Il diavolo nella mia libreria/Divento bibliofilo, ma i libri mi fanno paura

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Divento bibliofilo, ma i libri mi fanno paura

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Divento bibliofilo, ma i libri mi fanno paura
Vado a vendere i libri; ma nessuno li vuole Il diavolo si diverte
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Divento bibliofilo, ma i libri mi fanno paura.

Ecco, dunque, come io diventai bibliofilo: ma, pur troppo, mi accorsi che erano quasi tutti libri seri. Avrei dovuto farne tutto un falò. Ma mi pareva che ne dovessero venir fuori le anime dei morti, e anche quella della povera zia a rimproverarmi. E anche una compagnia di preti a reclamare i loro breviari.

Avevo già il rimorso di aver fatto gettare su la concimaia — durante il primo spoglio — una metà circa dei dodici sacchi; ed erano le carte e i quinterni i quali, per quanta diligenza avessi posta, non sarebbe stato possibile ridurre più in buon essere di libri. E mi ricordo che vedendo la broda [p. 34 modifica] nera della concimaia coprirsi di bianco per i cestoni di carte che il contadino e la donna di casa vi buttavano ridendo, io pensai: «Ecco il caso di dire, come è scritto sui cimiteri, resurgent, rinasceranno. Rinasceranno in piante». E dissi al contadino di affondare con la forca tutto quel bianco giù nella concimaia.

Dai libri così rimasti, e con i quali avevo coperto tutta una parete, come ho detto riuscii a levarne fuori un centinaio circa, che rispondevano alla intenzione dell’antiquario di Milano.

E poi mi diedi a ripassarli e a leggerli così a caso, pigliandone una mezza dozzina per volta; e in questa faccenda sono durato assai tempo.

Che strani effetti! La mia anima reagiva a quelle letture in modo così buffo che io mi sarei divertito se non si fosse trattato di me stesso. Perchè io soffrivo.

Una notte, per esempio, dopo una lunga lettura, appena spento il lume, mi sognai che la corriera dell’umanità andava pure avanti; e che io ero rimasto a terra, e per [p. 35 modifica] quanto chiamassi, non si fermavano per raccogliermi: un’altra notte mi sembrò che tutti quei libri fossero tanti piombi, come quelli che si mettono alle reti, e che mi trascinavano in fondo a un gorgo: il passato inutile. Un’altra volta ebbi la sensazione di essere mutato in una tròttola, che andava su e giù per i corsi e ricorsi della storia. Assicuro che ne provai uno stordimento di testa dolorosissimo. Altra volta vedevo quella bella colonna d’acqua che viene fuori dalla vasca che è nei giardini pubblici di Milano davanti a quella brutta statua di prete senza piedestallo e rappresenta Antonio Rosmini. Attorno alla vasca stanno le balie e i marmocchi, che varano le loro barchette e gridano: «Avanti!» Ma io vedevo soltanto la colonna dell’acqua. Essa viene fuori con un’enorme forza, prende tante belle infiorescenze bianche, ma quando è arrivata a una certa altezza, vacilla, scherza, ha un invisibile attimo di arresto, e poi inesorabilmente precipita. Non può salire di più. Anche l’uomo con tutti i suoi Avanti! Avanti!, mi pareva che [p. 36 modifica] non potesse salire di più, come quella colonna d’acqua.

Che ne pensa lei, Don Antonio Rosmini? Quel prete era di bronzo e non mi rispondeva. Pover’uomo! Quanto deve aver sofferto per conciliare insieme la ragione e la fede! Ma io non leggerò le opere di Antonio Rosmini. «Tu anzi — dicevo a me stesso — se vuoi star bene di salute, dovresti rigettare quel poco che sai». Studiare? Pensare? pensarci su, come insegnano i maestri di scuola agli scolari? Quale sciocchezza! Oh, che Alessandro Manzoni mi perdoni; ma a pensarci su ci si ammala di insonnia!

La libreria della mia povera zia, con le nausee che mi produceva, operava su me come un enorme emetico, sì che io concepii la speranza di liberare il cervello del troppo cibo.

Mi parve di capire la necessità delle rivoluzioni. Noi abbiamo bisogno di [p. 37 modifica] distruggere; altrimenti con tutte quelle leggi accumulate in tanti secoli, gli uomini si confondono la testa, e stanno male di salute.

