In Valmalenco/Capitolo VII

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Capitolo VII. La novella.

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Capitolo VI Capitolo VIII
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La novella.


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VII.


La meditazione nervosa del pittore fu interrotta da un colpo morto, che risonò sulla tela, come sopra la pelle tesa di un tamburo.

Il giovane volse subito il capo verso le grandi roccie acute e rossigne, che offendevano l’azzurro, e trinciò nell’aria un gran gesto di minaccia...

“Lasciate che vi colga...”

Uno scoppio multiplo di risa argentine rispose alle sue parole e quattro ragazzetti scamiciati, a piedi nudi, con piccole gerle a spalla, corsero giù, saltellando, per la discesa ripida e breve; passarono veloci sul limite della conca, il più lontano possibile dal pittore che li rincorse un poco, e s’inabissarono per il sentierucolo che portava alla valle.

Le risa schiette ed allegre si ripeterono; il giovanotto, raggiunto troppo tardi il ciglio della conca, lanciò dietro loro una minaccia e un blocco di terra friabile, che si rovesciò, come pioggia, sul gruppo dei fuggenti; poi ritornò dinanzi alla tela incompiuta, gesticolando. [p. 60 modifica]

Era dunque proprio inutile martellarsi la testa per ottenere l’effetto voluto. Mancavano gli elementi del quadro lì dentro; quella donna, in cima al gruppo di roccie, con la faccia rivolta al cielo circondata da un azzurro intenso, avente le mani congiunte, come a pregare, gli parve fredda, morta.

Non c’era quello spasimo di invocazione, quel terrore per un pericolo imminente che pure egli aveva sentito, aveva cercato di rendere.

La posa gli parve accademica, falsa.

Cercò la spatola per terra e raschiò via tutta la figura, rabbiosamente; poi sedette fra i sassi, slacciò la camicia di flanella, immerse la mano fra pelle e lana, ne tolse la pipa e l’astuccio del tabacco, la caricò, l’accese, e, ripiegatosi indietro, con le mani sotto la testa, rimase supino a guardare il cielo che si copriva di nubi, a fumare ed a sognare.

Ben altri erano i suoi intendimenti; con quanto ardore aveva incominciato a lavorare e come l’invocazione di quella donna, sola, sperduta sul cucuzzolo del monte, quasi naufragante nell’infinito, era stata compresa in tutta la sua angoscia da lui! Quale disperato dolore avevano avuto nell’anima sua quei lineamenti! Quante lagrime gli occhi, e quale contrazione di singhiozzi il petto, la gola, la bocca, e che parossismo i capelli arruffati e le braccia protese nel vuoto!

Il fantasma artistico, abbozzato sulla tela, non era riuscito che una caricatura di quanto aveva sognato. [p. 61 modifica]

Mah!..

In parte la colpa era della modella! Quella solida montanara non aveva che scrupoli e paure; quando Santino, suo marito, dopo aver fatto saltare nel palmo della mano le cinque lire d’argento ricevute dal pittore, le aveva permesso di posare e s’era allontanato per condurre al pascolo le vacche, ella non aveva voluto assolutamente spogliarsi: un po’ con le buone, un po’ colle cattive, il povero pittore era riuscito a farle togliere il corpetto, la bustina e a denudarle un po’ il petto.

Più di così no, no, no!

C’era il curato che, se avesse saputo, guai! potevano passare i finanzieri! aveva vergogna... e se fosse tornato Santino?

La paura di Santino, che doveva essere il motivo più grande, e doveva balzar fuori prima di tutti gli altri, era invece lasciato per ultimo; si sa, il curato e i finanzieri sono molto influenti nei paesi...

Così, anche quando Marianna era in posa e il pittore aveva incominciato ad abbozzare febbrile, ecco la modella volar giù dal suo picco, coprirsi alla meglio e scappare.

Perchè? perchè, e il pittore se lo diceva ridendo, fra una voluta e l’altra di fumo, perchè i il cappello di un finanziere, il suono di una campana fessa, una voce, un picchio fra i sassi bastava a metterla in fuga.

