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Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XXIII

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CAPO XXIII.

Inutili conati dei barbari. Parte del romano muro sotto la tutela dell’apostolo Pietro. — Strania morte d’un barbaro. — Ingente massacro de’ Gotti al Vivario ed alla porta Salaria.

I. L’esercito nemico passato alla porta Trasteverina, o con altro nome Pancraziana, nulla vi operò di memorabile, rattenuto da quella forte posizione; imperocchè e l'alto muro della città e Paolo ivi di presidio con una coorte di fanti stornaronlo dal tentare un assalto. Risparmiò altresì la porta Flaminia posta in dirupato suolo, di malagevole accesso ed avente alla sua difesa una schiera di guerrieri nomati regii, cui presedeva il duce Ursicino. Tra questa porta e la [p. 111 modifica]Pinciana (così appellata una delle minori che trovi alla destra della Flaminia) il muro, anzichè dalla sua base, dal mezzo alla sommità erasi da pezza sconnesso e spaccato, nè potea dirsi impertanto del tutto in rovina, ma divergente qua e là dalla perpendicolare, e di guisa pendente che ora lo vedevi all’indentro, ora all’infuori del suo regolare livello. Il perchè già da gran tempo i Romani con voci lor proprie chiamavano tal sito muro rotto, e quando Belisario dapprincipio volea atterrarne il guasto e riedificarlo vi si opposero, protestando fermissimamente che l’apostolo Pietro avea manifestato loro di assumerne egli stesso la difesa. Il santo Apostolo del rimanente sopra tutti gli altri è venerato e riverito da questo popolo, alla cui aspettazione e credenza appieno corrisponde l’esito; conciossiachè nè durante quel giorno, nè col tratto successivo, per tutto il tempo che i Gotti assediarono Roma, fu il luogo soggetto ad assalto nemico, andando in cambio affatto libero da ogni trambusto di guerra. E di vero noi stessi non potemmo a meno l’ammirare come un nemico, il quale tante volte con impeto manifesto e pur tante con notturne frodi erasi accinto ad investire le mura, avessele mai sempre, vuoi per dimenticanza, vuoi per trascuratezza da quivi risparmiate. Laonde nessuno di poi ardì risarcirne questa parte, mirandosi ancora, come per lo addietro, fessa; ma il dettone basti.

II. Alla porta Salaria tale de’ barbari, uomo non oscuro, di alta taglia, pieno di bellico valore ed armato di lorica ed elmo, tenendosi presso ad un albero, a qualche intervallo dagli altri e fuori dell’ordinanza loro, [p. 112 modifica]iva lanciando frecce contro de’ merli. Se non che tra questo suo trarre d’arco per non so quale fatalità la macchina posta nella torre a manca tolselo sì bene di mira, che lo strale uscitone trapassatogli l’armatura e il corpo andossi più della metà a conficcare in quel tronco, ritenendovi, quasi chiovo, attaccato l’estinto corpo di lui. Alla qual vista i Gotti spaventati ritrassero l’ordinanza fuori del tiro d’un dardo, e i difensori del muro cessarono dal molestarli.

III. Ora Bessa e Peranio di presidio al Vivario assaliti con furor sommo da Vitige mandano pel duce supremo, il quale, surrogato un suo amico alla custodia della porta Salaria, andò prontamente a soccorrere quella parte giudicandola, come testè scrivea, di mal ferma opposizione. Quivi rinvenuti i suoi sbigottiti dal forte impeto e dal numero de’ nemici, esortali a dispregiare il barbaro ed inspira fiducia negli animi loro. Non v’è a ridire che pianissimo colà fosse il terreno e per conseguente molto idoneo agli assalti; volea pure il caso che la massima parte di quel muro avesse tali e tante fenditure da togliere ai mattoni poco meno che tutto lo scambievole collegamento. Se non che al di fuori innanzi ad esso gli antichi Romani aveanne costruito altro minore, non già col divisamento di usarne a difesa, mancandovi torri, merli e tutto il di più che vale a porre un argine al violento urto de’ nemici nell’occorrenza di qualche oppugnazione: ma il fabbricarono a pro d’un loro diletto ben contrario all’umano incivilimento, vo’ dire perchè servisse di carcere ai leoni ed alle altre fiere, donde vennegli il nome di Vivario, [p. 113 modifica]chiamandosi da loro così il serraglio in cui sogliono alimentare le belve non addimesticate. Vitige pertanto avendo in disparte approntato ogni maniera di macchine comandò ai Gotti di penetrarvi, nella persuasione che venutine al possesso avrebbero quindi conquistato a loro bell’agio anche il maggiore, conoscendone assai bene la poca fermezza. Belisario quando mirò trasforato il Vivario ed in molti luoghi investite le adiacenti mura impose alle truppe che non rispingessero il nemico, e lasciato un debolissimo presidio sui merli piglia seco il fiore dell’esercito, e fattolo armare di lorica ed imbrandire la sola spada ponelo in ordinanza presso della porta. Allorchè poi i Gotti bucato il muro entrarono nel Vivario, e’ di botto mandovvi contro Cipriano con altri pochi all’uopo di combatterli, ed in effetto costoro incutendo là entro gravissima paura, senza proprio danno uccidonne allo sterminio, essendo la fazione contraria ben lontana dal voler resistere, anzi trucidandosi a vicenda mercè l’angustia dell’uscita. Il duce imperiale non tosto vide per l’improvviso assalimento sconfitti i nemici e sciolta ogni ordinanza, chi qua chi là fuggendo, ordinò si aprisse di subito quella porta e feceli incalzare da tutte le truppe. I Gotti dimentichi dell’antico valore dove il caso guidali prendon via, ed i Romani, sempre mai agli omeri loro, quanti ne aggiungono tanti uccidonne col prontissimo ferro. Gran pezza durò la persecuzione, conciossiachè i barbari proceduti a sorprendere quel luogo avevano a molta distanza i campi. Quindi incendiate le ostili macchine per ordine di [p. 114 modifica]Belisario, le fiamme loro innalzatesi grandemente accrebbero vie più, come vuol ragione, lo spavento dei volti in fuga.

IV. Tra questo mezzo gl’imperiali ebbero la medesima fortuna di guerra alla porta Salaria da dove all’improvviso saltarono fuori sopra de’ barbari trucidandoli nell’atto che eglino abbandonato ogni pensiero di resistenza davano precipitosamente le spalle. E qui eziandio abbruciarono le macchine erette contro le mura, di qualità che elevandosi da per tutto le fiamme intorno a Roma e da per tutto discacciati colla forza i Gotti, mandavansi dall’una e dall’altra parte altissime grida, di qua dalle romane genti, le quali dai merli animavano i loro a far coraggiosamente scempio de’ fuggitivi, di là dai barbari dolentissimi nelle proprie trincee per l’enorme strage sofferta, avendovi in quel dì giuntato la vita non meno di trentamila combattenti secondo l’affermazione degli stessi lor duci, ed anche maggiore fu il numero dei feriti; essendo che affollatesi lor turbe intorno alle mura non s’era lanciato indarno colpo dai merli, ed i persecutori degli sbigottiti fuggenti aveanne mietuto in copia assai grande le vite. Di mattina si venne alle mani e coll’annottare soltanto la pugna ebbe fine; dopo la quale gl’imperiali passarono quelle ore notturne cantando in Roma un giulivo Peana, ricolmando il condottiero di lodi, e raccogliendo le spoglie de’ morti. I Gotti in cambio attendevano ai loro feriti, ed offrivano un tributo di lagrime agli estinti.