Io cerco moglie!/VI

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VI. L'arciero del Cinquecento

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V VII
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VI.


L’ARCIERO DEL CINQUECENTO.


“E anche il matrimonio di Ginetto Sconer non si farà a quel che pare.„ Torno a casa e trovo nel salotto Maioli. Costui è un uomo straordinario. Lo conosco da quando io facevo la piazza [p. 61 modifica]di P***. Lui dice che era ufficiale di cavalleria al tempo della battaglia di Custoza, ma è rimasto sempre uguale; magrolino, a passettini svelti svelti, zazzera bianca, cravattina bianca, fiorellino all’occhiello. Il suo volto è fresco e roseo come quello di un bambino. Dopo che ha parlato, fa sempre un risolino di felicità. Non lo fa certo per mostrare i denti perchè è una dentiera: deve essere una misura igienica, ridere. Quando una cosa gli piace, compone le labbra a ventosa, e succhia. Quando, invece, una cosa non gli piace, fa il contrario, buffa; e quando poi si commuove, piange: e anche queste devono essere misure igieniche.

“Lei, mi insegna — gli ho detto più volte — come ha fatto a conservarsi così bene dal tempo della battaglia di Custoza, ed io la metto nelle mie réclames come esempio vivente dell’efficacia della mia vitalina, più le regalo dieci mila lire.„

Anche pei vestiti deve avere un segreto: ogni tanto lo vedo ricomparire con certi abitini che ho conosciuti tanti anni fa. “Lei è sempre elegante„ gli ho detto. — “È la figura elegante — mi ha risposto — e poi è la contessa mia moglie„.

Quando nomina la contessa sua moglie, si commuove sempre.

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Dove vive? Vive in provincia nella città di P*** con la contessa sua moglie; “che è un tesoro per la casa„; i suoi canarini, che sono così intelligenti; i suoi fiori, che sono così belli; e le sue anticaglie, fra cui deve essere la contessa sua moglie. Giacchè Maioli si intende di vecchi quadri, di vecchie stoffe, di vecchi cocci; e siccome a P*** c’è tutto uno stock di famiglie nobili in liquidazione, così qualche affare lo rimedia.

Quando non è a P***, è ospite “nel castello del suo buon amico il conte A***; o nella villa dell’altro suo buon amico, il marchese B***„. Deve essere un ospite piacevole, perchè sa fare in fine dei pranzi le strofette all’antica, come la vispa Teresa; possiede una dozzina di vecchi bons mots; ricorda la cronaca galante del tempo che fu.

È venuto da me per sentire se gli cedo un certo automobile, che mi darà in cambio un quadro del Pinturicchio. “Così nobilitate — dice lui — questo vostro appartamento„. Ringrazio, ma non accetto.

— È che voi ignorate il Pinturicchio.

— Sarà benissimo, ma non vendo.

— Già, quando uno ha un appartamento così, non può apprezzare il Pinturicchio.

— Perchè? Cosa c’è nel mio appartamento? c’è forse cattivo odore?

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Vedo che raggrinza il naso come sentisse cattivo odore.

— Ma, mio buon amico, levate intanto dalla porta quel tappeto con su scritto: “prego pulire le scarpe„. Sì, è bello: scale di marmo, parquets, termosifone, ma ci manca quel non so che, quel non so che.... Scommetto che ve lo ha messo in ordine un mobiliere questo appartamento.

— Macchè “manca quel non so che!„ C’è tutto.

— Sì, ma troppa roba fresca, troppo oro, troppo stucco. L’occhio non riposa. I sopramobili, scusate, mio buon amico, sono da fiera di beneficenza. L’avete scelto voi questo appartamento?

— È mio!

— Caspita! L’avete fabbricata voi questa palazzina?

— È stata una favorevole combinazione. Era prima dei conti Tornamali, e adesso è mia proprietà.

Sbuffa.

— Cosa c’è da sbuffare, caro conte?

(Io lo chiamo così in omaggio alla contessa sua moglie: ciò a lui fa piacere e a me non fa danno).

— È che le vecchie case se ne vanno....

— E vengon su le nuove — dico io.

— E anche il giardino è vostro?

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— Si intende.

— Già, così è. Voi potreste esser capace di mettere qui un cameriere in istile, invitare ad un garden-party, parlare anche di arte, fare anche della beneficenza....

— Non ci trovo niente di straordinario.

Guarda attorno, guarda me, e poi dice:

— Sta il fatto che voi, mio buon amico, potreste formare la felicità di molte signorine per bene.