Pochi giorni prima anzi, fra l’artefice e Marianna, in seguito ad una di queste fughe [p. 62 modifica]

precipitose, c’era stata una vera lotta, poichè il pittore fuor dei gangheri, raggiunta ed agguantata la modella, le aveva tolto di dosso il corpetto e la bustina con la quale tentava velarsi, e, con un colpo violento alla camicia, l’aveva scoperta fino alla cintola.

Immaginarsi la scena, tanto più che arrivavano allora allora i finanzieri, dinnanzi ai quali, la poveretta, liberatasi con uno sforzo ed un urlo dalle braccia dell’artista, era fuggita verso la baita e vi si era rinchiusa sdegnata.

Al ritorno di Santino poi quella sera, una lite terribile: la mattina dopo il pittore aveva veduto Marianna, con la testa fasciata e un braccio al collo, condurre al pascolo le bestie e il marito gli era venuto incontro mulinando un nodoso bastone e gridandogli, con la sua voce grossa e villana, che non lo toccava perchè era cristiano, ma che se ci fosse stato ancora qualche... allora...

La frase fu mozzata col far piombare il bastone sopra una roccia che parve spezzarsi.

Marianna non aveva posato più; così il lavoro non era stato continuato che di maniera.

Peccato!... E, fra una boccata e l’altra di fumo, il pittore si rodeva, imprecando contro la ignoranza di Santino e contro i finanzieri, che dovevano aver allargata la bocca fino alle orecchie.

Poi incominciava a fantasticare dietro il concetto grande del suo quadro: da quanto tempo lo pensava, lo accarezzava! perlomeno da quattro anni; e che fiamme d’entusiasmo, che [p. 63 modifica]

pulsar forte di cuore, quando lo vedeva dentro di sè, bello! Gli parlava qualche volta, lo trasformava a parole, con moti che sembravano pennellate, esaltandosi: ma non era soddisfatto.

Mancava qualche cosa intorno alla figura accasciata, invocante; qualche cosa che la rendesse più vera, che facesse rabbrividire e nel medesimo tempo giustificasse tanta disperazione.

E questo qualche cosa non lo trovava mai, mai!

Aveva lasciato la città per fermare sulla tela la visione che gli fulgeva nell’anima, e il suo sogno pareva si fosse infranto sotto il nodoso bastone di Santino.

“Bestia gelosa!” proruppe il pittore alzandosi.

S’avviò verso il gruppo delle roccie ferrigne; lo raggiunse e guardò giù l’abisso pauroso e profondo; l’aveva osservato più volte, ma, in quel giorno, forse per il cielo coperto e minaccioso, gli parve più pauroso e più profondo.

Ritornò indietro, guardando il minuscolo pianoro incorniciato dalle baite, in mezzo al quale, pel vento, fremeva la sua grande tela assicurata al cavalletto. Veniva da lontano e pareva avvicinarsi lo scampanio delle vacche.

Le nubi in cielo si facevano più oscure; il Disgrazia era scomparso dietro una cortina cinerea.

Si preparava un temporale; lo facevano presagire brontolii lontani, sordi e qualche barbaglio dietro le cime dei monti, i quali, improvvisamente, apparivano neri, dentro un velario grigio, fitto e sparivano col subito morire del lampo.

Il pittore pensò di staccar la tela dal cavalletto, [p. 64 modifica]di portarla nella sua baita, con la scatola, le tavolozze, i pennelli e poi di sedersi sopra il truogolo rovesciato, vicino alla porta, per godere lo spettacolo del temporale che in alta montagna è magnifico e terribile.

Venne fino a mezzo il pianoro e si chinò dinnanzi la tela, per levar di tra i sassi, appositamente ammonticchiati, una grossa corda che l’assicurava.

Così ripiegato, s’accorse appena del ritorno delle vacche, guidate da Marianna; balzò invece in piedi, con le narici frementi, l’occhio luminoso e la fronte spaziosa trasfigurata per un pensiero, quando, dietro le grandi roccie acute e rossigne, il cielo si fendette per un lampo, e gli apparvero le nubi livide, rotte, e tutto un orizzonte di vette, che parevano guizzi di luce d’argento, o punte scure, piene di mistero e di paura.

