Ircana in Julfa/Nota storica

Da Wikisource.
Nota storica

../Atto V IncludiIntestazione 18 giugno 2023 75% Da definire

Atto V

[p. 403 modifica]

NOTA STORICA

La Sposa Persiana aveva trovato non soltanto ammiratori, ma ferventi imitatori. Fra gli altri, Francesco Griselini lodava il Goldoni “di questa specie di scoperta nell’Arte Comica”, per aver M istruito “il popolo per mezzo del teatro “nella Storia de’ costumi e degli usi delle Nazioni E aggiungeva: “Il felice esito della medesima” cioè della Sposa Persiana, “e l’aver osservato il piacere che tal sorte di rappresentazioni avea recato al Pubblico, invogliò incontanente un altro Autore” intendi il Chiari, “ad esporre i costumi de’ Cinesi, e fin degli Americani, e me spinse altresì a scrivere la Commedia seguente, in cui mi sono ingegnato di dipingere i costumi de’ Turchi”. In fatti, come si apprende dai Notatorj del Gradenigo, ai 30 gennaio del 1755, il Griselini, per dimostrare la sua costante fede al Goldoni, faceva recitare una sua Ircana turca, intitolata La schiava nel serraglio dell’Agà de Giannizzeri in Costantinopoli, la quale venne recitata e applaudita nel teatro di S. Gio. Grisostomo agli 11 dicembre di quello stesso anno (v. Gradenigo, presso il Museo Civico di Venezia), e così altrove, finché nel ’56 uscì in istampa a Firenze con una dedica martelliana alla duchessa Maria Vittoria Serbelloni-Ottoboni (e con una prefazione al Gentile Lettore: v.anche a pag.213 del presente volume).

Tuttavia il pubblico veneziano e gli attori del teatro di S. Luca insistevano presso il Goldoni per ottenere il seguito della Sposa Persiana (v. a pag. 124 del presente volume, e Mémoires, P. 2e, ch. XIX), poiché l’ab. Chiari fin dal carnovale ’54 aveva fatto seguire le Sorelle Chinesi alla Schiava Chinese. L’autore non sapeva decidersi in causa delle gelosie fra la Gandini e la Bresciani, o com’egli dice, “per certe indiscrete etichette comiche di prima e seconda donna”; ma appena Teresa Gandini se ne andò col marito importuno a Dresda, e piantò la compagnia di S. Luca (v. vol. XII della presente edizione, pp. 324-5), il commediografo si sentì libero e ai 9 dicembre del 1755 diede finalmente l’Ircana. “Nel Teatro Vendramino a S. Luca andò in scena una Comedia in Versi Martelliani di Carlo Goldoni intitolata Ircana, cioè la continuazione di quella che altre volte fece recitare chiamata la Sposa Persiana”: così si legge nei famosi Notatorj del N. H. Piero Gradenigo, presso il Civico Museo Correr. La commedia piacque: “l’incontro” affermava l’autore stesso “è fortunatissimo” (v. a pag. 124 del presente volume e a pag. 105 del vaol. XIII); pure non fu clamoroso (v. le considerazioni del Goldoni nell’avvertimento al lettore pubblicato in testa alla commedia stampata, pag. 329). Troppo lunga e troppo grande era stata l’attesa dei Veneziani; e poi questa volta era mancata la novità. [p. 404 modifica]

Se non vogliamo fare torto al pubblico veneziano, ci convien confessare che il dramma in questi cinque atti resta soffocato dal romanzo. Ricordiamo che nella Sposa Persiana l’autore si era proposto di descrivere l’amore, la passione violenta: i Veneziani non si lasciarono sedurre soltanto dalle vesti orientali di Ircana, bensì da’ suoi accenti impetuosi che facevano impallidire Tamas e la povera Fatima. Qui tutto è spanto: non troviamo che dei mercanti armeni, un eunuco nero, delle donne che fumano tranquillamente la pipa: la gelosia di Zulmira e il travestimento di Ircana non bastano a creare una vera azione teatrale. Tamas arriva troppo tardi, alla fine del secondo atto e nel quinto, per richiamare al dramma principale gli animi distratti degli spettatori. Ben altro aveva promesso al pubblico il titolo semplice ma seducente di Ircana, che diventò più tardi nella stampa Ircana in Julfa, dopo la recita della terza parte della trilogia orientale (Ircana in Ispaan).