(È quello che dicono tutti. Ciò mi piace, e lo prego di rimanere a colazione).

— Ma perchè, mio buon amico — mi domanda — non prendete moglie?

— È quello appunto che sto cercando, ma non trovo. — E gli racconto in succinto le mie peripezie.

— Ma naturale, — esclama lui — naturale, mio buon amico! Voi cercate la moglie nella vostra classe di gente quattrinaia. Non la potete trovare: troverete roba da capriccio: satin, cotone mercerizzato: non una vera moglie.

— Lei ha crêpe de Chine da offrirmi?

— Macchè crêpe de Chine! Broccato a gigli d’oro! di quelle stoffe antiche ancien régime, che dopo due secoli sono ancora fresche, belle, che sembrano fatte ieri....

— Scusi, caro conte, lei mi vuol dare una moglie ancien régime dì parecchi secoli?

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Scuote la zazzera compassionevolmente e dice:

— Voi, perdonate, mio buon amico, ma non capite. Voi non potete capire che cos’è l’ancien régime. Io avrei da offrirvi — offrirvi, badate bene, perchè non vi garantisco se lei accetterà — la vera eroina, la donna misteriosa e superba che nobiliterebbe questo vostro appartamento, e anche, permettete, la vostra persona.

Ancien régime di che età? — domando io.

— Non diciamo sciocchezze: la più bella donna del mondo.

— Mi dispiace, — rispondo — ma il posto della più bella donna del mondo è già occupato: fräulein Violetta. Esiste un plebiscito.

E dò alcune spiegazioni intorno all’incomparabile fräulein Violetta.

— Puah! — esclama Maioli, e fa con la manina certi gesti, come mandasse via uno sciame di mosche. — Sono le vostre degne beccamorte: prima vi spoglieranno e poi balleranno il can-can rivoluzionario su la vostra pietra tombale.

Se lo sentisse Lionello e gli altri poeti a parlare così di fräulein Violetta! — Ma, dicevo: questa signorina, che lei mi propone, è Vestale anche lei come fräulein Violetta?

— Basta, basta! Quando si scherza su certe cose sacre, io non parlo più. Da farne?

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— Come s’è fatto cattivo! Ma parliamone, anzi. Sarà, m’imagino, ma non importa, senza un quattrino come tutti i nobili del vostro paese.

— Volete far l’affare anche col matrimonio? Danaro e danaro, voi volete. Brillanti e brillanti! Solo un soffitto del palazzo di donna Ghiselda vale come tutta questa vostra chincaglieria. Bramante autentico. E non vi dico altro.

Per far pace con Maioli, dò ordine di portare una bottiglia di champagne. — Dunque dicevamo: stato decente di conservazione matrimoniale. E sarebbe capace di fare un erede?

— Due, se ne volete.

— E adesso diciamo un’altra cosa: è grassa o è magra? alta o bassa? bruna o bionda?

— Sono cose — dice Maioli — che bisogna vedere; non si possono descrivere. Vi dirò una cosa sola: come questo champagne. Che cosa è questo vostro eccellente champagne? Raggio di sole imprigionato. Ma il turacciolo balza, ed ecco il sole. Povera, cara fanciulla!

Maioli teneva davanti agli occhi la coppa dello champagne; e due lagrime gli cadevano giù per le belle guancine.

— Si calmi, conte. Mi dica almeno se è sana.

— Sana? Come un arciero giovanetto del Cinquecento.

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— E non è pericolosa?

Maioli fa gli occhietti feroci: — Vi compatisco perchè voi non avete mai veduto donna Ghiselda.

— Il nome mi piace. Sarà per lo meno duchessa — dico, perchè Maioli non avvicina che gente titolata.

— Contessa — dice con solennità.

Domando dove si può vedere questo champagne, quest’arciero del Cinquecento, questa contessa.

— Non pretenderete mica che ve la porti qui! Se voi una domenica, verso mezzogiorno, capitate a P***, alla pasticceria della Maddalena, sul corso, ve la posso presentare. Io verso quell’ora prendo il mio vermut, e donna Ghiselda vi capita dopo l’ultima messa a fare qualche acquisto di dolci.

— Va a messa questa contessina?

— Ma certamente! Tutti noi, nobili, andiamo a messa; se non altro per protestare dignitosamente contro la canaglia che non ha più religione. E poi, scusate: senza una religione che matrimonio pretendete di fare?