Il giornalino di Gian Burrasca/13 febbraio

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13 febbraio

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13 febbraio.

Quante cose, e quali, ho da scrivere stamani!... Ma tutto ora consiglia la massima prudenza e non posso perdermi in descrizioni e in considerazioni oziose, ma bisogna che mi sbrighi a registrare i fatti nudi e crudi.

Che notte!... e che botte!...

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Ecco dunque com’è andata.

Naturalmente ieri sera non mi sono addormentato.

L’orologio della chiesa vicina suonava le undici e mezza...

I miei compagni dormivano... mi alzai e mi vestii. Gigino Balestra che dal suo lettuccio non mi perdeva di vista fece lo stesso e pianino pianino, in punta di piedi, mi venne accanto.

- Sdràiati sul mio letto - gli dissi all’orecchio. - Io vo nell’armadietto; a suo tempo di lassù ti darò il segnale. -

Egli obbedì e io salii sul comodino, e di lì entrai nel mio piccolo osservatorio.

Misi l’occhio al solito forellino. Tutto era buio nel salone; ma i tre spiritisti non tardarono ad arrivare.

Il cuoco che portava un lume a petrolio lo posò su una consolle, e tutti e tre si rivolsero a me... cioè al compianto Pierpaolo Pierpaoli.

Il direttore disse a bassa voce:

- Mi pare che stasera abbia gli occhi più neri... -

La signora Geltrude lo guardò e schiuse le labbra in modo ch’io capii benissimo che era per dargli dell’imbecille, ma si ritenne per paura dello spirito di suo zio. E pensare che il povero sor Stanislao aveva pienamente ragione, perché i due buchi fatti da Carlino Pezzi negli occhi del ritratto, sul fondo nero dello sgabuzzino dove stavo io, dovevano fare appunto l’effetto che gli occhi del compianto fondatore del Collegio si fossero molto ingranditi! Poco dopo il Direttore, la Direttrice e il cuoco erano seduti attorno al solito tavolino, con le mani unite e stavano aspettando silenziosamente, tutti riconcentrati, che il fluido si sviluppasse.

L’orologio della chiesa suonò dodici tocchi.

Il cuoco esclamò:

- Pierpaolo Pierpaoli! -

Il tavolino dette un balzo.

- C’è - mormorò la signora Geltrude.

Vi fu una pausa solenne.

- Puoi parlare? - domandò il cuoco: e tutti e tre sbarrarono gli occhi verso il ritratto.

Incominciava la mia parte. Risposi assentendo con un sì che pareva un soffio.

- Ssssss... -

I tre spiritisti erano così commossi che ci volle un bel pezzetto prima che ripigliassero un po’ di fiato.

- Dove sei? - disse finalmente il cuoco.

- In Purgatorio - risposi con un fil di voce.

- Ah zio! - esclamò la signora Geltrude. - Voi che eravate così buono, così virtuoso!... E per quali peccati?

- Per uno solo, - risposi io.

- E quale?

- Quello di aver lasciato questo mio istituto a persone indegne di dirigerlo! -

Dissi queste parole con voce un po’ più alta e con accento adirato; e parve che esse cadessero sulla testa dei tre spiritisti come tante tegole. Si abbandonarono col capo e con le braccia stese sul piano del tavolino, affranti dalla terribile rivelazione e rimasero così sopraffatti dai loro rimorsi, per parecchio tempo.

La prima a riaversi fu la signora Geltrude che domandò:

- Ah zio... adorato zio... Degnatevi di dire i nostri torti e noi li ripareremo.

- Li sapete! - risposi con voce grave.

Ella parve riflettere; poi riprese:

- Ma ditemeli... Ditemeli!... -

Io non risposi. Mi ero già imposto di non rispondere che alle domande che favorivano il nostro progetto e oramai non ve n’era che una che aspettavo, e che non poteva indugiare a essermi rivolta.

- Zio!... Non rispondete più?... - disse ancora la Direttrice con voce insinuante.

Lo stesso silenzio.

- Sei dunque molto sdegnato con noi? - aggiunse ella.

E io sempre zitto.

- Che sia andato via? - chiese al cuoco.

- Pierpaolo Pierpaoli! - disse l’odiato manipolatore delle minestre di magro con le rigovernature. - Ci sei sempre?

- Ssssss... - risposi.

- C’è sempre; - disse il medium - se non risponde vuol dire che a certe domande non vuol rispondere e bisogna fargliene delle altre.