Pochi anni fa il vecchio professore Angelo De Gubernatis, in un suo volume su Carlo Goldoni (Firenze, 1911, pp. 228-235), ci diede un ampio riassunto della commedia; e notò certi spunti comici qua e là, anzi fantasticò che sotto il nero viso dell’eunuco Bulganzar “nelle prime rappresentazioni, si nascondesse Arlecchino, perchè il suo gesto, le sue mosse, il suo linguaggio, e la sua allusione alle bastonate alle quali è avvezzo, risentono di questa maschera” . Non già che tali burlette, che sì fatti intermezzi burleschi gli piacessero molto; nè si sarebbe meravigliato se i signori Granelleschi avessero “lanciato qualche frecciata mordente all’autore che, con tanta disinvoltura, mescolava la farsa con la tragedia”. Anche l’innocente invocazione di Ircana al pubblico, nell’ultima scena, parve al De Gubernatis condannabile: “Questo aggeggio finale era un rimasuglio tradizionale della vecchia commedia dell’arte”.

Contro l’opinione dell’antico pubblico veneziano, la signorina Maria Ortiz, nel suo importante saggio sulle Commedie esotiche del Goldoni (Napoli, 1905), giudicò che la Ircana in Julfa, sbandito il personaggio di Fatima, acquistasse “una maggiore libertà di movimento, e una certa naturalezza agile che fa piacevole contrasto colla goffaggine pesante delle altre due, e specialmente della prima” (pag. 28).”...Questa seconda commedia è per molti rispetti superiore alle sorelle. È meno lagrimosa, più agile, più schiettamente comica delle altre " (pag. 35): perfino senza “enfasi”. Del carattere di Ircana osserva che, lontana dalla casa di Tamas, la sua “violenza si cambia in tristezza, e la sua figura ci appare trafusa di una maggior dolcezza.... Ella non è più quella di prima, e della sua libertà non sa più che fame” (p. 29). Scopre in questo personaggio eroico “un lampo di tenerezza”, e se ne invaghisce un po’ troppo. “Se questo lato” osa dire “più mitemente femminile del suo carattere non si manifesta molto, è perchè si tratta di un momento di lotta eccezionale; perchè incontrando tanti ostacoli, ella sente la necessità d’indurire il suo animo alla lotta, e smettere ogni mollezza di sentimento. Ma quando per caso la lotta si allontani, quando per un momento solo possa esser sicura dell’amore indiviso di Tamas, ella smette la fierezza, rallenta più dolcemente la tensione angosciosa dell’animo, e la sua bocca si schiude con un incanto imprevisto a parole più tenere” (p. 30). Questa donna romanzesca, che non balza su dalla vita, ma che si confonde fra le creature senza nome e senza sesso dell’abate Chiari, è riuscita dunque a sedurre anche la signorina [p. 405 modifica]Ortiz, la quale così conclude: “Questo d’Ircana è un carattere concepito felicemente. Meno in qualche caso, ella si mantiene sempre eguale a se stessa in tutte le sue vicende, nessun ostacolo riesce ad abbattere il suo animo fiero, ella ha in sè la forza di superarli tutti, e desta in noi ammirazione, come ogni vittorioso” (p. 30). - Ircana ci ricorda insomma altre figure femminili, indiavolate e frementi, del teatro goldoniano: ma qui abbiamo un fantoccio. Certo non riesce a commuoverci anche se la disgrazia l’ha resa più calma, più buona, più simpatica, come ben osserva la Ortiz; anche se tutto il suo odio non è più contro la innocente Fatima, bensì contro I perfidi, i lascivi serragli Monsulmani che con audacia rivoluzionaria vorrebbe distruggere. Qui dunque il dramma propriamente scompare, manca la lotta delle passioni, mentre sorge la commedia fra stranezze e inverosimiglianze d’ogni genere.

Nè in tutto approviamo ciò che la Ortiz afferma intorno al riso comico; “Una comicità più schietta e derivante dalla situazione stessa è quella d’Ircana in Julfa. Il subito accendersi delle donne armene per Ircana che esse vedono in abiti maschili; la gara non sempre muta che si accende tra donna e donna, e perfino tra madre e figlia, sono cose che il Goldoni può guardare dall’alto, e sorriderne senza soverchia amarezza, anzi con una serena e benevola indulgenza” (p. 34). Certo l’autore comico non si smentisce mai; e Attilio Momigliano può scrivere: “Per quanto cattiva sia una commedia del Goldoni, quando arriva ad una scena di conversazione femminile si rialza sempre nella malignità delle insinuazioni” e cita la scena 9 del terzo atto dell’Ircana (v. La comicità e l’ilarità del Gold., in Giorn. stor. letta it.a, I semestre 1913, vol. LXI, p. 208). Ma quel travestimento e quegli equivoci d’amore, cento e cento volte ripetuti in tutte le novelle e in tutte le antiche commedie, non osiamo dichiarare che risplendano qui di novità e d’arte sotto la penna di Carlo Goldoni.

