Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo VIII

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CAPO VIII.

L’autore prosegue la narrativa cominciata nel capitolo primo risguardante la spedizione dei Persiani, capitanati da Coriane, nella Colchide. Sconsigliato orgoglio de’ Lazj. — Orazione di Gubaze loro monarca. Schieramento degli eserciti. Fuga dei Lazj. Combattimento di Artabano. Battaglia. Morte di Coriane, e sconfitta delle sue truppe.

I. Coriane e l’esercito de’ Medi accamparonsi presso del fiume Ippi. Alla nuova Gubaze re dei Colchi e Dagisteo condottiero dei Romani combinarono di procedervi unitamente contro. Inoltratisi per tanto di là dal fiume ed eretti gli steccati deliberano se torni meglio nelle presenti circostanze l’attendere di piè fermo un assalto e pignerne l’impeto, o essere eglino stessi i primi a romper guerra, mostrando così il proprio valore, ed il generoso disprezzo in cui tengono quella fazione per rintuzzarne il coraggio. Avutisi maggiori [p. 457 modifica]suffragii dalla seconda proposta tutti di netto muovono alla volta del Medo. Giuntivi a poca distanza i Lazj non voglion sapere di schieramento insiem coi Romani, protestando non impugnarsi da questi le armi nè a pro della patria, nè a pro di chi fosse loro congiunto con istrettissimi legami di sangue, quando al contrario e’ combatterebbero per la salvezza de’ figli, delle donne e de’ suoi lari, e guarderebbonsi bene perdenti nel conflitto dal comparire alla presenza delle mogli, il perchè doveano gli stessi pusillanimi far pruova di valore. Bramavano quindi impazientemente essere i primi e senza compagni ad affrontare il nemico temendo nell’impresa venire sconcertati dagli imperiali, che mai più incontrerebbero coll’eguale animo i pericoli d’una battaglia. Gubaze lietissimo di tanto nazionale orgoglio ragunatili in disparte cercò vie meglio confortarne gli spiriti con tale diceria. «Non so, o prodi, se ad infondere virtù nei vostri petti debbami ricorrere a studiate parole, giudicando affatto vano ogni eccitamento quando la necessità stessa ispira forza e coraggio, quale appunto è di noi tutti il caso. Da questa pugna a fe’ del Nume dipende la sorte della prole, delle donne, della patria, di quanto in fine possediamo, tendendo il nemico a privarci di tutto col provocamento delle sue armi; nè havvi uomo al mondo, il quale di buon grado metta a parte de’ proprii beni chi cerca di forza spogliarnelo, la stessa natura sollecitandoci a conservare quanto abbiamo in proprio. Vi ricordi essere la cupidigia persiana senza freno e misura là dove e’ giungono a farla da padroni; se ora [p. 458 modifica]pertanto ci debelleranno, oltre la schiavitù ed incompatibili gravezze ne avremo tutto il peggio solito da loro a praticarsi coi vinti, se pure non sienvi già uscite della memoria le sofferte sciagure, nè l’epoca è molto remota, per volere di Cosroe. Or dunque fate che io non abbia a vedere dileguata colle voci sì bella prontezza a cimentarvi, e non vogliate contaminare d’infingardaggine il nome de’ Lazj. Qual tema d’altra parte potrebbe distorci dal venire a giornata coi Medi più volte da noi costretti alla fuga? Ogni difficoltà renduta consueta svanisce, l’esercizio e l’uso togliendo la molestia della fatica. Egli è poi ben giusto che sprezziate un avversario, il quale spesso lasciandosi vincere in campo vi dichiarò superiori nelle armi, costretto dalla tema a precipitosa fuga. Pieni adunque la mente di questi pensieri e di ottime speranze fatevi ora ad incontrare la sorte cui veniamo superiormente destinati.»

II. Il re dopo la concione mise in battaglia i suoi disponendo l’ordinanza per modo che primi i cavalieri procedessero contro il nemico. Di dietro ed a grande intervallo venivano gl’imperiali in arcione aventi a duce il gepida Filegago, uom coraggioso, e l’armeno Giovanni di Tomaso valentissimo anch’egli, nomato altrimenti Guze e da me ricordato ne’ precedenti libri. Ultimi seguivano Dagisteo, duce de’ Romani, e Gubaze coi fanti loro, onde agevolmente soccorrere ai cavalieri, accogliendoli nelle pedestri file se per mala ventura s’arretrassero; tale da qui l’ordinanza. Coriane quindi inviò un corpo di mille, fior di soldatesca [p. 459 modifica]loricata e provveduta ottimamente d’ogni arma, ad esplorare seguendolo egli stesso coll’esercito, sol pochi rimasi alla custodia del campo. Ma la preceduta cavalleria de’ Lazj, turpemente coi fatti dichiarando bugiarde le sue tante promesse, invanì e distrusse le concepite speranze. Imperciocchè avvenutasi alla vanguardia nemica, mal comportandone la presenza, voltò incontanente i destrieri, scompigliata dando piega, e di carriera s’aggiunse cogli imperiali, non schifa di ricorrere a coloro che sdegnato avea ricevere nel suo schieramento. Ritiratisi gli eserciti nessuna delle fazioni da principio s’accinse ad appiccar battaglia, ora cedendo agli altrui assalimenti, ed ora a rincular del nemico andandogli addosso, nè poco fu il tempo logorato in simiglianti mene, ritratte ed assalti.

