In Valmalenco/Capitolo XIV

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Capitolo XIV. Idillio alpestre.

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Capitolo XIV. Idillio alpestre.
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Idilio alpestre.


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XIV.


Amor mi mosse che mi fa parlare.
                                        Dante.

                                             ..... Il cuore
ha bisogno d’un cuore in cui riversi
i secreti suoi pianti e le speranze.
                                        Zanella.

Le parole d’amor che non ti dissi.
                                        Stecchetti.



     Dimmi, tu pure, discendendo in mezzo
al grande arco di verde, hai detto al cuore
di non battere più per non tradirti?
Hai tu pensato, come me, una sera
piena di nebbia, un focolare, un desco,
un bisbiglio di nostri bimbi e insieme
un piccioletto sónito di baci?
Io ti volevo dir non so che cosa
tanto soave, e non potei parlare,
perchè nel mezzo della tua pupilla
brillavan le parole ch’io dovevo
dirti tremando, e, ansiosamente, attesi
che tu parlassi in vece mia, tremando.
Ma nulla uscì dalle tue labbra mentre
si discendeva sotto l’arco verde;

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anche si spense nella tua pupilla
la luce e in cuore mi morì quel primo
accenno a dir non so che dolce cosa...
... E trepidò d’intorno a noi la grande
madre natura e tentennò nel vento,
disapprovando, i suoi frutici verdi,
il Mallero ondeggiò le spume come
garrulo perseguirsi di più lingue
candide, cinte d’iridi e vapori,
ed anche il cielo ebbe i suoi trilli, eppure
noi non parlammo. Io ti serrai la mano
nella mia mano, non perchè tra i sassi
e tra gli sterpi correa giù la strada;
ma per sentire se la tua tremasse,
almeno un poco; e perchè tu guardassi
verso di me, con scintillio d’amore
nelle pupille, che dicean le dolci,
dolci parole che non so, ma pure
lessi, e nel fuoco del mio cuore incisi.
Fu la tua mano alla pressione dolce
abbandonata senza alcun tremore,
ed in sua vece trepidò la mia
quando sentì dentro la palma, chiuso
il tepor della tua man di velluto;
fu la vampa del mio viso, che a un tratto
impallidì come la spuma urlante
del Mallero che sotto prorompea,
poi che tu, senza riguardarmi, come
anelava il mio cor, ti sei disciolta,
correndo giù, giù tra le rupi e il verde.
A me rimasto in mezzo ai rovi, ai sassi,
giunser le risa e la tua voce attesa

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invano nel rifulgere degli occhi:
giunsero insieme allo scrosciare, al fumo,
al rotto rovinare della bianca
acqua, che move in turbinio fecondo
le picciolette ramole di musco,
e forma inconscia l’umile laveggio,
da cui la sera esce polenta d’oro!
Così rimasi in mezzo ai rovi, ai sassi,
guardando nella macchia, ove un biancore
accennava la tua giovine forma,
e dove un forte stormeggiar tradiva
l’irrequietezza della bianca mano.
Così rimasi, e ripensai da solo
una casetta in cima al dosso (forse
tu non ricordi, io lo ricordo) quello
che si scoscende, mutilato, a picco,
svettando in alto nell’azzurro i pini,
e in un pallido concavo di verde
mostra il suo fiore, Primolo di neve:
così rimasi a ripensar da solo
col desiderio una lontana sera,
un rozzo focolare, un desco bianco,
un bisbiglio di nostri bimbi e insieme
un piccioletto sónito di baci.
I compagni, da noi lassù lasciati
nella penombra dei grand’archi verdi,
giunsero a me con cauto piede, e, visto
come sognavo, scesero ridendo.
Ed io rimasi. Mi portava il vento
l’effluvio della segale e del timo,
il rotto rovinare della bianca
acqua, che inconscia il suo laveggio affina.

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un sospirar di larici e d’onizzi,
e chiaro, nella musica emergente
come un assolo di violini e d’arpe,
mi portava lo zefiro nel cuore
anche un piccolo sónito di baci.