Tutto ritornò buio, il vento, scossa la tela che diede un suono di tamburo, irruppe, fuggì, sibilò per le creste rocciose.

Il pittore attese vicino alla sua tela, guardando in cielo dove era guizzato il lampo: attese in mezzo al rimbombo del tuono, che s’era scatenato e che non accennava a diminuire: intravide le nubi aggrovigliarsi, correre, perdersi; qualche labbro di cirro, bianco, pastoso; qualche ala sfaldata di nuvola fuggire rompendosi per l’impeto del vento: attese, dilatando ancora più gli occhi, per poter capire più di paesaggio e di cielo; attese; fremente. Un lampo nuovo avrebbe [p. 65 modifica]squarciato le tenebre, illuminando con effetto maraviglioso e fantastico il disordine multiforme del cielo e gli aspetti bizzarri delle montagne, facendo più acute le vette, più neri gli abissi, donando alle roccie, sotto lo scroscio dell’acqua, una luce viscida, guizzante; nel lampo, i culmini ferrigni dove Marianna avrebbe dovuto invocare, si sarebbero materiati di fuoco, come un vulcano!

Il pittore sentiva la visione del suo quadro allargarsi, una concezione nuova, più vasta, più umana gli si formava nell’anima. Egli attendeva il lampo, ma il lampo era già passato nella sua coscienza d’artista, aveva già creato.

Sì! Quella donna invocante era tutta l’umanità che lotta, che soffre, che implora: dal suo vertice rossastro, quasi uscita allora dal fuoco delle passioni, ella si librava in mezzo ad altre tempeste, e, incapace di resistere, ripiegandosi sotto la raffica, pareva lì lì per cader nell’abisso. Grandioso! vero! lo sentiva: ma che sofferenza acuta, nell’attesa!

Il lampo folgorò.

“Ah!... così, così!” gridò il pittore in faccia all’orrida bellezza che gli si offerse. “Così!” E tutto il paesaggio fu suo.

Ma non bastava!

Egli corse, inciampando, verso la baita di Santino: era aperta...

“Marianna!?...”

A quel grido, a quell’apparizione improvvisa e stravolta la donna fece un salto indietro, [p. 66 modifica]urlando, e abbozzò un segno di croce, rotto a mezzo dalla mano del pittore, che le afferrò l’avambraccio dicendole concitato:

“Non è il diavolo... sono io... spogliati!”

L’altra lo guardò, riconoscendolo, e fece per dir qualche cosa: le mancò il tempo.

“Vieni fuori un momento! spogliati, non piove ancora, vedi? non piove! Ho bisogno di te, proprio... Oh se tu mi potessi capire!...”

Marianna reagiva, spaventata molto, ma più dominata dalla voce, dagli occhi del pittore; riuscì a balbettare:

“Ma... ma... se il curato... e se passano...”

Un lampo guizzò più fulgido, abbagliando.

“Vedi, vedi là?” ansò il pittore che la cercava sul petto, per aiutarla a spogliarsi, “io devo riprodurre il lampo nel mio quadro, e tu sei in mezzo alle roccie, investita dalla luce.. fra le nubi... Ma non le capisci queste cose, è possibile che non le senta?... Butta via la camicia... fuori, fuori... Ti giuro, non piove!... Santino? oh! non torna. Venisse?! Ci penso io, lo prego io; comando io...”

Marianna reagiva più debolmente.

“Se anche ti bastonasse! che c’è? Le pigli, ma tu... tu sei un simbolo... Tira giù questa camicia...Sei tutta l’umanità, capisci!?... e molti, tutti sapranno il tuo sacrificio!”

La strappò fuori, spingendola affannandosi, con parole mozze.

La poveretta si guardò attorno, cercò di indovinare giù il sentiero, timorosa di cogliere [p. 67 modifica]qualche suono di campanella. Pensò che Santino avesse lasciato le bestie nelle baite, a piedi del monte, sotto la guardia di Gennaro, per correre su, come aveva già fatto altre volte, arrivando prima di lei; provò l’impressione di vederselo piombare addosso e diede uno strillo, si ribellò; ma fu un attimo.

