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Il contrattempo/L'autore a chi legge

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L’autore a chi legge

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Lettera di dedica Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE1.


Q
UESTA Commedia, che ora s’intitola Il Contrattempo, o sia il Chiacchierone Imprudente, è quasi la medesima che col titolo soltanto d’Uomo Imprudente fu data ai Comici, e fu sul Teatro rappresentata.2 Avendo io voluto dipingere un uomo che fosse in tutte le azioni sue imprudente, mi riuscì il carattere trasportato un po’ troppo, lo che dispiacque ai più delicati, e meritai che Momo nel Museo d’Apollo3 lo dichiarasse un pazzo. Trovai la critica così giusta, ch’io m’indussi da me medesimo a moderar il carattere dell’imprudente, e un altro aspetto gli diedi. Come! (dirammi forse taluno) non sei ancora arrivato a distinguere la verità dei caratteri dalla disorbitanza? Dopo tante Commedie fatte hai tu bisogno ancora dell’altrui critica per rilevarne i difetti? Rispondo, Lettor carissimo, che ne ho bisogno pur troppo, e non solo io sono in tale necessità costituito, ma tutti quelli che scrivono, e i più consumati Scrittori ancora; e da quelli che si acquistarono fama colle Opere loro imparare possiamo, che se prima di esporle avessero avuto la buona sorte di sentir le amorose critiche degli uomini di giudizio, le averebbono migliorate, e fra le buone e lodate non ne averebbono lasciato correre tante altre, che poco o nulla si stimano. Facilissima cosa è, che qualunque Autore si inganni, e creda ragionevole e verisimile ciò che ad altri parrà eccedente. Basta innamorarsi di un carattere grande, e volerlo in [p. 384 modifica]varie viste dipingerlo, facilmente si cade senz’avvedersene nella disorbitanza: e non vai nemmeno il fidarsi dell’esempio di qualche Originale stravagante, che ci somministri l’idea, poichè l’universale non vuole sopra le Scene un vero estraordinario, ma un verisimile più comune. Al facile inganno degli Scrittori por rimedio potrebbe la saggia discreta critica, se questa in tempo loro giungesse, e da sincero animo derivasse, ma per lo più, o sono eglino adulati con falsa lode, o sono con pungente satira vilipesi; nel primo caso si fidano troppo de’ falsi amici, nel secondo agl’inimici non credono.

Un savio censore, un discreto onorato critico, sarà sempre un tesoro per chi dee al pubblico esporsi, e guai a coloro che prosontuosi e superbi non degnano porgere altrui l’orecchio, e sfuggendo le correzioni in privato, soffrono poi dal pubblico meritamente le derisioni.

Io voglio dar a me medesimo questo vanto d’essere de’ più arrendevoli ai buoni consigli di quelli che per mio bene mi parlano, più contento di errare coll’oppinione altrui, che arrischiare l’evento per ostinazione.

Ho dunque cambiato in parte il carattere di un imprudente che potea passar per un pazzo, e l’ho ridotto ad un Chiacchierone imprudente, che si rovina coi contrattempi. Ciò non ostante sarà egli un pazzo, poichè ciò può dirsi di tutti quelli che non regolandosi con saviezza, si lasciano dominare dalle passioni e dai vizi; ma in tutte le cose vi è il più ed il meno, e può essere che io lo abbia moderato bastantemente.

