Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XV

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CAPO XV.

Tregua di cinque anni turpemente compra da Giustiniano Augusto. — Libertà di Procopio nello scrivere. — Vendemmiatosi, le viti riproducono grappoli e gli alberi nuovi frutti.

I. In Bizanzio l’ambasciatore di Cosroe lunghissimamente piatì di pace con Giustiniano Augusto e da ultimo entrambi convennero di porre giù le armi per [p. 495 modifica]cinque anni, correndo i quali gli oratori, con piena libertà di passare da uno in altro luogo, accomoderebbero ogni discrepanza risguardante i Lazj ed i Saraceni. Ebbevi poi negli accordi il patto di sborsare al re venti centinaia d’oro ed altre sei pe’ diciotto mesi corsi tra le due tregue, e consumati in iscambievoli ambascerie, dichiarando i Persiani ben contrario mai sempre alla propria intenzione il permettere gratuitamente siffatti colloquj. Isdeguna sollecitava inoltre che gli si fidassero di colpo le venti centinaia per trasportarle seco. L’imperatore in cambio volea consegnarne quattro ogni anno per avere un pegno che obbligasse il re alla osservanza dei patti; non di meno alla per fine sborsò l’intera somma dell’oro coll’intendimento di non sembrare soggetto ad annuale tributo, essendo pur troppo delle umane costumanze l’arrossire anzi delle indegne parole che delle azioni. Aveavi di più in Bizanzio un persiano detto Bersato, di assai cospicuo legnaggio e carissimo al re, fatto prigioniero in campo nell’armenica guerra da Valeriano, e mandato quindi all’imperatore; vivendo tuttavia costui nel novero de’ mancipj, sebbene offertosi da Cosroe molto danaro per riscattarlo, venne ora generosamente da Giustiniano dichiarato libero ad istanza d’Isdeguna, il quale affermava che per insinuazione di lui avrebbe il monarca richiamato l’esercito dal paese de’ Lazj. Correva l’anno decimo quinto dell’imperio di Giustiniano Augusto quando le due parti stipularono la tregua male accolta da molti Romani, e se meritamente o a torto, giusta la consuetudine de’ sudditi, non piacemi pronunziare. [p. 496 modifica]

II. Il volgo poi iva propagando che, stabilitosi già il persiano dominio nella Lazica, miravano i presenti accordi a renderlo per cinque anni esente da ogni briga, e a dargli mezzo di abitare durante questo tempo colla maggior libertà ed a suo bell’agio i più ubertosi luoghi della Colchide senza tema di esserne dai Romani sotto quale tu vuoi pretesto discacciato; che anzi venivagli così appianata la via di Bizanzio: considerazione di tormento e sdegno per molti. Fremevano ad uno vedendo i Persiani riusciti, sotto il nome di tregua, in cosa da lunga pezza bramata, e giammai nè colla guerra, nè in altro modo potuta spuntare, di farsi intendomi tributario l’imperio. E valga il vero Cosroe, in ordine ai desiderj suoi per lo addietro alla scoperta manifestati, gravando l’imperatore di quattro annue centinaia d’oro nello spazio di anni undici e mezzo aveane ricevute quarantasei collo specioso nome anzi di convenzione pacifica che di tributo, non cessando intanto di esercitare il sovrano potere sopra la gente de’ Lazj, e di guerreggiarla, come si è detto. I Romani adunque perduta ogni speranza di francarsi da sì molesto balzello vedevansi pur troppo ridotti alla triste condizione di palesi tributarj de’ Persiani. Stipulati non altrimenti gli accordi, Isdeguna carico di tanto danaro quanto non sognò mai averne legato alcuno, e addivenuto, se mal non m’appongo, doviziosissimo sopra tutti li suoi, fecesi indietro, avendolo Giustiniano Augusto ricolmo di sommi onori ed assai splendidamente largito. Sì egli poi come il suo codazzo di barbari, e soprabbondante erane il numero, ebbero comodo e piena libertà di [p. 497 modifica]frequentare chiunque attalentasse loro; trascorrevano di più le bizantine contrade per trar profitto da vendite ed acquisti, dandosi a qualunque commercio non meno sicuri che in patria. Uom de’ Romani, deviatosi dall’usanza, non seguivali, e meno ancora spiavane gli andamenti.

III. In questo mezzo fuvvi cosa, a mia notizia, non più da prima veduta. L’autunno a simile d’inoltrata state fu caldo eccessivamente, di maniera che fiorirono da per tutto rose a mo’ di primavera, ed affatto eguali a quelle della propria stagione sbucciate. Quasi tutti gli alberi coprironsi altra fiata di nuovi frutti, ed avvegnachè sol pochi giorni si contassero dalla fatta vendemmia, le uve ricomparvero sulle viti. I saputi in queste cose volendo azzardarne la interpretazione andavano preconizzando qualche prodigioso ed inopinato avvenimento lieto per gli uni, contrario agli altri; ma io sono d’avviso che il prolungato spirar di Austro riscaldasse la terra più dell’ordinario e di quanto comporta l’autunnale stagione. Se poi, non dipartendoci dalle costoro parole, annunciato ne fosse un che d’impreveduto e grande, lo avremo chiarissimemente dal fatto.