Il laicismo (Riccardi)/Capitolo II

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II.

Il prete negli affari civili e pubblici.

Dico adunque che niun uomo assennato, cattolico o non cattolico, può contestare che sia pienamente [p. 8 modifica] legittima l’influenza del Clero sul popolo e sulle pubbliche cose.

Pei cattolici ciò è di tutta evidenza. Essi riconoscono nel sacerdote un carattere sovranaturale, il quale in esso perdura costantemente. Il sacerdote non è tale solo nel tempio; anche fuori dell’esercizio del sacro ministero, egli rimane sempre prete. Tale qualità, che s’unisce alle doti sue personali di dottrina, di capacità, di esperienza e di virtù, n’accresce senza dubbio il prestigio agli sguardi dei fedeli e quindi anche l’autorità e l’influenza. Essi che ascoltano il prete in chiesa ed in confessionale, l’ascoltano con piacere anche fuori, massime in punti attinenti per qualche rispetto a morale ed a religione. Tuttociò è naturale e perfettamente legittimo. Quale cattolico potrebbe trovarci a ridire?

Nè varrebbe l’affermare, che i preti non sono competenti, che non conviene s’immischino negli affari civili e pubblici, che ciò torna a scapito di loro dignità. Adagio, cari miei. Vi sono dei punti anche nelle materie civili, nei quali i preti sono competenti e se ne intendono meglio di chicchessia: come avviene dei punti tutti in cui è interessata la religione e la morale. Ad esempio in fatto di scuole, d’insegnamento e d’educazione, punti di sommo rilievo perchè la gioventù sia cristianamente allevata, i sacerdoti sono più d’ogni altro competenti. Nelle altre materie poi i preti possono benissimo intendersene ed essere capaci di giudicare al paro ed anche più dei laici. Non può un avvocato sapere anche di musica? Ed un ingegnere intendersi di lettere? Ed un medico di agricoltura? Così può un sacerdote possedere un corredo di cognizioni svariatissime, come per molti di essi avviene.

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Giova qui osservare, che pochi dei laici sono ben informati sulla natura ed estensione degli studi, a cui attendono i chierici dentro e fuori dei nostri Seminari. Ivi gli aspiranti al Sacerdozio per un periodo d’anni più lungo che non si richiegga per ottenere qualsiasi laurea all’Università, sono applicati a gravi e molteplici studi. Non si tratta solo di teologia, la quale abbraccia già per se stessa un campo molto più vasto che non s’immaginino coloro, i quali non hanno sfogliato mai un trattato teologico completo. Si tratta di molte altre scienze affini, che richieggono una seria applicazione e che ben apprese forniscono al prete una coltura copiosa e svariata. Tanto più che presso di noi si studia davvero ed i chierici vi stanno raccolti, non esposti alle distrazioni della vita libera, nè loro viene in mente di fare o scioperi, o dimostrazioni, o baldorie di nessuna maniera. Dire dei preti che sono ignoranti, costa proprio nulla: nella realtà però sogliono i sacerdoti saperne assai più dei laici, quasi in ogni ramo di scienze. Quale è la scienza che non conti fra i suoi più illustri e più eminenti cultori qualche membro del Clero?

I preti pertanto che in fatto di religione e di moralità hanno speciale competenza, possono altresì averne in cose estranee, non meno d’ogni altra classe di cittadini. L’influenza quindi che essi esercitano in società deve da ogni cattolico ritenersi pienamente legittima.

Con ciò non s’intende negare che certi uffizi pubblici disdicano ai preti. Lo ammetto. Così non conviene per fermo ai sacerdoti di far il soldato, od il chirurgo, od il commerciante; e il simile si dica di alcune altre professioni, che spetta [p. 10 modifica] alla Chiesa determinare. Così pure concedo che per il tenore stesso del viver loro, siano i sacerdoti meno in grado di intendere certe aspirazioni e di penetrare certi misteri e certi intrecci del vivere mondano. L’ambiente che i preti respirano non è quello comune, benchè però la pratica del ministero riesca ad essi anche in ciò proficua scuola, massime per la più sicura conoscenza del cuore umano. Ad ogni modo altro è ammettere che non in tutto i preti siano i giudici più competenti e che vi siano occupazioni meno adatte ai ministri di Dio; altro è sostenere che il prete debba occuparsi esclusivamente di cose attinenti al culto sacro, il che nessun cattolico assennato ammetterà mai.

Venendo ora ai non cattolici, sostengo non essere meno certo, che la influenza sociale dei sacerdoti, per quanto potente ed estesa, debbe ritenersi pure da essi per naturale e legittima. Ragioniamo. I preti cattolici, perchè tali, cessano forse di essere cittadini? Essi osservano le leggi dello Stato, adempiono ai doveri comuni, pagano i tributi al paro anzi più e meglio degli altri. Per quale motivo non godranno dei diritti proprii di ogni buon cittadino? Spogliarneli, non sarebbe prepotenza e tirannia? Chi ha perduta la fede, può ben dolersi che altri la ritenga, e ben può fare voti perchè più non vi siano preti al mondo. Intanto però i preti ci sono ed a quanto pare ci staranno ancora per un pezzo: egli abbia dunque pazienza. O vorrebbe sostenere che sia delitto credere in Gesù Cristo? Eh via!... Non siamo ancora pervenuti a tali estremi! Il sentimento religioso è troppo vivo nel popolo, di che abbiamo prove lampanti quotidiane. — La grande [p. 11 modifica] maggioranza degli Italiani professa sinceramente la religione cattolica, le è devota e ne venera i ministri. I miscredenti no, troppo si capisce. Ma se per loro il carattere sacerdotale non significa nulla, resta pur sempre nel prete l’uomo ed il cittadino. E come tale il sacerdote cattolico può a modo di ogni altro individuo, valersi dei comuni diritti e adoperare la propria influenza sulla società come gli pare e piace.

Ciò è perfettamente legittimo agli occhi di ogni uomo ragionevole.