Ma altre volte avevo la sensazione di leggi inesorabili, di fatti immutabili, che si pigliano giuoco di tutte le rivoluzioni degli uomini: vermi e farfalle.

Da questo sozzo verme viene fuori una farfalla così bella che nessun gioielliere creerà mai un monile che ne pareggi lo splendore. E una signorina avrà tanto orrore di quel verme che non oserà neppure pestarlo. Viceversa ella vi chiamerà crudele se voi strappate un’ala della farfalla. La signorina non sa che la farfalla porta nel suo ventre tanti ovini da cui nasceranno tanti altri vermi. «E anche lei, signorina, — come la farfalla — porta nella sua pancina tanti ovini da cui nasceranno tanti vermi». Vermi e farfalle! E questa è la metamorfosi: Polifemo e Galatea! Polifemo è il verme orrendo, Galatea è la bianca farfalla che scherza sul mare. Galatea schernisce Polifemo e giuoca con lui, Polifemo la ama e la divora. E come l’ha divorata, [p. 38 modifica] ecco ella rinasce e torna a scherzare col mostro. Polifemo non può vivere senza Galatea, né lei può vivere senza lui. Questo giuoco è monotono. Quando muteremo questa legge monotona? «Ah, Archimede! Archimedes! - esclamai - (aveva aperto un gran libro dove c’era un’incisione di un uomo barbuto, con sotto scritto Archimedes).

Lei domandava un punto d’appoggio fuori del mondo per far forza con la sua leva. E mentre lei diceva così, ecco entrò nel suo gabinetto da studio un soldato romano, una specie di bolscevico di quei tempi, e la ammazzò. Forse il soldato romano aveva ragione; lei, Archimede, era un rivoluzionario sul serio perchè domandava un punto d’appoggio fuori del mondo.

Anche Gesù Cristo domandava un punto d’appoggio fuori del mondo; e fu ucciso!

Forse non è permesso di essere rivoluzionari sul serio». [p. 39 modifica]

Tuttavia da quella nausea, da quei terrori mi parve di potere ricavare qualche utile ammaestramento. L’eredità della mia povera zia avrà servito a qualche cosa. Di mano in mano che ripassavo i libri, col lapis prendevo note e appunti. Li ho riordinati, ed eccoli qui:

Le prefazioni. È curioso come in quei secoli, Seicento e Settecento, questi scrittori sentissero un bisogno invincibile di professarsi umilissimi servi di qualche Cardinale, Principe, Monsignore, a cui il libro è dedicato; di essere annoverati tra i servitori di qualche potente: tutti sottomettono se stessi e l'opera propria.

Vedo tutta questa illustre gente, sfarzosamente vestita alla spagnuola, che bacia a usted los pies.

Era tutta formata di cortigiani questa mia patria?

Mi viene una gran voglia di far portare nella concimaia tutti questi libri del Seicento e del Settecento. Nel Seicento la [p. 40 modifica] Spagna comandò in Italia, nel Settecento comandò l'Austria, poi comandò la Francia, poi tornò a comandare l'Austria. E in questo secolo chi comanda in Italia?

Sono colpito da amnesia storica: non ho più la sensazione che nel 1861 è stato proclamato il regno d’Italia.

Tricolore! Italia libera! Dio lo vuole! che erano le voci del popolo italiano, settanta, ottanta anni fa, come sono fioche oggidì! Non echeggiano più nel popolo d’Italia. Ma hanno veramente echeggiato mai?

Perchè sei morto. Renato Serra? Una leggenda, che corse fra gli amici, dice che tu andasti volontariamente incontro alla morte. Avanzasti contro il nemico con quella tua fronte dolorosa, finché la spezzarono quella fronte. Certo quella sera che tu partisti per la guerra, tu eri sotto un’impressione di fatalità.

Guardo questo balteo del Quarantotto, queste spade d’Italia, questa coccarda tricolore sbiadita, e non so in quale posto le collocherò.

Via, addormentiamoci un po’ sopra questi [p. 41 modifica] inutili libri del Seicento spagnuolo e dell’austriaco Settecento. Tutta questa brava gente erano cortigiani di un uomo divinizzato, come oggi sono cortigiani della massa divinizzata.