In risaia/IX

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IX.

Le disgrazie per verità non mancarono.

Quelle giovani, che erano partite dalle loro case forti e giulive, cantando per via, si facevano ogni giorno più svogliate e smilze. Due o tre dovettero abbandonare il lavoro le prime settimane, per andare all’ospedale colle febbri.

La Nanna pure, al finire della giornata, si sentiva le ossa rotte e le reni indolenzite, come se l’avessero bastonata. Spesso si coricava immediatamente dopo la cena. Ma la domenica, quando c’era Gaudenzio, si faceva cuore, e ballava, ballava fin al completo esaurimento delle forze; un po’ con lui per deliziarsi, un po’ cogli altri per farsi osservare da lui. Poi anche l’entusiasmo del ballo venne meno, e la quarta settimana passò triste come la settimana di passione. [p. 48 modifica]

C’era ancora molto lavoro da compiere, e gli assistenti angariavano i giornalieri per farlo procedere celeremente; i pochi rimasti dovevano fare anche la parte degli ammalati.

Il penultimo sabato la Nanna fu presa dai brividi mentre stava lavorando, e stentò molto a finire la giornata.

— Ho la febbre col freddo, disse la sera a Pietro. Forse domani non potrò muovermi.

Ma l’indomani stava meglio, e la presenza di Gaudenzio galvanizzò le sue forze abbattute.

Il lunedì stette male ancora; poi il martedì si risentì guarita.

Così finì le trenta giornate, passandone una buona ed una cattiva. Ma in che stato le finì! Non era più la Nanna di prima.

Lungo la strada per tornare a casa si reggeva a stento sulle gambe. Anche le compagne camminavano svogliate. Le più forti cercavano di cantare come quando erano venute; [p. 49 modifica]ma erano poche, ed il loro canto s’interrompeva per lunghi tratti.

Nanna ansimava come un mantice. Aveva le labbra bianche. Non era il giorno della febbre; ma la doppia fatica del camminare dopo il lavoro, la pioggia che cadeva da quasi un’ora, l’aria della sera, avevano abbreviati i periodi dell’intermittenza.

Le pareva che quel viaggio non dovesse finir mai. Contava i paracarri; ce n’erano nove per ogni palo di telegrafo.

— Quanti pali di telegrafo ci sono per ogni chilometro? domandò. Poi, colla sua tendenza speciale al calcolo, si mise a contarli, numerando man mano i nove paracarri, e le pareva di abbreviarsi la strada frazionandola a quel modo.

Tuttavia rimaneva sempre indietro dalle altre. Non ne poteva più. Pietro le aveva già preso il suo piccolo bagaglio:

— Appoggiati al mio braccio, le disse, faticherai meno. [p. 50 modifica]

Ma la Nanna non volle. Sarebbe stata una cosa molto ridicola andare così a braccetto fratello e sorella, come due signori o due sposi.

Quando Dio volle s’udì un carro che si avanzava nella stessa direzione dei giornalieri. Stettero ad aspettarlo.

— Pregate quell’uomo che lasci salire mia sorella sul carro, disse alle donne Pietro, che non osava fare lui stesso quella domanda.

— Grullo! gli rispose una bella sposa a titolo di consenso. E facendosi innanzi verso il carrettiere, che camminava a fianco della sua mula, gli gridò:

— Vorreste lasciar salire sul vostro carro una ragazza che ha la febbre?

— Per me, se vuol salire...; ma è carico di ghiaia; non starà sul morbido, rispose l’uomo senza fermarsi.

— Eh! il morbido non importa. Purchè non cammini. Ma fermate, dunque.

— Eeeh! Eeeeh! gridò il carrettiere alla [p. 51 modifica]mula tirando la briglia lentamente. E lentamente il carro si fermò, come lentamente aveva proceduto fino allora.

La Nanna, coll’aiuto delle compagne, si pose a sedere dietro il carro, sulla ghiaia, colle gambe penzoloni.

— Mettiti gli zoccoli, disse Pietro. Hai i piedi diacci.

— Ma che! Ho tenuti gli zoccoli finora. Quassù li tolgo perchè mi cadrebbero, coi piedi penzoloni a questa maniera. E la Nanna stette scalza, nell’umido e sotto la pioggia.

Ma, seduta su quella ghiaia bagnata, pensava:

— Se fosse il carro di Gaudenzio! e col vaneggiar della febbre si figurava che fosse quello, e le pareva di stare sopra un letto di piume.

Il lunedì la Nanna stette male; ed il mercoledì peggio.

Il babbo andò a chiamare il medico di Trecate che aveva la condotta dei cascinali del [p. 52 modifica]circondario. Ma c’era una lunga distanza, che il medico non avrebbe potuto percorrere ogni giorno per vedere l’ammalata.

— È un’intermittente, disse, e potrebbe andare per le lunghe. La ragazza ha bisogno di prendere molto chinino, di nutrirsi con cibi sani. È meglio che la portiate a Novara, all’ospedale; sarà curata meglio che in casa vostra. Ce ne ho mandate molte, che hanno prese le febbri in risaia.

Martino non incontrò il menomo ostacolo a farsi rilasciare la fede di miserabilità. Pover’uomo! Aveva le sue braccia, e le famose trenta lire per l’argento. Null’altro.

Dunque la mattina del giovedì la Nanna fu trasportata all’ospedale di Novara sul carro del Comune, e la Maddalena l’accompagnò camminandole accanto coi panieri della verdura che doveva vendere al mercato.

I due vecchi avevano trovata la figliola molto malandata. Tuttavia non davano grande importanza a quella malattia. I nostri conta[p. 53 modifica]dini sono così avvezzi alle febbri che ne fanno poco caso. Dicono:

“La febbre terzana i giovani li risana, ed ai vecchi fa sonar la campana.”

La Nanna era giovane, non c’era pericolo.

— E poi la febbre se l’è pigliata in risaia, si sa cos’è, osservava la Maddalena.

Povera donna! Anche il coléra si sa cos’è. Ma per lei quella considerazione era rassicurante.

La Nanna rimase all’ospedale circa due settimane; ed ogni giorno di visita, la Maddalena andò a vederla colle tasche rigonfie di tante cose da mangiare da far fare indigestione ad un facchino. Ed ogni volta venne frugata alla porta, e le furono sequestrate quelle larghezze, ed entrò dalla figliola colle tasche vuote, brontolando contro i regolamenti severi dell’ospedale.

Però, grazie a quei regolamenti severi; l’ammalata non commise imprudenze, e potè guarire in poco tempo. Martino andò anche lui [p. 54 modifica]a veder la Nanna ogni festa; sedeva accanto al letto, spesso stava zitto una mezz’ora, ed era poi tutto impacciato nel dare un bacio alla figliola malata prima d’andarsene. Quando parlava le diceva dell’argento: La mamma lo aveva comperato coi pochi quattrini di lui uniti a quelli guadagnati dai figlioli in risaia. Erano tutti spilli faccettati, grossi come noci; e lucenti!

— Hai da parere il sole. Non ti si potrà guardare.

E rideva, e si mostrava contento, poveretto. Ma nell’uscire dalla crociera, in mezzo a quelle due file di letti turchini, lasciando là dietro la sua figliola. Pensava che avrebbero potuto morire le malate dei letti vicini, ed allora la Nanna si sarebbe trovata distesa fra due morte. E brontolava:

— Maledetto argento!