III. Nel romano esercito militava un Artabane persiano, da pezza disertato agli Armeni sudditi dell’impero, comprovando loro sua buona fede meglio che con vane parole, coll’uccisione di cenventi nemici guerrieri; ed ecco il fatto. Costui presentatosi a Valeriano, maestro in allora de’ militi per l’Armenia, domandavagli cinquanta soldieri agli stipendj romani, e ricevuti conducevali ad un castello della Persarmenia sotto mentita apparenza di fuggiaschi. Quivi accolto con tutta la compagnia dal presidio, forte di cenventi individui, e per nulla sapevole del costui disertamento, nè dell’animo di macchinare novità, ucciseli dal primo all’ultimo, e fatto bottino delle suppellettili, molte certamente, si restituì presso di Valeriano; i Romani con tal pruova rassicurati delle ottime sue disposizioni aveanlo di poi [p. 460 modifica]ascritto alla propria milizia. Ora questo Artabane, al cominciar della pugna, con seco due compagni si piantò di mezzo in tra gli schieramenti, e tali pure de’ nemici si fecero innanzi. Ma egli avventatosi lor contro di subito ferì d’asta, gittò giù d’arcione, e fe’ mordere il suolo ad un valorosissimo e colossale Persiano. Altro dei barbari allora, vicino allo spento, lo colpì lievemente di spada nel capo, nè avea per anche ritirato il braccio che stramazzava egli stesso piagato nel sinistro fianco da asta romana. I mille spediti avanti sorpresi di sì tristo spettacolo tornarono indietro per attendere Coriane colle truppe reali, e vi si unirono dopo breve tempo.

IV. A simile i fanti capitanati da Gubaze e Dagisteo arrivano i suoi cavalieri, e tosto da ambe le fazioni si viene alle prese. Filegago e Giovanni tuttavia estimandosi molto inferiori di forze per resistere all’urto del nemico in sella, avendo soprattutto già sperimentato il valore de’ Lazj, balzarono giù d’arcione ed imposero di fare lo stesso alle turme loro. Formata quindi una profondissima ordinanza attesero di piè fermo colle lance in resta il Persiano. Questo per la inopinata disposizione cominciò a titubare, non avendo più mezzo di offenderli così pedestri cogli scorrimenti suoi, nè di sconvolgerne gli ordini, impennandosi i cavalli atterriti dalle punte delle aste e dal fragore degli scudi; alla per fine piglia l’arco sperando metterli in volta avventando loro un nembo di frecce. Vi rispondono dell’egual modo gli imperiali e il foltissimo saettamento arreca strage non poca da ambe le parti; e se gli strali medi ed alani erano di numero superiori, ben di più [p. 461 modifica]ripercuotevanne gli scudi romani. Nella mischia Coriane venne ferito da sconosciuta mano, l’una delle tante frecce giunta, piagatone il capo, a recargli pronta morte. La perdita di lui troncando il combattimento dichiarò la vittoria a pro degli avversarj, conciossiachè i suoi non appena vedutolo giù di sella e steso in terra a precipizio ritrassersi negli steccati. Qui i vincitori pigliarono a rincacciarli facendone macello, pieni della speranza di occuparne al primo assalto il campo, ma tale degli Alani, coraggioso a non dirne e forte della persona, nè meno destro nel maneggiare l’arco, postosi all’angustissima entrata del vallo riuscì traendo senza posa d’arco da diritta e sinistra a tenerli gran pezza lontani. Giovanni di Tomaso alla fine da solo avvicinatoglisi con improvviso colpo d’asta il trafisse a morte, dopo di che i Romani ed i Lazj furono padroni di tutto. I barbari quivi toccarono gravissima strage, ed i pochi rimasi avviaronsi del meglio loro alle proprie case. Questo fu il termine della guerresca persiana impresa nella Colchide, e quindi anche l’altro reale esercito, non appena rassicurato il presidio di Petra con grosso rinfrescamento di panatica e d’ogni bisogno della vita, diede volta.