Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XIV

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CAPO XIV.

Archeopoli; assedio delle sue mura. I Romani avvalorati dai loro duci arrecano sortendo grave danno al nemico. — Spavento e furia d’un elefante. — Episodio dell’autore sopra Edessa, ove in altri tempi gli elefanti infierirono al grufolare dei majali. Prodigio ivi mirato. Partita degli assediatori. — Mermeroe giunto nella Muchiresia vi restaura il castello Cutatisio.

I. Giace Archeopoli sopra dirupatissimo colle, e ricetta un fiume che sorge ne’ poggi sovrastanti la città. Le sue uscite abbasso menano appiè del monte per non difficile via; ma sagliente è quella che dal campo vi tende. Le porte all’alto conducono a luoghi scoscesi, a molto ardui sentieri di vastissime boscaglie ingombri. E siccome la città non racchiude acqua, salvo il fiume, così i fondatori di lei inalzaronvi doppio muro sino ad esso per attignervi senza pericolo. Mermeroe da questo lato deliberò assalirla con tutte le sue forze, e fermo nel suo divisamento fe’ di subito costruire dai Sabiri moltissime arieti leggieri per modo che si potessero trasportare a schiena d’uomo; imperciocchè non aveavi mezzo per condurre le comuni al muro edificato sulla maggiore elevazione del monte, ed erangli ben noti gli artifizj di quelle genti, confederate dei Romani, contro di Petra; voleva quindi pur egli, applaudendo alle nuove invenzioni, progettarne durante il propostosi assedio, ed i Sabiri obbedienti ne fecero con diligenza somma il comando. Invia poscia i Dolomiti alla [p. 489 modifica]più discoscesa parte della città inculcando loro di molestare incessantemente il nemico. Questi barbari quantunque abitatori della Persia non furonle mai ligj, riusciti essendo, mercè d’una continua dimora sopra monti precipitosi ed affatto impraticabili, a vivere ognora dalla più remota antichità sino a’ dì nostri colle proprie leggi, e stipendiati fannosi aiutatori in guerra delle reali truppe. Militano sempre pedestri con tre dardi in mano ed armati di scudo e spada. Corrono poi speditamente per le dirupate balze, come sulla più agiata pianura; eccoti perchè Mermeroe nella pugna diresseli colà, mentre egli col resto delle truppe, colle arieti e cogli elefanti movea contro le ime parti. Ma tutto che i Persiani ed i Sabiri nell’assalimento avventassero sì grande quantità di saettame da coprire a foggia di nube il cielo, non valsero nullamente a respignere la contraria fazione da que’ merli. I Dolomiti poi di su le rocce fuori dalle mura co’ dardi loro vie più malmenavano i Romani di fronte. Questi per verità erano già da ogni banda in pessima condizione, ridotti agli estremi, e prossimi ad un totale sterminio.

II. Odoaco e Babo intanto, vuoi ad ostentare il proprio coraggio, vuoi a far prova di quello de’ loro soldati, o sia pur indotti da tal quale divina ispirazione, dati in custodia a pochi difensori i merli col comando che animosamente vegliasserli, e ragunato il nerbo delle truppe arringaronle a riciso in questi termini: «Vedete, o commilitoni, il pericolo e gli estremi cui siamo ridotti. Unico scampo a chi dispera salvezza è il non desiderarne alcuna, spesso l’amor della vita [p. 490 modifica]trascinandone seco la perdita. Nelle presenti angustie v’è d’uopo riflettere che proseguendo noi a combattere dai merli il nemico, dato pur che valorosamente guerreggiamo, dubiteremo ognora di uscirne a buon fine. Imperciocchè il tenzonare da lunge ne rende inetti a gloriosi gesti, e spessissimo abbandona i più forti all’arbitrio della fortuna. Combattendosi al contrario da corpo a corpo l’animo coraggioso è prevalente, e la vittoria gli si fa compagna. Di più, chi dalle mura guerreggia, eziandio con sorte propizia, ben poco frutto ritrae dagli ottenuti vantaggi, poichè il nemico oggi respinto la dimane precede con ostinazione maggiore all’assalto, ed il presidio a poco a poco indebolitosi termina senza replica perdendo sè stesso col difeso luogo; s’egli in cambio trionfato avesse in campo sarebbe giunto a ferma salvezza. Laonde ben ponderato l’esposto a noi conviene d’assalire con prodezza il Persiano, fidando in tutto nel favor del Nume, e prendendo ardimento dalla tristissima condizione delle nostre faccende. Non ristarà per certo l’Onnipotente dal proteggere, come suole, grandemente coloro, i quali affatto disperano salute dalle proprie forze.»