     1Ora ti sogno nel velame lieve
del vespero, e mi so troppo lontano
dal candor del villaggio alto e del fiume.
Una secreta nostalgia dei luoghi
dove tu sei, dove tu sogni e parli,
con tristezza soave in cor mi scende,
e il desiderio di tornare, almeno
per sussurrarti una parola, almeno
per sentirla da te, piana, tremante,
l’anima assilla ed accarezza insieme.
Dal mio terrazzo, nel crepuscolare
velo, che offusca sotto me il giardino,
guardo e mi par che dietro al verde appaia,
simile a un fiore, Primolo di neve;
e sento in me l’orrido scroscio, l’acre
profumar dei papaveri, il garrito
aspro dei falchi, lo squarciarsi a un tratto,
tra tuono e fumo, d’una rupe greggia
minata in cuore; ed anche a te ripenso,
o mia fanciulla in mezzo ai monti apparsa,
forte così da non tremare allora
che ti stringeva la mia man tremando.
Non più dinnanzi all’occhio nostro scende
il sentiero, fra i grandi archi di verde!
Dove vai tu? Quale sentiero, dimmi,

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s’aprirà, molle di rugiada e d’erba,
lieto pel solco del tuo picciol piede?
Ed io che sogno nel vespero blando,
quale sentiero m’aprirò frammezzo
le luci e le vertigini di vette,
fra boschi irti di spine e bui nell’urto
delle bufere, fra sepolte valli
simili a tombe, qual sentiero mai
potrò schiudermi innanzi, a passo, a passo,
come ariete cozzando contro tutto?
O mia fanciulla, che hai la mano bianca
di velluto, così come la stella
alpina, e guardi con desio d’amore
nelle pupille, e, senza mover labbro,
mi dici le dolcissime parole;
o mia fanciulla, dimmi tu, se questa
ansia di vita e di vittoria, un giorno
mi dovrà ricondurre al tuo sentiero.
Sono giovane molto e forte e t’amo:
tutte le luci non m’abbaglieranno,
le vertigini somme delle cime
dominerò senza tremare, i boschi,
intessuti di spine e bui nell’urto
delle bufere, io passerò lasciando
anche l’orme di sangue, e, dalle valli,
come sepolcri ad ogni sole chiusi,
risorgerò con émpiti di vita,
se tu, fanciulla, a fior dei monti apparsa
mi reggerai con l’occhio tuo d’amore!
Io fantastico in mezzo al velo lieve
del vespero, nell’attimo che segna
lo spirar d’una mia ora di tregua;

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ho riposato sovra i poggi, dove
si piegava la segale, frusciando
fra le bianche tue vesti, e, rinnovato,
l’alba domani mi vedrà balzare
avanti.
          Forse il mio gentil sognare
cadrà con me nel primo urto di guerra,
poi che la vita non è cinta ancora
di trionfi e di fascini, siccome
nel velame sognai del vespro blando.
Ma se cadessi, o mia fanciulla, credi;
non per il bacio della gloria, o l’ansia
d’attingere una vetta più sublime,
neppure per la brama di lanciarmi
come il cóndoro al fuoco alto del sole,
ne per la vita che nel cor si spezza
io piangerò; sarà negli occhi miei
una lagrima, sì, dolce, ma solo
perchè il mio cuore sognerà morendo
una casetta in cima al dosso, quello
che si scoscende, mutilato, a picco,
svettando in alto, nell’azzurro i pini
e in un pallido concavo di verde
mostra il suo fiore, Primolo di neve;
una lagrima sì, dolce, ma solo,
perchè il mio cuore sognerà morendo
le tue pupille che dicean le dolci,
dolci parole che non so, ma pure
lessi; perchè l’ultimo suo languire,
l’affievolito suo palpito, forse,
parrà bisbiglio di bambini insieme
a piccioletto sónito di baci.


Note

  1. Questa seconda parte fu aggiunta a Milano, più tardi.