Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo XII

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Capo XII

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Procopio di Cesarea - La guerra vandalica (VI secolo)
Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
Capo XII
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C A P O XII.
Nuova guerra dei Maurusii. — Monte Burgaone. — Aringa di Salomone. — Grande sconfitta da’ barbari.

I. I Maurusii di poi fatto buon animo e riordinato l’esercito, senza lasciar uom dei loro esente dalla guerra, mettonsi a saccheggiare e distruggere il paese vicino alla Bizacene, egualmente crudeli con ogni età e sesso. Il duce romano tenutagli all'orecchio la costoro audacia, e i danni che ivan dappertutto commettendo, si partì coll'intiero esercito ad incontrarli, e piantate le tende presso Burgaone, dov’era il campo nemico, vi rimase cinque giorni nell'aspettativa che discendessero al piano per fare battaglia. Ma quelli, succeduto il timore al coraggio, risolverono di starsene colassù, e di non cimentarsi nuovamente in campo.

II. Burgaone è un poggio sassoso il più e [p. 435 modifica]malagevole, nè senza grandissima fatica lo satirsi da oriente, sendone però la china ben meno dirupata da occaso; vi trovi inoltre due altissimi scogli, e nel mezzo loro un’artifiziosissima selva stretta e profonda. I barbari adunque non paventando insidie da quell'erta cima lasciata aveanla spoglia di truppa, non meno che il più del monte, solo tenendosi con tutto l'esercito nel mezzo, per essere in grado con minor fatica di respignere abbasso i Romani, se mai e' tentassero ascenderlo; nè mancavan di cavalli per valersene a sollecitare lor fuga all'uopo di sinistri, o ad inseguire, uscendo vittoriosi, il nemico.

III. Salomone quindi assicurato della costoro deliberazione di non iscendere nel piano ad accettar battaglia, e vedendo il suo esercito nella impossibilità di continuare l’assedio in que’ luoghi diserti, stabilì affrontarli su pel monte; accortosi però che i Romani a motivo del barbarico numero, di molti doppi eccedente quello di prima, eransi tutti abbandonati ad una grave tristezza, chiamolli a sè per ridestarne il coraggio, dicendo: «Non v'è d’nopo, o commilitoni, d’altra prova che quella fornitavi da loro stessi per rimanere convinti dello spavento grandissimo in cui vivono sul conto vostro i Maurusii. E nel vero al mirare un’oste sì poderosa contro noi raccolta, e sì pusillanime e diffidente nelle proprie forze da non iscendere nella pianura per combatitere, sento venir meno ogni necessità di proseguire nelle mie esortazioni; imperciocchè reputo vane le parole a persuadere coloro, ai quali danno cotanta assicuranza le proprie gesta e la [p. 436 modifica]debolezza nemica. Limiterommi solo a rammentarvi che se vi accingerete a questa fazione in guisa di voi degna, ridurrete all’egual sorte de’ già sconfitti Vandali i Maurusii.»

IV. Il capitano dette queste parole ordinò a Teodoro di pigliar seco dugento e più fanti e di salire in ascoso, venute le tenebre, il poggio dalla parte orientale, ove appunto era più inaccessibile, e giunti alla sommità di attendervi silenziosi il mattino, per farsi quindi, al comparire del sole e preceduti dai loro spiegati vessilli, a dardeggiare il nemico. Inoltratasi adunque la notte il duce monta colla sua scorta per que’burroni all’insaputa non meno de’barbari che dello stesso esercito romano, avendo abbandonato il campo col pretesto d’una esplorazione: dall’altra banda Salomone di buonissimo mattino conduce al piè del monte in ordinanza tutte le sue truppe. I Maurusii a dì chiaro mirando quella sommità non più diserta come per lo inanzi, ma sventolanvi le romane insegne, sopraffatti da maraviglia si ristettero alquanto, e datisi poscia a guerreggiarle ben presto conobbero di avere agli omeri un altro esercito. Allora trovandosi rinserrati nel mezzo tutti di botto pigliarono a fuggire, non però sulla vetta occupata già dal nemico, nè verso la pianura essendo pur quivi egli padrone del terreno, ma fatta massa fanti e cavalli e corsi per la folta selva rampicarono su quelle rocce, donde in causa dello spavento e della confusione profondavano giù gli uni addosso agli altri, non lasciando segno a’ sopraggiugnenti di lor triste ventura. Per siffatta guisa quella vallea riempitasi d’ogni arma [p. 437 modifica]presentò in poc'ora un valicar sicuro dal Burgaone ad un vicin monte, ove il resto de' barbari scalpitando i corpi degli uccisi ebbe salvezza dopo la perdita di cinque mila1 de’ suoi, quando neppur uno de’ Romani vi giuntò la vita, ma tutti senza riportare offesa dai Maurusii o dal caso, nell'intiero lor numero, e sanissimi uscirono con poco disagio vittoriosi da quel cimento. Colle truppe nemiche scomparvero gli stessi loro condottieri meno Isdilasa, che si diede al vincitore. Fu poi cotanto il numero delle femmine e dei fanciulli caduti in ischiavitù, che gli ultimi nel mercato apprezzavansi non più de’ montoni: allora eziandio giudicossi compito l'oracolo della sconfitta loro per opera d’un imberbe2. I Romani tornarono in Cartagine con Isdilasa e con tutto il bottino; ed i sopravviventi Maurusii non isperando più tranquillità nella Bizacene fecersi unitamente ai duci su quel de’ Numidi, ove implorarono la protezione di Iabda capo d’una parte de’ loro che abitavano il monte Aurasio; rimanendo nell'abbandonato soggiorno Punico Antala con sua gente, i quali ognor fedeli agli accordi fatti coll’imperatore non ebbero a sofferire ombra di male.

  1. (1) Cinquanta mila secondo altri testi.
  2. (2) V. cap. 8, di questo libro.