III. Odonaco e Baba così perorato e fatto aprire le porte conducon fuori a tutta corsa le truppe consegnando le mura a pochi difensori, conciossiachè il giorno prima tal personaggio de’ Lazj di stanza in Archeopoli avea tenuto segrete pratiche con Mermeroe per tradirgli la patria, ed il persiano duce rispondeagli che per gratificare al re suo e’ dovesse, cominciata la pugna, [p. 491 modifica]appiccar fuoco di nascosto ai granai ov’era in serbo il frumento ed ogni altra vittuaglia. Dalla quale proposta opinava essere per avvenirne l’una delle due, o che i Romani, tutti in affanno ed occupati ad estinguere l’incendio lascerebbon tempo a suoi di ascendere le mura, o intenti a respignere gli assalitori nulla curerebbonsi de’ granai, e quindi, consumato dalle fiamme il frumento e gli altri bisogni della vita, in breve ora senza pericolo ridurrebbero l’assediata Archeopoli sotto il dominio persiano. A tanto miravano le inchieste di Mermeroe, ed il fellone di guisa accolsele che non appena veduta nel suo bollore la mischia pose a fuoco in occulto i luoghi sotto de’ granaj. Al primo comparir delle fiamme dunque accorsavi piccola mano di Romani riuscì a stento e fatica a spegnerle, di già essendosi ampiamente diffuse. Gli altri tutti, come dicea, piombarono sopra il nemico, e col repentino urto e spavento da essi apportato ne uccisero molti inermi ed inetti alla difesa, mai più i Persiani temendo che quella guernigione ristrettissima di gente prendesse a combatterli mentre sbandati e senz’ordine procedevano ai merli, disarmati ed incapaci della minor resistenza portando sopra gli omeri le arieti. Queglino poi dagli archi tesi avvidersi ben presto venuti al combattimento dell’impotenza loro a vincere. In questa per ventura uno degli elefanti inaspratosi, o per tocca ferita, o da sua posta, gittando a terra, col rinculare, quanti avea sul dorso, ruppe l’intera ordinanza; laonde i barbari pigliarono a ritirarsi, ed i Romani ad esterminare più alla dirotta chiunque capitava loro innanzi. Qui a buon [p. 492 modifica]diritto maraviglierà taluno come esperti costoro nell’arte di ribattere gli assalti dati cogli elefanti non attendesserne menomamente i precetti, e come di tali bestie senza motivo al mondo infuriatesi compiessero allora le narrate cose; quali poi sieno gli accorgimenti di tal arte passo ora ad esporre.

IV. Assalitesi da Cosroe e dall’esercito persiano le mura di Edessa ecco avvicinarsi ud elefante su cui erano molti valorosissimi guerrieri chiusi in certa macchina detta Elopoli, cosicchè sembrava prossima la città a dichiararsi vinta, costretti i difensori d’altra delle sue torri a levarsi di là per campare da una foltissima gragnuola di saette. Ben tosto non di meno i Romani coll’appendere un maiale all’abbandonato luogo annientarono l’imminente sciagura: conciossiachè quelle, disagiato e penzolone, cominciò a mandare, giusta la consuetudine di tali bestie, grugniti sì acuti che l’elefante furiando s’arrestò, e quindi con lento rinculare scomparve. Tanto accadde in sì grave congiuntura, ed ora la sola fortuna riparò alla negligenza dei nostri. Venuto poi colla mia narrazione a nominare Edessa non passerò con silenzio un prodigio di cui ella fu spettatrice in epoca anteriore alla presente guerra. Stava Cosroe per rompere la così detta pace perpetua quando tal donna sgravossi d’un feto bicipite e di regolari forme in tutto il resto, e che si volesse da tale diformità pronosticare le posteriori vicende mostraronlo apertamente; addivenuta essendo non solo Edessa e con lei quasi tutta la plaga orientale, ma gran parte dello stesso romano impero cagione di forti contese in tra due [p. 493 modifica]principi. Narrate siccome furono tali cose ripiglio l’interrotto cammino.

V. Intanto che di questa fatta cominciano a disordinarsi le prime file persiane, quanti erano dagli omeri partecipando, senza indagarne il motivo, al conturbamento loro, trassersi a precipizio indietro. A simile i Dolomiti, spettatori da elevato luogo e sbigottiti alla vista della travolta ordinanza turpemente la diedero all’erta; manifestatasi la rotta furono perseguiti i fuggenti e trucidati nel numero di quattro mila, compresivi tre duci. I Romani mandarono di subito in Bizanzio all’imperatore quattro conquistate bandiere. Si pretende inoltre che il nemico vi giuntasse non meno di venti mila cavalli, non tanto per opera del saettame o di ferro comunque si fosse, quanto per non avere trovato arrivando nella Lazica dopo i disagj di sì lunga via, pasciona sufficiente ai loro bisogni; voglionsi ritenere adunque anzi vittime della fame e della somma debolezza che delle armi.

VI. Mermeroe, fallitagli questa impresa, marciò colle truppe a Muchiresi, padroneggiando tuttavia i Persiani, sebbene sperimentata contraria sorte ad Archeopoli, la massima parte della Lazica. Si viaggia una giornata per arrivare alle sue molto popolose borgate, e la ti s’appresenta il felicissimo agro della Colchide ricco di vino e di molte squisite frutta, che indarno cercheresti nel rimanente della regione. Il fiume Reon ne bagna il suolo, dove gli antichi Colchi edificato aveansi un castello, ma i loro discendenti abbatteronne il più, giudicandolo facile agli approcciamenti ed assalti, perchè inalzato su di pianissimo terreno; altre volte nomaronlo con greca [p. 494 modifica]voce Cotiaio, ma ora dagli stessi Lazj è detto Catalisio, per ignoranza di quella lingua deturpandone la retta pronuncia. Altri per lo contrario estimano aver quivi ab antico avuto sue fondamenta Citaia, città, patria di Eeta, donde i poeti chiamarono costui citaiense e la Colchide Citaide. Mermeroe adunque pervenutovi fermò ristaurarne i guasti, nè avendo all’uopo materiale ed essendo imminente il verno si diè a ripararli con munizioni di legno, e vi stabilì sua dimora. In vicinanza poi evvi Uchimerio fortissimo castello guardato con somma diligenza dai Lazj unitamente a piccola mano d’imperiali. Così il duce persiano accampatosi con tutto l’esercito a Gutalisio possedeva l’ottima parte della Colchide, strigneva siffattamente i nemici da impedir loro ogni trasporto di vittuaglia ad Uchimerio, ed era pronto a molestare l’andata nella Suania e Scimnia, provincie spettanti all’impero. Conciossiachè ove si giunga ad occupare Muchiresi vien serrata ai Lazj ed ai Romani la via tendente a que’ luoghi. Di questo modo procedeva la guerra lazica.