Juvenilia/Libro IV/Omero

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LIX.1

OMERO


. . . . . . . Tra le morti e l’alte
Ruine de gli umani e lo sgomento
Viaggiando la Parca, il ferreo carro
Agitava la Forza; e lei reina
5La Vittoria seguía con il compianto
De la terra e del cielo. Al doloroso
Genere allora sovvenian le Muse,
Care fra tutti gl’immortali e pie
Divinità. Corrévate la terra
10Imaginando e ricordando, e tempio
V’era l’uman pensiero, o pellegrine;
Quando voi nel sonante etra, ne l’ampio
De la luce splendor, ne la procella
Che divina scoscende e i cori prostra,
15Prima Omero sentí. La mano ei porse
A la cetra, e lo sguardo al mar di molte
Isole verdi popolato, al cielo
Almo su la beata Eubèa raggiante,

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E a voi tessali monti esercitati
20Dal piè de gl’immortali. Ardea, fremea,
Trasumanato, il giovinetto; e mille
Di numi ombre e d’eroi nel faticato
Petto surgeano a domandargli il canto.

Ed ei pregò, la genitrice Terra
25Molto adorando e il Cielo antico; e a’ suoi
Vóti secondo te chiamò che in alto
Hai sede e regni l’invernal Dodona,
Giove pelasgo. E voi spesso invocando,
Voi già prodotti in piú sereno giorno
30Eroi figli de’ numi e di tiranni
Domatori e di mostri, e quei che forti
Furo e co’ forti combatteano, venne
Del re Pelide al tumulo. E sedeva
Inneggiando, e chiamava - O crollatore
35Terribile de l’asta, o d’immortali
Cavalli agitator, mòstrati al vate,
Uom nato de la diva. Un fatal canto,
Ecco, io medito a te; che n’abbian gloria
Ellade e Ftia regale e d’Eaco i figli,
40Incremento di Giove. E, deh m’assenta
Questo vóto la Parca! io ne la gloria
Tua de gli elleni il bel nome disperso
Raccoglierò poeta. Odo, la diva
Odo: e di te la grave ira mi canta.
45O re Pelide, al tuo poeta mòstrati. -

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Disse. E l’udia l’eroe; che da le belle
Isole fortunate ove i concenti
De’ vati ascolta e quanto a’ numi è caro
Chi a la patria versò l’anima grande,
50Venne; ed in sue divine armi lucente
Isfolgorava deïforme. Un sole
Eran armi e sembiante; e come stella
Di Giove che in sereno aere declina,
Pioveagli su le spalle ampie il cimiero
55Flutto di chiome equine. E Omero il vide
Attonito; né piú gli occhi d’Omero
Vider ne i campi d’Argo il dolce sole.

Né se ’n pianse il poeta. Errò mendico
(E avea ne gli occhi la stupenda forma)
60Il suol de i forti elleni; e le cittadi,
Opra di numi, ei non vedea; sí tutte
Di lor sedi erompean le achee cittadi
A l’incontro del vate. Un drappelletto
Di garzoni e fanciulle (avevan bianco
65Il vestimento e lauri in pugno avvolti
De la mistica lana) intorno al vate
Stringeasi con amor: — Vieni, o poeta,
A i nostri numi; e i nostri avi ne canta —
E l’adducean per mano. Egli passava:
70Gli ondeggiavan di popolo le strade;
E le madri accorreano, i pargoletti
Protendendo al poeta. Orava a’ numi
Ne l’entrar de le porte — O dii paterni