- Zio, zio!... - esclamò la signora Geltrude. - Abbiate pietà di noi, poveri peccatori!... -

A questo punto io mi scostai dal forellino fatto da me nella tela e piantai gli occhi nei buchi fatti da Carlino Pezzi e incominciai a roteare le pupille a destra e a sinistra e, ogni tanto, a fissarle sui tre spiritisti.

Essi che tenevano sempre lo sguardo intento al ritratto, poco dopo si accorsero che esso moveva gli occhi, e presi da un gran tremito si scostarono dal tavolino e caddero in ginocchio.

- Ah, zio! - mormorò la signora Geltrude. - Ah, zio!... pietà... pietà di noi!... Come potremo riparare ai nostri torti? -

Era qui che l’aspettavo.

- Togliete il segreto alla porta - dissi - perché io possa venire a voi... -

Il cuoco si alzò e pallido, camminando a zig-zag come un ubriaco, andò a togliere il segreto alla porta.

- Spengete il lume e aspettatemi tutti in ginocchio! -

Il cuoco spense il lume e io sentii poi tornare a inginocchiarsi accanto agli altri due.

Il gran momento era giunto.

Lasciai il mio posto d’osservazione e affacciatomi all’ingresso dell’armadietto feci con la gola un suono come si fa quando si russa.

Immediatamente Gigino Balestra si alzò dal mio letto ov’era ancora disteso e, senza far rumore, uscì dalla camerata.

Egli andava a dar l’avviso ai compagni della Società segreta che eran tutti pronti per irrompere nel salone di Pierpaolo Pierpaoli e, armati di cinghie e di battipanni, farne le giuste vendette.

Io mi rivoltai nel mio sgabuzzino e accostai l’orecchio alla tela del ritratto per godermi un po’ la scena.

Sentii aprire l’uscio della sala, richiuderlo col segreto, e poi ad un tratto le grida dei tre spiritisti sotto i primi colpi.

- Ah! gli spiriti!... Pietà!... Aiuto!... Soccorso!... -

Mi ritirai precipitosamente, e uscito di camerata accesi uno stoppino del quale mi ero provvisto, andai nella stanzetta dei lumi a petrolio, aprii con la chiave che mi aveva dato il Barozzo, staccai la grossa chiave che trovai attaccata dietro la porta secondo le istruzioni che mi aveva dato, e corsi al portone d’ingresso del collegio.

Tito Barozzo era lì. Prese la chiave, aprì il portone, poi si rivolse a me e mi avvinghiò con le braccia, e mi tenne stretto stretto al suo petto; mi baciò e le nostre lacrime si confusero insieme sui nostri visi...

Che momento! Mi pareva d’essere in un sogno... e quando ritornai in me io ero solo, appoggiato al portone dell’Istituto, chiuso.

Tito Barozzo non c’era più.

Girai la mandata e ritirai la chiave dal portone e rifacendo rapidamente la strada già fatta l’andai a rimettere al suo posto, richiusi l’uscio dello stanzino dei lumi e ritornai in camerata dove mi affacciai con la massima precauzione, assicurandomi se i miei piccoli colleghi dormivano tutti.

Dormivano infatti. Il solo desto era Gigino Balestra, a sedere sul mio letto, che mi aspettava inquieto, non sapendo il motivo per il quale ero uscito.

- Siamo tutti ritornati in dormitorio - mormorò. - Ah, che scena!... -

Voleva parlare, ma io gli accennai di stare zitto; salii sul comodino, mi tirai su a sedere nell’armadietto e feci cenno a Gigino di venir su anche lui. Con molti sforzi si riuscì a ficcarci tutti e due nel mio osservatorio tra le cui anguste pareti, stavamo distesi, stretti l’uno all’altro come due sardine di Nantes, con la differenza che non eravamo senza testa come loro, ma anzi avevamo i nostri visi, anch’essi appiccicati insieme, dentro la finestrina da me aperta sulla gran sala di Pierpaolo che era nella più completa oscurità.

- Ascolta, - dissi in un soffio di voce a Gigino. Si udiva già un singulto cadenzato.

- Geltrude - sibilò il mio compagno.

Doveva essere intatti la Direttrice che piangeva e ogni tanto borbottava con accento fioco:

- Pietà!... Perdono!... Mi pento di tutto! Non lo farò più!... Misericordia dell’anima mia!... -

A un tratto nel silenzio tragico di quel momento s’alzò una voce tremula che diceva:

- Pierpaolo Pierpaoli... possiamo riaccendere il lume? -

Era quel mascalzone del cuoco, inventore della minestra di rigovernatura.