Il pittore la guardava e la teneva per un polso, senza stringerla troppo.

Ogni desiderio di ribellione si spense; le parve di essere invasa da una forza misteriosa, che la spingeva su verso le roccie; le parve che le comandasse una volontà, alla quale era impossibile opporsi; qualche cosa entrava in lei, facendo violenza al suo pensiero, alla sua volontà, distruggendoli.

Il pittore la guardava e la stringeva ancora; ella sentì come una stanchezza che le piegava le ginocchia.

“Capisci?” le disse il giovane, piano.

Un lampo illuminò ancora il paese. Egli la spinse sul culmine, corse giù, gridandole una raccomandazione, e si portò presso la tela.

Impressionare qualcosa?

Impossibile! Non c’era luce sufficiente; gli sarebbe sfuggita la linea per la bizzarria di riprodurre un particolare; egli volle invece stamparsi tutta la visione nell’anima e attese...

La sofferenza fu ancora più viva.

La sua forza di pensiero e di volontà, dovendo sdoppiarsi per vincere la modella e per tentare d’impadronirsi dell’azione complessa della figura [p. 68 modifica]e dello sfondo, si era tesa così ch’egli provava un disagio fisico crescente. E lo sforzo continuo per mantenere questa divìsione, per costringere una parte del suo pensiero e della sua volontà ad imporsi al pensiero ed alla volontà contraria di Marianna, e l’altra ad afferrare e mantenere la visione imminente, rendeva il disagio di attimo in attimo più doloroso, più acuto, insopportabile.

Il pittore doveva sostituire all’anima di Marianna l’anima sua, e nel medesimo tempo, dentro l’anima sua, che tante volte l’aveva sognata e sentita, doveva chiudere tutta la tragica potenza i e contrasti dell’invocazione. L’opera d’arte gli sarebbe riuscita solo a questo patto.

Nell’attesa, rabbrividiva di spasimo, sudava freddo; eppure s’era slacciato la camicia dinnanzi, perchè soffocava.

Finalmente il lampo irradiò, vivido, seguito subito da pioggia e da tuono.

Il pittore diè un grande urlo di rabbia:

“Non così, Marianna!” e s’avventò sulle roccie, la prese per gli abiti, che aveva stretti alla vita, e glie li strappò.

“Via, via... tutto tutto!...” e le divelse, dal torace la giubbetta, dai fianchi le gonne e la camicia, parlando sempre con una voce che non era la sua: poi, svestita così, l’obbligò a tendersi sopra l’abisso.

E il nuovo lampo la colse: a mezzo del pianoro il giovane dominò tutto l’orrore del suo quadro e applaudì superbo, felice. [p. 69 modifica]

Sentiva che sarebbe stato capace di renderlo.

Ah! la colorazione di quella donna, livida per i lampi, macerata dall’acqua che crosciava diluviando, stordita dal tuono! E il vulcano sotto, e i lampi sopra!...

Ma sul viso mancava quella smorfia di disperazione che avrebbe voluta.

“Dispèrati!...” le gridò angosciosamente in una pausa, fra tuono e tuono, superando appena il fragore dell’acqua: “Dispèrati!..”.

E stette a vedere come si disperasse, avendo, lui, nel moto spasmodico del viso, delle mani, di tutta la persona una disperazione così...

La folgore scoppiò con rombo precipite, altissimo, balenando fasci di luce dovunque.

E la modella sorse, avvampata: aveva le braccia contratte, la bocca aperta ad un urlo che non fu inteso: e sulla faccia, negli occhi, in tutti i muscoli percettibili del corpo il brivido col subito irrigidirsi di una disperazione che non si può immaginare... tutta la disperazione.

“Così, sì!... bella, vera!...”

Il pittore, frenetico, cercò di fermare sulla tela lo schizzo e non s’accorse, prima ancora che tutto tornasse nel buio tumultuoso, non vide un’ombra balzar contro Marianna e precipitar giù con lei nell’abisso.