrispondenza Africana.»)

La Gratitudine di S. E. Mons. Carrara L’ultima nostra sottoscrizione per la Missione Apostolica nella Colonia Eritrea fruttò L. 620 che furono inviate direttamente a S. E. Mons. Camillo Carrara. Il soccorso riuscì graditissimo, come risulta dalla [p. 175 modifica]seguente lettera indirizzata dal Vicario Apostolico al nostro collaboratore Angelo Maria Cornelio:

VICARIATO APOSTOLICO DELL’ERITREA Asmara, 6 Maggio, 1913 Ill.mo Signore, Ho ricevuto la cospicua somma di L. 620 che Ella si compiacque raccogliere tra i lettori e gli amici ’del nostro caro «Il Buon Cuore» a vantaggio della mia povera Missione. Non ho parole sufAcienti per esprimere la mia viva riconoscenza. Voglia Lie, Egregio Signore, farsi interprete presso gli ottimi miei Benefattori, dei sentimenti dell’animo mio profondamente grato. La somma che gli amici di Milano hanno voluto favorirmi, arriva veramente in buon punto. A Cheren il locale per la scuola indigena, frequentata da una settantina di ragazzi, minaccia rovina da tutte le parti. Il Superiore di quella casa mi sollecitò più volte ’a voler provvedere alla ricostruzione della scuola in pericolo di cadere; ma con mio dolore dovetti sempre rispondere che affatto non avevo danari disponibili. Intanto pregavo il Signore che ispirasse alle persone benefiche e generose, di venirmi in aiuto. La preghiera del povero Missionario ottenne il suo effetto. Si richiedevano circa lire 60o, e queste vennero, mercè la coritatevole iniziativa di Lei, mio caro Benefattore. Io sono felice, e più di me saranno felici i poveri bambini di Cheren che in questo modo hanno assicurata l’istruzione anche per l’avvenire. Grazie a Lei, grazie a tutti i miei Benefattori. Mi è caro poterle assicurare che provvederò a che presto vengano imposti a nuovi battezzandi i nomi desiderati dai singoli Benefattori e che Ella mi comunica nella pregiatissima sua. Mi abbia sempre suo

Obbl.mo amico CAMILLO CARRARA.

gentile e generoso, buon gusto letterario, sentimento profondo, doti squisite di educazione formavano un’armonia nella quale l’anima nobile e pia della rimpianta defunta vibrava in ogni manifestazione. Condoglianze vivissime al vedovo desolato, il comm. prof. Luigi Gabba, e alla degna figlia Ersilia.

Altra dolorosissima dipartita è quella della

Contessa Rosa Arborio Mella spirata a Vercelli. Ella pure intelligente, buona e istruita, assecondò il marito, Conte Federico, in opere di illuminata beneficenza, specie a favore degli operai emigrati, corrispondendo a quanti chiedevano un soccorso alla sua mano pietosa. Pace alla sua bell’anima! Al vedovo in lacrime il conforto della speranza.