L'Asino (Machiavelli)/Capitolo sesto

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CAPITOLO SESTO.


MEntre ch’io stava sospeso, ed involto
     Con l’affannata mente in quel pensiero;
     3Aveva il Sole il mezzo cerchio volto:
Il mezzo, dico, del nostro emispero;
     Talchè da noi s’allontanava il giorno,
     6E l’Oriente si faceva nero.
Quando io conobbi bel sonar d’un corno
     E pel ruggir dell’infelice armento,
     9Come la donna mia facea ritorno.

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E bench’io fossi in quel pensiero intento
     Che tutto il giorno a se mi aveva tratto,
     12E del mio petto ogni altra cura spento;
Com’io sentii la mia donna, di fatto
     Pensai ch’ogni altra cosa fosse vana,
     15Fuor di colei, di cui fui servo fatto.
Che giunta dov’io era, tutta umana
     Il collo mio con un de’ bracci avvinse,
     18Con l’altro mi pigliò la man lontana.
Vergogna alquanto il viso mi dipinse,
     Nè potei dire alcuna cosa a quella:
     21Tanta fu la dolcezza, che mi vinse.
Pur dopo alquanto spazio, e io, ed ella
     Insieme ragionammo molte cose,
     24Come uno amico con l’altro favella.
Ma riposate sue membra angosciose,
     E recreate dal cibo usitato,
     27Così parlando la donna propose:
 Già ti promisi d’averti menato
     In loco dove comprender potresti
     30Tutta la condizion del nostro stato.
Adunque se ti piace fa’ t’appresti,
     E vedrai gente, con cui per l’adrieto
     33Gran conoscenza, e gran pratica avesti.
Indi levossi, ed io le tenni drieto,
     Com’ella volse, e non senza paura;
     36Pur non sembrava nè mesto nè lieto.
Fatta era già la notte ombrosa, e scura;
     Ond’ella prese una lanterna in mano,
     39Ch’a suo piacer il lume scopre, e tura.
Giti che fummo, e non molto lontano,
     Mi parve entrar in un gran dormitorio,
     42Siccome ne’ Conventi usar veggiamo,

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Un landrone era proprio come il loro,
     E da ciascun de’ lati si vedeva
     45Porte pur fatte di pover lavoro.
Allor la donna ver me si volgeva,
     E disse come dentro a quelle porte
     48Il grande armento seco diaceva.
E perchè variata era la sorte,
     Eran varie le loro abitazioni,
     51E ciaschedun si sta col suo consorte.
Stanno a man destra, al primo uscio i leoni,
     (Cominciò, poi che ’l suo parlar riprese)
     54 Co’ denti acuti, e con gli adunchi unghioni.
Chiunque ha cor magnanimo, e cortese,
     Da Circe in quella fera si converte;
     57Ma pochi ce ne son del tuo paese.
Ben son le piagge tue fatte deserte,
     E prive d’ogni gloriosa fronda,
     60Che le facea men sassose, e meno erte.
Se alcun di troppa furia, e rabbia abbonda,
     Tenendo vita rozza, e violenta,
     63Tra gli orsi sta nella stanza seconda;
E nella terza, se ben mi rammenta,
     Voraci lupi, ed affamati stanno,
     66Talchè cibo nessun non gli contenta.
Lor domicilio nel quarto loco hanno
     Buffoli, e buoi; e se con quella fiera
     69Si trova alcun de’ tuoi, abbisi il danno.
Chi si diletta di far buona ciera,
     E dorme, quando e’ veglia intorno al fuoco,
     72Si sta fra’ becchi nella quinta schiera.
Io non ti vo’ discorrere ogni loco;
     Perchè a voler parlar di tutti quanti,
     75Sarebbe il parlar lungo, e il tempo poco.

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Bastiti questo, che dietro, e d’avanti
     Ci son cervi, pantere, e leopardi,
     78E maggior bestie assai, che leofanti.
Ma fa, che un poco al dirimpetto guardi
     Quell’ampia porta, che all’incontro è posta,
     81Nella quale entrerem, benchè sia tardi.
     E prima ch’io facessi altra risposta,
     Tutta si mosse, e disse: sempremai
     84Si debbe far piacer, quando e’ non costa.
Ma perchè, poi che dentro tu sarai,
     Possa conoscer del loco ogni effetto,
     87E me’ considerar ciò che vedrai;
Intender debbi che, sotto ogni tetto
     Di queste stanze, sta d’una ragione
     90D’animal brutti, come già t’ho detto.
Sol questa non mantien tal condizione,
     E come avvien nel Mallevato vostro,
     93Che vi va ad abitar ogni prigione;
Così colà in quel loco, ch’io ti mostro,
     Può ir ciascuna fiera a diportarsi,
     96Che per le celle stan di questo chiostro.
Tal che veggendo quella potrà farsi,
     Senza riveder l’altre ad una ad una,
     99Dove sarebbon troppi passi sparsi.
Ed anche in quella parte si raguna
     Fiere, che son di maggior conoscenza,
     102Di maggior grado, e di maggior fortuna.
E se ti parran bestie in apparenza,
     Ben ne conoscerai qualcuna in parte
     105A’ modi, a’ gesti, agli occhi, alla presenza.
Mentre parlava, noi venimmo in parte
     Dove la porta tutta ne appariva,
     108Con le sue circostanze a parte a parte.

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Una figura, che pareva viva,
     Era di marmo scolpita davante
     111Sopra il grande arco, che l’uscio copriva:
E come Annibal sopra un elefante,
     Parea, che trionfasse, e la sua vesta
     114Era d’uom grave, famoso, e prestante.
D’alloro una ghirlanda aveva in testa,
     La faccia aveva assai gioconda, e lieta;
     117D’intorno gente, che li facean festa.
 Colui è il grande Abate di Gaeta,
     Disse la donna, come saper dei,
     120Che fu già coronato per Poeta.
Suo simulacro da’ superni Dei,
     Come tu vedi, in quel loco fu messo,
     123Con gli altri che gli sono intorno a’ piei,
Perchè ciascun, che gli venisse appresso,
     Senza altro intender, giudicar potesse
     126Quai sian le genti là serrate in esso.
Ma facciam sì omai, ch’io non perdesse
     Cotanto tempo a riguardar costui,
     129Che l’ora del tornar sopragiungesse.
Vienne dunque con meco; e se mai fui
     Cortese, ti parrò a questa volta,
     132Nel dimostrarti questi luoghi bui;
Se tanta grazia non m’è dal Ciel tolta.