Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo V
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO V.
Giustiniano prende a guerreggiare i Gotti facendo assalire da Mundo la Dalmazia, e da Belisario coll’armata di mare la Sicilia. — Scrive ai capi de’ Franchi. — Mundo espugna Salona; Belisario, impadronitosi di tutta la Sicilia, termina gloriosamente il suo consolato
I. Giustiniano sul volgere l’anno nono del suo imperio, come prima ebbe nuova della tristissima fine di Amalasunta ordinò la guerra, dando l’incarico a Mundo, maestro della milizia nell’Illirico, di prendere la via della Dalmazia, signoreggiata da’ Gotti, per tentare l'espugnazione di Salona: era costui di gesta barbarica, affezionatissimo all’imperatore, ed egregio nell’arte guerresca. Inviò ad un tempo nella Sicilia Belisario, famoso a que’ dì per la fresca vittoria avuta di Gelimero e de’ Vandali, con armata di mare, con quattro mila guerrieri tratti non meno dagli ordini militari suoi che dalle truppe confederate, e con forse tre mila Isauri. Primi nel comando erano Constantino e Bessa traci; e Peranio dall’Iberia vicina a’ Medi, congiunto di prosapia col re ibero, e da gran pezza, intollerantissimo delle persiane costumanze, disertato agli imperiali. A’ cavalieri soprantendevano Valentino, Magno ed Innocenzo; a’ fanti Erodiano, Paolo, Demetrio ed Ursicino; conduceva Enne gl’Isauri; compievano alla perfine il novero delle truppe dugento Unni confederati e trecento Mauri. A tutti i prefati duci poi imperava Belisario avente seco i pretoriani astati e lunghissima schiera d’illustri pavesai; e’ si partiva con Fozio, nato dalle prime nozze di Antonina sua moglie, imberbe ancora, ma d’una prudenza e robustezza molto al di sopra dell’età sua. Ebbe il duce in Bizanzio comandamento di fingere tutto quell’apparato diretto alla volta di Cartagine; ma postosi nelle acque della Sicilia, e pigliatovi terra col pretesto di qualche urgente bisogno, e’ dovea tentare l’isola ed impadronirsene, riuscendovi, a tutto bell’agio, guardandola quindi per modo che non fosse mai più costretto di abbandonarla; ove poi tramettessersi all’opera impedimenti e’ rivolgerebbe le prore verso l’Africa con al tutto menzognero proponimento.
II. Mandò similmente ai capi de’ Franchi un’ambasceria con lettera in questi termini: «Da che i Gotti non solo ricusano di restituire al nostro imperio l’Italia violentemente a noi tolta, ma di più senza una provocazione al mondo ci offesero con forti ed intollerabili oltraggi, vuol necessità che loro dichiariamo la guerra. A voi pertanto si conviene seguire le parti nostre, professando eguali dommi non contaminati dagli errori d’Ario, e non essendoci punto inferiori nell’averli in odio.» Così l’imperatore scrivea aggiugnendo al foglio un presente di molto danaro, e promettendone eziandio in copia maggiore posti che si fossero all’impresa; quelli riscrissero che di buonissimo grado entrerebbero in lega seco.
III. Mundo fattosi coll’esercito nella Dalmazia e vinti in battaglia i Gotti che osarongli contrastare il passo ebbe a forza Salona. Belisario afferrato coll’armata di mare nella Sicilia occupò Catania, e di là movendo gli si arrendettero di leggieri Siracusa e le altre città, di Panormo1 in fuori, conciossiachè il gottico presidio fidando in quelle mura, di vero munitissime, non volle sommettersi a lui, imponendogli per lo contrario di subito allontanarsene. Egli pertanto estimando malagevolissimo cimento l’assaltare dalla parte di terra la città, introdusse il navilio nel porto, di qua dalle mura ed estendentesi fino ad esse, e non gnardato da truppe: coll’inoltrar poi delle navi osservato che i loro alberi soperchiavano l’altezza di que’ merli, fecevi ratto innalzare alle cime ed appendere tutti i paliscalmi riempiuti di arcadori. Pel quale stratagemma il presidio sopraffatto da gravissimo timore vedendosi offeso da un nembo di frecce, subitamente cedè Panormo, e da quell’epoca l’isola intiera è ligia dell'imperatore. Successero per verità allora tutte le cose a Belisario più felicemente assai di quanto dir si possa; imperciocchè ottenuto il consolato dopo la vittoria contro de’ Vandali, nel correr di esso tornò l'isola ai Romani, ed era appunto col nuovo giorno per uscire di carica quando in mezzo agli applausi dell’esercito e de’ cittadini mise piede in Siracusa gittando per le vie aurei nummi. Non fuvvi del resto nulla di premeditato in queste faccende, ma è uopo ascrivere al solo caso la circostanza che, ritornata all’imperio la Sicilia, in quel dì pervenisse nella menzionata città e quivi della sua magistratura si spogliasse, rimanendo consolare, anzichè nella curia di Bizanzio: non altrimenti in allora ei vide secondate le sue imprese dalla fortuna.
Note
- ↑ Ora Palermo.