Il laicismo (Riccardi)/Capitolo III

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III

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III.

Influenza sociale sommamente benefica.

Adesso aggiungo che l’influenza sociale del prete torna ad insigne universale vantaggio e deve ritenersi sommamente benefica: e lo provo.

L’influire d’un uomo sugli altri allora riesce utile e prezioso quando mira ad alto e nobile fine e si esercita con animo sincero e retto, inspirato a convinzioni oneste e forti ed a principii giusti e santi. Fa d’uopo insomma non essere guidati da interessi bassi e personali, non dai calcoli dell’ambizione e dell’egoismo: ma avere per scopo la diffusione del vero ed il trionfo della giustizia e della virtù.

Or bene di tal fatta appare per l’appunto la influenza del Clero sull’odierna società. Senza asserire che tutti i preti cattolici siano santi, penso di poter affermare, e francamente affermo, che fra le varie classi di cittadini, la classe degli ecclesiastici in punto d’onestà e di virtù non la cede ad alcun’altra, mentre poi tutte le supera per spirito di carità e di sacrificio. Ragione vuole [p. 12 modifica] pertanto che si ritengano i preti per galantuomini, i quali operano con convinzione e sincerità. Ciò non si ammette dai pretesi liberali, venduti alle sêtte, che si ostinano di accusare il Clero di agire per secondi fini e per interessi meramente temporali. Ne accusano fino il Papa! Ma di questo nessuno più stupisce. Quali siano le teorie dei settari sulla moralità, tutti sanno; e sanno altresì come purtroppo le mettano in pratica! Parlano, sì, con enfasi, di popolo, di libertà, di progresso, di patriottismo, e di cento altre bellissime cose; ma per poco che si guardi addentro ai fatti ed alle imprese loro, vi si trova sempre tutt’altro. Non deve quindi far meraviglia che misurando ogni uomo alla propria stregua, anche nelle azioni più generose e belle suppongano sempre del marcio, di quel marcio onde il loro cuore ribocca. Che alcuno dal puro amore del bene possa essere indotto a vivere di sacrifizio non l’intendono e non l’ammettono: le dicono utopie. È quindi naturale tanto più che nel parlare dei preti e nel giudicare le loro opere, partano dalla supposizione che il Clero faccia tutto per interesse o per altre non più nobili passioni.

Dite ora voi, o figli miei, se in tale loro supposizione siavi qualche apparenza di verità?

Che anche i preti possano esser tentati d’avarizia e che alcuno fra essi possa cedere a questa tentazione, come a qualunque altra, niuno nega, ed, avvenendo, nulla di più deplorevole. Ma che ciò avvenga della generalità, mille volte no.

I preti interessati! — Ma anzitutto niuno oserà dire che l’interesse possa oggidì allettare chicchessia ad entrare nella via del Santuario. Belle risorse presenta ai suoi leviti la Chiesa spogliata ormai di tutto! E gli stipendi del Clero presso di noi sono [p. 13 modifica] lauti in verità, da far gola! Non havvi ufficio, per quanto modesto, che non sia meglio retribuito. Ma consideriamo i preti all’opera. Se fra essi se ne conta alcuno agiato, salvo casi rarissimi, lo deve a censo di famiglia e non certo a lucri sacerdotali. E quale uso fa la maggior parte di essi dei proprii beni? — Torino non senza ragione è detta città della beneficenza. Gli istituti di carità vi abbondano. Ve n’ha forse alcuno, alla cui fondazione non abbia preso parte il Clero? Quelle opere pie da cui si vogliono sbanditi i sacerdoti, sono quasi tutte creazione od inspirazione loro. I preti interessati! Come va adunque che a Torino e fuori, in ogni paese, in ogni parrocchia, i poveri più che a qualunque altra porta, battono sempre alle case dei sacerdoti? E fu interessato il Cottolengo? O lo sono forse coloro che seguono le orme di lui? O fu l’interesse che inspirò D. Bosco e che inspira ora i suoi numerosi figli?

Senza dubbio, noi ecclesiastici, a cominciare dall’Arcivescovo, ci indirizziamo sovente alla borsa dei cattolici, invocandone la carità. Ma lo facciamo forse per interesse personale? Poichè questo mondo è così fatto che senza danaro si riesce a fare poco o nulla di bene, noi ne cerchiamo. Ne cerchiamo per le chiese da costrurre o da restaurare. Ne cerchiamo per le scuole cattoliche da aprire, per gli istituti pii da fondare o da mantenere, per la buona stampa ed i buoni libri da diffondere. Ne cerchiamo per i poveri da sovvenire, per i malati da curare, per gli schiavi da redimere, per gli infedeli da convertire e per tutte insomma le opere cattoliche da promuovere. Dimandiamo a tutti, spesso, anzi sempre, e con insistenza, esponendoci ad umiliazioni, a rifiuti, anche alle calunnie, e portandocele in pace. [p. 14 modifica] A dimandare ci sprona l’amore dei poverelli, dei derelitti, di tutto il popolo, ed altresì l’amore dei ricchi e dei doviziosi, i quali di fare carità ed opere buone hanno dovere stretto. Noi come ministri di Dio loro ricordiamo questo loro altissimo dovere, procacciando insieme ad essi frequenti e preziose occasioni di santamente adempirlo.

Alcuno dirà che noi promoviamo il bene, ma a modo nostro; e predichiamo la carità, ma come l’intendiamo noi. Bella! Io rispondo. A modo di chi dovremmo noi intendere il bene e promuovere la carità? A modo dei framassoni, dei miscredenti e degli atei?

Noi il bene e la carità l’intendiamo nel senso vero e giusto, quale è unicamente il senso cattolico.

Appunto per ciò affermo essere la influenza del Clero sulle popolazioni, in qualunque campo si esplichi, oltremodo vantaggiosa e benefica. L’azione dei preti buoni e zelanti, come sono oggidì in massima parte, s’ispira non a motivi bassi, ad interessi meschini e personali, bensì a sincerità di alte convinzioni, a principii affatto superiori, a scopi suggeriti dalla fede e dalla religione cattolica. L’interesse dei preti è l’interesse di Dio, l’interesse delle anime redente da Gesù Cristo, l’interesse della moralità e della giustizia, dalle quali dipende pure l’ordine nelle famiglie, la prosperità di qualunque istituto ed il buon andamento dell’intiera società. Tutelare e promuovere tali interessi, sarà sempre il massimo beneficio che si possa procacciare agli individui ed alle nazioni.