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E o dee che avete la cittade in cura,
75Deh guardatela molti anni a’ nepoti. —
Ne l’àgora sedea, curvo a la terra
Il capo venerando; e parea Giove
Quando ne l’arëopago discende
Da la reggia d’olimpo. Erangli intorno
80In su l’aste di lunga ombra appoggiati
I prenci figli de gli eroi: diverso
E d’infanti e di femmine e di vegli
E di chiomati giovinetti un vulgo
Addensato co gli omeri attendea.
85Stavan presenti i patrii numi: il cielo
Patrio rideva in suo diffuso lume
Allegrato del sol: riscintillando
In vista ardea la ionia onda famosa,
E biancheggiavan lunge i traci monti.
90Ed Omero cantò. Cantò di un nume
Che in nube argentea chiuso ognora il petto
Assecura de’ giusti; e come il divo
Senno di Palla per cotanto mare
Di perigli e di morte al caro amplesso
95Rudducea di Penelope a la vista
De la sua cilestrina isola Ulisse.
Anche, su ’l capo a gli empi assidua l’ira
Minacciando ed il fato, a l’alme leggi
De l’umano consorzio e a la vendetta
100Le deità d’averno addusse il vate
Proteggitrici forze: onde solenne
La ruina di Troia, e spirò il duolo

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Dal tragico terrore e il miserando
Edippo da le attèe scene ed Oreste
105Esagitaron l’anime cruente.

Ecco! gl’immoti e spenti occhi levando
Nel cielo e desïando il sol che vide
Le guerre sotto il sacro Ilio pugnate,
Di tutto il capo alzasi il veglio; e Grecia,
110Senza moto e respiro, in lui riguarda.
Ecco! la man su l’apollinea cetera
Rapidissima batte, orride stridono
Le ionie corde, i volti impallidiscono.
E cantò del Tidide a tutta corsa
115Disfrenante su’ Dardani la biga,
Dritto ei nel mezzo, e mena l’asta in volta:
Caggiono i corpi: infuriano nel sangue
I corridor fumanti: urla la morte
Dietro l’eroe: corron le furie innanzi,
120Lo spavento, la fuga. E te piantato
In su la nave, o re Telamoníde,
Cantò; come e del gran corpo e de l’asta
Grande e ben ventidue cubiti lunga
Reggei lo sforzo de la pugna, ed eri
125Solo tu contro mille: a fronte urlavano,
Accorrenti, irrompenti, risplendenti
D’armi e di faci i Teucri: Ettor crollava
Con man la poppa: sovra èrati Apollo
E l’egida scotea: tonava il padre
130Da l’olimpo su’ greci: affaticato

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A te cadeva il braccio, e ti battea
Alto anelito i fianchi! — Oh viva, oh viva! —
Gridan l’anime achive asta con asta
Percotendo, e il clamor levan di guerra.
135Balza il poeta; e la canizie santa
Scote e la fronte ampia serena, in vista
Nume veracemente. — Udite, o figli:
La gloria udite de la lega ellèna,
Achille ftío sangue di Giove. — E disse
140Come d’un grido (gli splendea dal capo
Di Pallade la luce) isbigottí
Le dàrdane caterve; impauriti
Ricalcitraro orribili i cavalli,
Ed annitrendo sbaragliati i cocchi
145Rapivano a le mura: e qual con Csanto
Fiume di Giove ei contrastasse; e come
Dopo la biga, a le difese mura
Intorno, egli il divin corpo di Ettorre
Tre volte orribilmente istrascicasse
150Entro l’iliaca polve. Armi fremendo
E prenci e vulgo gridano il peàna:
Marte spiran gli sguardi: e tutti in cuore
Già calcavan nemici, e a le paterne
Are affiggean le belle armi votate.
155Ma pio davan le argèe vergini un pianto
Su la morte di Ettorre: e chi a la cara
Patria e a le spose e a’ pargoletti imbelli
E a’ templi santi il suo sangue fea sacro,
Gioia avea de la morte: onde nel giorno

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160De le battaglie infurïò tra’ Medi
La virtú greca, e il nome Atene e l’ire
Commise del potente Eschilo al canto.



Note

  1. [p. 284 modifica]La venuta di Omero al tumulo di Achille e l’apparizione dell’eroe e l’acciecamento del poeta furono prima immaginati da A. Poliziano nell’Ambra, V. 260 e segg.; ma d’altra guisa.