Del resto i biografi e i critici goldoniani condannano, di solito con brevi parole, tutta intera la trilogia persiana, senza mostrare per l’una o per l’altra parte maggiore odio o pietà. Non a torto la signora Olga Marchini-Capasso fa un gruppo solo delle commedie esotiche e delle commedie storiche raffazzonate dal Goldoni “su pochi spunti raccolti dai libri di consultazione... Nessuna Peruviana, nè Persiana, nè Dalmatina gli ha mai rivelato i segreti dell’anima sua.... ed esse rimangono lì, dinanzi ai nostri occhi, tra i luccicori delle loro perle e dei loro costumi smaglianti, dondolandosi come le marionette sul filo, immobili nella rigidezza dei loro volti, obbedienti ad una mano che le conduce e le fa muovere con isforzo evidente... Questi sono i lavori dove Goldoni vien meno al suo principale canone d’arte di non tradir la natura; manca la verità dappertutto” (Gold, e la commedia dell’arte, Napoli. 1912, P. 147).

E già Carlo òozzi nelle Memorie inutili (Venezia, Palese, 1797, L I, 279-280) si era sfogato contro quelle “opere semitragiche piene d’assurdità, d’improprietà, di mal esempio del costume orientale”, contro le “bestiali Ircane”, i “sozzi eunuchi” e le “Curcume nefande”. Pare che anche il pubblico italiano facesse di tutte, bene o male, lo stesso conto, quando intorno al 1820 la compagnia di Giacomo Modena le portava tuttavia in giro pei teatri. Trovo nei viaggi del signor Valery questo ricordo, da Genova: [p. 406 modifica]“Parmi plusieurs autres pièces, je vis représenter au théâtre del Falcone, qui tient au palais du Roi, et dont S. M. Charles Félix était le spectateur le plus assidu, une des Hircana (sic) de Goldoni, bien jouée par M.e Polvaro-Caroletta (sic). Malgré le succès qu’ obtint dans le temps cette trilogie, et tout le bien qu’ en dit Goldoni dans ses I, la pièce me parut fausse, froide, ennuyeuse, comme la plupart des sujets persans mis au théâtre (Voyages historiques et littér.es en Italie pendant les années 1826, 1827 et 1828, Bruxelles, 1835, p. 505). E Luigi Carrer pare alludesse alla presente commedia, quando scriveva, subito dopo la Sposa Persiana: “Taccio della Circassa, in cui i caratteri sono pressoché tutti detestabili, non ommessa la protagonista, civetta sfrontata, e donna che tutto sagrifica all’interesse dell’ambizione” (Vita di C. Goldoni, Venezia, 1825, t. III, p. 108). In fine Ferdinando Galanti così concludeva a proposito delle tre Persiane, nel 1882: “La Compagnia veneziana Duse le ha fatte rivivere, è già un quarto di secolo, sulle nostre scene, ed il pubblico le ha accolte bene, ma un’altra resurrezione mi parrebbe impossibile (C. Goldoni, Padova, 1882, p. 228).

Fra le curiosità, diremo così, dell’Ircana in Julfa, la principale è certamente questa che l’azione si svolge non più fra Persiani, ma fra gli Armeni. Non fa meraviglia trovare qua e là, specialmente alla fine della penultima scena, l’elogio di quella nazione, che doveva lusingare gli Armeni stabiliti da molti secoli a Venezia.

L’autore dedicò questa commedia alla nobildonna Marina Canal (di S. Barnaba), figlia di Giacomo e di Faustina Erizzo, sposi nel 1713: d’antica famiglia che apparteneva fin dal secolo XIII alla nobiltà veneziana. A Francesco Maria Canal, zio di Marina, il Goldoni aveva dedicato nel 1753 il Feudatario (v. vol. VIII della presente edizione). Nel 1732 si congiunse Marina col vedovo Zuanne o Giovanni Carlo Savorgnan (di S. Geremia, a Cannaregio) a cui diede quattro figli maschi: Francesco, Giacomo (sposo nel 1766 di Faustina Zen), Antonio e Girolamo; e due figlie, la maggiore delle quali, Faustina, sposò ai 16 gennaio del ’58 Don Lodovico Rezzonico. nipote del cardinale Carlo (vescovo di Padova, creato papa il 6 luglio di quello stesso anno), la minore, Lucrezia, fu unita nel 1762 al marchese Don Giovanni Lambertini.

