Il contr'uno o della servitù volontaria/Avvertenza degli Editori

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Avvertenza degli Editori

Lettera del signor de Montaigne IncludiIntestazione 18 maggio 2015 100% Da definire

Lettera del signor de Montaigne

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AVVERTENZA


DEGLI EDITORI





Quel grande spirito di Alessio de Tocqueville, nel suo ultimo libro, L’ancien régime et la révolutien, dimostrò la continuità del progresso civile in Francia a traverso i diversi secoli e i vari governi che, a prima vista, sembrano mutarne l’indirizzo. La medesima continuità si riscontra necessariamente nel progresso ideale francese, di cui il progresso civile è il graduale avveramento. Tutti i principj dei sistemi filosofici e sociali, ora prevalenti in Francia, si ritrovano negli antichi scrittori francesi. Quel repubblicanismo greco-romano, che imperversò tanto ai tempi della prima repubblica, e sotto forme larvate, per quanto il breve tempo lo consentì, nella seconda, ha, [p. vi modifica]per atto d’esempio, i semi e i riscontri nella Lega cattolica, e nel Contr’uno di Stefano de la Boétie.

La lega cattolica ha troppo favore al presente dal democratico signor Vermorel, nuovo editore del libro de la Boétie1. Egli si ride della popolarità di Enrico IV, della poule au pot e del vanto che fu il solo re, di cui il popolo abbia serbato memoria. Crediamo ch’egli esageri, e che il gran nome di libertà che la lega pretesseva al suo fanatismo religioso non fosse che un istrumento di guerra, da riporsi nell’arsenale dell’anticaglie quand’avesse servito. Ma nel secol nostro è andazzo di paradossi, e i democratici [p. vii modifica]si attaccano alle funi del cielo per avere antecessori, e mostrare un grande e decrepito albero genealogico, peggio che non facciano i figli dei crociati. I più sicuri giudici dell’indole dei moti politici di un popolo sono gli stranieri veggenti. Ora, per non citare che un’autorità, tutto il carteggio del gran Paolo Sarpi mostra da qual parte fossero le simpatie dei liberali d’Europa nel principio del secolo decimosettimo. L’assassinio di Enrico IV fu creduto una sventura per la libertà del pensiero come per l’indipendenza politica dei popoli, e il signor Vermorel avrà dotti e dottrine a sua difesa, ma non ha certo il vero dal lato suo.

Un altro paradosso od esagerazione del signor Vermorel si è l’esaltare Stefano de la Boétie a [p. viii modifica]danno del suo amico ed editore Michele di Montaigne. Questo scettico sentì profondamente l’amistà, e reso alla memoria dello spento amico gli onori che lo fecer vivere nella memoria dei posteri. Ei ne raccontò la morte in modo da farne una pagina di Plutarco; egli raccolse tutte le reliquie dell’ingegno di lui, per fino i suoi sonetti, così quelli più fervidi per la donna de’ suoi primi pensieri e quei più freddini per la moglie. Egli diè fuori il Trattatello della servitù volontaria o il libro del Contr’uno, avvertendo che fu per avventura un giuoco dell’ingegno precoce dell’autore a sedici o come altri vuole a diciotto anni. Qui il Vermorel ha ragione di dire che quello scritto non è una declamazione; ha tale sostanza di ragioni, tal serietà di convinzione [p. ix modifica]che è assurdo prenderlo per un trastullo di eloquenza sofistica. Egli avrebbe anche ragione di dire che si cercò sfatarlo o farlo dimenticare, perchè era luce e fiamma troppo ardente agli spiriti, e ai tempi torbidi fu veramente difeso per eccitare a libertà. Ma il Montaigne ha pregi assai maggiori ed ebbe efficacia assai più profonda e vasta all’emancipazione dello spirito umano: e il medesimo signor Vermorel confessa che fu il precursore di Voltaire, e che mostra consentire con La Boétie quando dice che l’amico suo avrebbe amato meglio esser nato a Venezia che a Sarlat e quando ribadisce con quel suo stile pittoresco lo spregio delle corone: Si avons-nous beau monter sur des eschasses, car sur des eschasses encore faut-il marcher sur nos [p. x modifica]jambes, et au plus élesvé trosne du monde, si ne sommes nous assis que sur nostre cul!.

La Servitù volontaria porta nel suo titolo la condanna più dei servi che dei tiranni. Se l’uomo perde la metà dell’anima il dì che diventa servo, egli diventa servo per averne prima perduta l’altra metà: onde lo schiavo è un bruto, ma volontario, come i trasformati da Circe, che rifiutavano l’offerta di Ulisse, autorizzato dalla maga a tornarli uomini. La Boétie mette la scure alle radici della tirannide, provando che ella nasce e vive della comune viltà. Tutte le declamazioni contro gli abusi della tirannide sono meno efficaci che il dire ai servi: contatevi.

Questo libro è eterno come l’imbecillità umana, a cui cercai venir in aiuto. E ai nostri tempi, [p. xi modifica]sì presuntuosi e millantatori di libertà, a certe ore tornerà utilissimo. Fortuna che noi possiamo averlo nella nostra lingua non meno preciso, evidente, efficace che nell’originale. Pietro Fanfani, sì gran maestro di stile, ha qui fatto uno de’ suoi miracoli. Egli ha ammodernato La Boétie senza fargli perdere nulla dell’incanto che viene dall’ingenuità e singolarità delle forme arcaiche; egli ha sciorinato le perle più native e pure del dir nostro restando fedelissimo al testo. Noi ne abbiamo fatto il raffronto dopo averlo letto da sè. Ci pareva da prima impossibile, che con tanta facilità e naturalezza egli non si fosse dipartito senza riguardi dalla lettera dell’autore. Ma, al cimento, trovammo che la mano maestra aveva saputo con un’alchimia tutta propria [p. xii modifica]far dell’oro vecchio una cesellatura celliniana, o ci piacque vedere come la scienza grammaticale e lessicografica sia una leva potente nelle mani del Fanfani, e non un impaccio come fu al Cesari. Ma crediamo che il sapere perfetto produca sempre di tali frutti.

Stefano de la Boétie era nato a Sarlat nel Périgord il 1 novembre 1530, fu consigliere al Parlamento di Bordeaux e tenutovi in conto di oracolo. Morì a Germignac presso Bordeaux, il 18 agosto 1563. Montaigne disse di lui: Je me fusse certainement plus volontiers fié a lui de moy qu’a moy. Lo stesso direbbe La Boétie, rispetto al suo più bel libro, se potesse leggere la versione di Pietro Fanfani.




Note

  1. Paris, Bibliothèque nationale, Debuissen et C. 1863.