Qualunque sia per riuscire al gusto de’ leggitori una tal Commedia, vorrei però venisse il carattere ben bene considerato di colui che parla troppo, e con imprudenza. In verità parecchi conosco io, che hanno bisogno di studiarvi sopra, e far a se medesimi delle applicazioni morali, e delle salutevoli correzioni. Quanti, per dire una barzelletta, non si guardano dal disgustare una persona, che può far loro del bene! Oh quanti, per dir i fatti loro a chi non li dovrebbe sapere, si rendono ridicoli, e pregiudicano all’interesse, alla riputazione e al decoro! E quanti, parlando male d’altrui ne’ pubblici luoghi, sono da que’ medesimi che prendono [p. 385 modifica]a criticare, o veduti, o uditi? A me medesimo è accaduto più volte sentir dir male di me in mia presenza, senza essere conosciuto. Due anni sono in Bologna4, arrivato colà appena in tempo che dalla Compagnia de’ Comici del Medebach recitavansi da un mese in circa le mie Commedie, andai in un Caffè a trattenermi, ove non era io conosciuto. Entra poco dopo di me un Forestiere, e dice forte: Signori, una nuova: a Bologna è arrivato il Goldoni. Risponde uno de’ circostanti: Non me n’importa niente, e se ne va di bottega. Da lì a non molto, giunse colà un Bolognese, che senza conoscermi mi volea bene (siccome tutti in Bologna, a riserva di pochi, hanno per me dell’amore e della bontà moltissima); corsegli incontro il Forestiere suddetto, e dissegli con certo riso sul labbro, che aveva ancor dell’equivoco: Ehi! È arrivato Goldoni; rispose il cortesissimo Bolognese: L’ho molto caro, lo vedrò volontieri. Al che soggiunse quell’altro, col riso un poco più tendente all’ironico: Oh sì: vedrete una bella cosa! Continuò poscia incalzando: Che dite delle sue Commedie? Mi piacciono: dissegli il Bolognese, e tanto bastò perchè sparisse affatto un’ombra di riso dal labbro turgido del Forestiere, e scaricasse egli un monte d’ingiurie contro le povere Opere mie. Cheto, cheto me ne stava io, godendo le grazie di quel mio padrone, allora quando entra un amico mio, e mi dice: Benvenuto, dottor Goldoni. Arrossii io medesimo per colui, che rimase mortificato, escì dalla bottega immediatamente, e moralizzando sul fatto col camerata, si declamò contro l’imprudenza.

Cent’altri casi simili accaduti mi sono in Venezia principalmente, in occasion delle Maschere ai Teatri, ai Caffè, per le strade e nello strepitoso Ridotto. Questo è quell’ampio luogo, in cui fra tante savie persone che vi concorrono per onesto divertimento, si affollano i disperati e gli oziosi, i quali avendo mascherata la faccia, credono aver mascherara la lingua ancora, per non essere riconosciuti parlando. Dicono i fatti loro a chi non cura saperli, e framischiano con i loro anche i fatti degli altri, e a questi [p. 386 modifica]aggiungono la favoletta e il frizzo bizzarro per comparire spiritosi. Colà decidono della reputazione d’un uomo, e lo hanno talora dietro le spalle a fremere ed ascoltarli. Goldoni ha terminato di far Commedie (disse uno di questi tali una sera); finora ha rimuginato un magazzino di Commedie vecchie: queste sono finite, ed egli è in secco. Bella cosa s’io avessi allora risposto: Signora Maschera, un’altra Commedia la farò certo, somministrandomi voi l’argomento colla vostra imprudenza! Ma se non l’ho detto, può darsi ch’io l’abbia fatto, e che in questo picciolo ritrattino egli ancora si riconosca. Da che potrà arguire la Signora Maschera, qual sia il magazzino da dove prendo le mie Commedie, per le quali non mancheranno mai argomenti, fino che dura il Mondo5.

  1. Questa prefazione uscì la prima volta nel t. VIII (1755, falsam. 1754) dell’ed. Paperini di Firenze.
  2. Vedasi prefazione della Donna vendicativa.
  3. Il Museo d’Apollo, graziosissimo Poemetto di un dottissimo Cavaliere Veneziano, a cui è dedicata la Commedia trentesima di questa Edizione  1 . Per Francesco Pitteri. Venezia 1754.
    1. Intendesi dell’ed. Paperini. - La commedia trentesima è dedicata al N. H. Gio. Falier; ma si sa che il poemetto fu scritto invece dai N. H. Nicola Beregan, a cui il Goldoni dedicò poi la Buona moglie (v. Mémoires, II, ch. 32 e vol. II, pp. 623-4, della presente edizione).
  4. Nel maggio dell’anno 1732.
  5. Questo episodio, oltre che nei Mémoires (II, ch. 23), si trova lungamente narrato nelle prefazioni del Vecchio bizzarro e del Festino, nel t. II (1757) del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. Goldoni, ed. Pitteri di Venezia.