In occasione delle nozze di Faustina stampò il Goldoni un poemetto intitolato La Mascherata: v. Notatorj del Gradenigo e Spinelli, Bibliografia Goldoniana, Milano, 1884, pag. 230. Nel Nuovo Dizionario storico, Bassano, t. XVI, 1796, dove parlasi dei Rezzonico, è commendata quale “dama ornata delle più rare qualità” (pag. 321). Ai 5 nov. 1760, per volontà del pontefice, ella partì col marito da Venezia per Roma (Notatorj Gradenigo), dove dimorò nel palazzo della Cancelleria, e poteva dirsi, almeno durante il papato di Clemente XIII, “la dama più ragguardevole della società romana” (così Alberto Cametti, Critiche e satire teatrali romane del Settecento, estr. dalla Rivista Musicale Italiana, Torino, 1902, pag. 6). A lei fu dedicato dall’impresario l’edizione romana del “Signor Dottore, Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegejo P. A. [C. Goldoni], da rappresentarsi nel teatro di Torre Argentina nel carnevale dell’anno 1761” (c. s.).

La famiglia Savorgnan, d’antica e illustre origine friulana, fu inscritta [p. 407 modifica]nel 1385 al patriziato veneziano. Famosissimo tra i Savorgnan quel Girolamo che nel 1514 difese con pochi soldati il castello di Osoppo contro l’esercito imperiale di Massimiliano (v. E. Salaris, Una famiglia di militari Italiani dei secoli XVI e XVII - I Savorgnano, Roma, 1913; e due articoli recenti: I grandi condottieri d’Italia: G. di Savorgnan, di Guido Podrecca, in Secolo XX, giugno 1918 e G. Savorgnano e la sua tomha, di Gir. Cappello, in Gazzetta di Venezia, 6 nov. 1926): altri uomini insigni ricorda il Liruti nelle Notizie dei Letterati del Friuli, t. III. Il palazzo a S. Geremia, abbellito da un giardino, fu cantato in versi latini da Nicandro Jasseo (ossia De Azevedo, Venetae urbis descriptio, Venetiis, 1780: v. Tassini, Curiosità Veneziane, pag. 651).

Nelle Riferte di Gio. Batt Medri (Inquisitori - Riferte dei Confidenti, busta 616, presso il R. Archivio dei Frari) che nel 1760 sorvegliava coloro che frequentavano l’accademia letteraria degli Industriosi del Co. Giovanni Cattaneo, agente di Federico II di Prussia, a Santa Fosca (v. dedica della Donna stravagante, vol. XIII), si legge in data 6 agosto: “L’altra sera veruna persona andò nella Casa del Co. Cattani. Bensì hieri sera a mezza ora di notte vi andò il Dot.e Goldoni, et passato un hora venne la Barca di Casa Savorgnana da Canal Reggio, uno Abbate alto di Statura, et magro, et una Gentildonna pure alta e grassa, e mi parve avanzata in età, e zoppa, et altra Signora piccola e magra, e tutti tre andorono in Casa Cattani, et il Barcariolo da prova [prua] con il ferrale [fanale] li portò dietro dei libri”. E in data 13 Agosto: “Il Dot.e Carlo Goldoni non andò hieri sera all’Accademia in Casa del Co. Cattani. Bensì vi andò a hore due la solita Gentildonna Savorgnana, con la Figlia, et il Prete che va seco è tarmato in volto [segnato dal vaiolo], et è da Heste, quale suona bene il mandolino”. Si allude, come credo, a Marina, che si piccava di lettere, e a Lucrezia non ancora sposa.

G. O.

La Ircana in Julfa fa stampata la prima volta nel tomo V del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. Goldoni, che uscì presso Franc. Pitteri a Venezia nel 1758: fu ristampata a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, t. V, 1764 e 1791), a Venezia più volte (Savioli, t. I, 1770; Pasquali, t.L XIII, 1774; Gatti, 1784; Zatta, cl. 3a t. 1, 1792), a Torino (Guibert e Orgeas, t. III 111, 1775), a Livorno (Masi, t. X, 1789), a Lucca (Bonsignori, t. IX, 1789) e forse altrove nel Settecento. Nella nostra ristampa fa seguita principalmente l’edizione Pitteri, curata dall’autore stesso, ma fu pure tenuto conto delle lievi varianti delle altra edizioni.