Non mi pareva vero di vedere come lo avevano conciato i compagni della Società segreta e mi affrettai a rispondere col solito sibilo:

- Sssssss... -

Si udì inciampare; poi lo sfregamento scoppiettante di un fiammifero di legno contro il muro, si vide una piccola scialba fiammella giallognola vagar qua e là nel buio come un fuoco fatuo nel cimitero e finalmente un lume si accese.

Ah, che spettacolo! Non lo dimenticherò mai.

Le sedie, i tavolini erano rovesciati per terra. Sulla consolle il grande orologio, i candelabri erano in bricioli. Dovunque regnava uno spaventevole disordine.

Da un lato, accanto al lume acceso, appoggiato alla parete, il cuoco col faccione verde pieno di bitorzoli, vòlto verso di noi, guardava con gli occhi languidi e lacrimosi il ritratto.

Dall’altra parte, accovacciata in un angolo, era la Direttrice, col viso sgraffiato, i capelli disciolti e le vesti in brandelli. Anche lei aveva gli occhi gonfi, stralunati, e fissava sul ritratto le inquiete pupille.

Poi sopraffatta dal rimorso e dal dolore dètte in un pianto dirotto, balbettando sempre rivolta alla venerata effige del defunto Pierpaolo:

- Ah, zio! hai avuto ragione di punirci! Sì... noi siamo indegni di questa tua grande istituzione alla quale dedicasti tutta la tua vita intemerata!... E hai fatto bene a mandarci gli spiriti a punirci, a gastigarci delle nostre colpe... Grazie, zio! Grazie... E se ci vuoi dare altri gastighi, fa’ pure!... Fa’ pure! Ma ti giuro che da qui in avanti noi non ricadremo più nel peccato tremendo dell’egoismo, dell’avarizia, della prepotenza... Te lo giuriamo, non è vero, Stanislao!... -

E si volse lentamente alla sua destra, poi girò lo sguardo da ogni parte, sgomenta.

- O Dio! Stanislao non c’è più!... -

Infatti il Direttore mancava, e io sentii una stretta al cuore. Che ne avevano fatto, i compagni della Società segreta?...

- Stanislao!... - chiamò con voce più alta la Direttrice.

Nessuno rispose.

Allora il cuoco alzò la voce verso il ritratto:

- Pierpaolo Pierpaoli! Gli spiriti punitori hanno forse portato il nostro povero Direttore all’inferno?... -

Io rimasi zitto. Volevo dimostrare, ora, che lo spirito del fondatore del Collegio non era più presente. E vi riuscii perché il cuoco, dopo averlo più volte chiamato, disse (e nel dir questo la sua voce aveva ripreso il suo tono calmo e naturale):

- Non c’è più! -

Anche la signora Geltrude fece un sospiro di sollievo e parve liberata da una gran preoccupazione.

- Ma Stanislao? - disse. - Stanislao! Stanislao, dove sei?... -

A un tratto dall’uscio che dalla sala mette nella camera dei due coniugi venne fuori una lunga figura così comicamente fantastica che, pur essendo recente la drammatica solennità di quel terribile convegno spiritistico, il cuoco e la direttrice non poterono frenar le risa.

Il signor Stanislao pareva diventato più secco e più allampanato di prima; ma il pezzo della sua persona cui era impossibile volger lo sguardo senza ridere era la testa tutta monda e bianca come una palla di biliardo e con un occhio tutto cerchiato di nero intorno e con espressione di così comica desolazione che tanto io che Gigino Balestra, malgrado i nostri più eroici sforzi, non potemmo frenare una risata.

Fortunatamente in quel momento ridevano anche il cuoco e la signora Geltrude, sicché non si accorsero di noi. Ma il direttore che non rideva dovette udire qualcosa perché volse l’atterrito occhio cerchiato di nero verso di noi... e noi ci frenammo ancora, resistendo finché ci fu possibile, ma la risata ad un tratto ci scappò via dal naso in un sordo grugnito e ci ritirammo, più in fretta che ci fu possibile in quella ristrettezza, nell’armadietto scendendo poi giù nella camerata.

Gigino raggiunse il suo lettuccio e tutti e due spogliatici in un baleno ci ficcammo sotto le rispettive lenzuola palpitanti...

Non ho chiuso occhio in tutta la notte, temendo sempre che tutto fosse stato scoperto e che un’improvvisa ispezione venisse a sorprenderci. Fortunatamente nulla di nuovo è accaduto e io posso stamani confidare al mio Giornalino le ultime vicende del collegio Pierpaoli.