L'Economico/Capitolo IV

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo IV
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CAPITOLO IV.


Veramente tutte quante, Critobulo disse, non serve che me le dimostri, o Socrate, poichè nè agevole si rende di avere in tutte le arti molti buoni artefici, nè è possibile di rendersi di tutte perito. Ma quelle fra tutte le scienze, che bellissime li sembrano, e delle quali massimamente a me si converrebbe di aver cura, queste ora, e tu me le dimostra, [p. 18 modifica]e quelli che ben sanno adoperarle fammi conoscere, e tu stesso per quanto puoi dammi aiuto ad apprenderle. — Al certo, Socrate disse, tu ben parli, o Critobulo, perchè quelle arti, che dette sono meccanniche, si riprovano in un uomo libero, e meritamente di niuna stima sono riputate degne dalle città, contaminandosi per esse i corpi, e di chi vi travaglia, e di chi vi sopraintende, costringendoli a rimanersi quasi sempre seduti e all’ombra, ed alcune di queste, anche a passare tutto il giorno presso al foco. Rovinandosi poi i corpi, anche gli animi s’inviliscono. Di poi queste arti meccaniche lasciano pochissimo tempo da potersi impiegare a pro degli amici, o in servigio della città; quindi coloro, che in tali arti si esercitano sono riputati inutili agli amici, e cattivi difensori della patria. E però nelle città, e in quelle massimamente, che sono tenute per bellicose, non è permesso ad alcun cittadino di esercitare le arti meccaniche. — A noi dunque quali arti, o Socrate, ne consigli? — Certo, disse Socrate, non ci vergogneremo d’imitare il re dei persiani di cui si narra, che fra tutte le cure, che all’uomo si appartengono, avvisandosi essere queste due le più belle, e le più necessarie, l’agricoltura, e l’arte della guerra, egli medesimo ad ambedue con grande studio attendeva. — Udendo ciò, Critobulo disse: e ti persuadi tu che veramente il re dei persiani attendesse egli [p. 19 modifica]all’agricoltura? — Se al modo che io ora, o Critobulo, ti anderò divisando, riguarderemo a quello che adoperava, forse potremo sapere, se davvero vi attendeva. E quanto alle cose della guerra, noi siamo d’accordo a confessare, che con gran cura vi soprastava: perocchè in tutte quelle provincie, che gli pagavano il tributo determinava ai capi che vi presiedevano, quante milizie dovessero intertenervisi, distinguendo partitamente il numero de’cavalieri degli arcieri dei frombolieri e di ogni altra qualità di armati, e tante ve ne destinava, quante bastar potessero e a contenere il paese e a difenderlo, quando i nimici sopravvenissero. Separatamente poi da queste alcuni presidii aveva nelle rocche, i quali venivano pure intertenuti da un capo a ciò destinato. Di tutte queste milizie poi tanto assoldate, quanto senza stipendio obbligate a portar le armi, facevasene in ciascun anno un diligente esame, e tutte ragunandole in un luogo, eccetto quelle, che le rocche guardavano, e quivi prendevasene il novero: quelle che erano più presso al luogo dove risiedeva il re, da se stesso visitava, e per le più lontane, persone fidatissime deputava. E tutti quei capi di ogni grado, i quali alle milizie presiedevano, se mostrato avessero di mantenere compiutamente il numero a loro ordinato, e di aver avuto cura, che ciascuno ottimamente provveduto fosse, e di armi e di cavalli secondo [p. 20 modifica]che sì richiedeva, a più onorati gradi innalzavali, e con doni splendidissimi li arricchiva: quelli poi, che conosceva essere stati negligenti, o avere atteso a guadagnare con vituperevoli modi, severamente puniva, e cessandoli dal comando, ad altri più degno lo concedeva. In cotal guisa adunque adoperando non pare a noi da dubitare, che alle cose della guerra non ponesse egli grandissima cura. Sappi ora inoltre, seguì a dire Socrate, che tutti quei paesi, nei quali egli recavasi, diligentemente considerava, e dove non andava di persona, altri mandava di sua fiducia, i quali dovessero osservarli e tutto poi ad esso distintamente riferire; e dove egli vedeva, o vi sapeva rendersi le provincie per cura di quelli che vi soprastavano, copiose da per tutto di abitatori, o abbondevoli di ogni qualità di arbori, e di ogni altro genere di prodotti, che quel terreno, e quell’aere potessero comportare, alcuna altra provincia al reggimento di quei comandanti aggiungeva, e ad essi faceva onore di ricchi donativi, ed a più sublimi gradi innalzavali: castigava poi, e rimoveva dal comando quelli, i quali o per l’asprezza con cui governavano, o per le ingiurie che altrui faceano, o pur‘anco per trascuranza rendevano spopolate ed incolte le loro provincie, e a quelle altri ne preponeva. Tutto questo facendo egli ti parrà forse, meno essergli stato cuore, che le terre ben coltivate [p. 21 modifica]fossero dagli abitanti, di quello che difese dalle milizie? e ad ambedue questi officii in ciascuna provincia destinato aveva i sopraintendenti, ma non già i medesimi a tutti due erano preposti, soprastando altri agli abitanti e ai lavoratori, riscuotendone i tributi, ed altri avendo il comando delle milizie destinate alla guardia. E da ciò ne avveniva, che mancando il comandante delle milizie nel difendere il paese, accusavalo quegli che agli abitanti soprastava, e che doveva aver cura dei lavori, perchè pon potevasi a questi attendere sendo i luoghi mal sicuri; ma se mantenendosi la pace, e dandosi agio a ciascuno di attendere ai lavori con ogni sicurità, da quegli che alle milizie comandava, pure spopolata e incolta si vedesse la provincia, allora questo medesimo comandante delle milizie accusava l’altro che agli abitanti ed ai lavori era preposto, e nel vero una provincia che ben coltivata non sia, non può guari nè alimentare le milizie nè pagare i tributi. Dove però era preposto al comando un satrapo ad esso erano confidati ambedue questi officii. - Udito ciò Critobulo disse: se così codesto re adoperava, o Socrate, ben parmi che avesse cura, non meno del coltivamento delle terre, che delle opere della guerra. — Di più, disse Socrate, voleva egli ancora che in ogni luogo dove abitava, e dove pure soleva alcuna volta recarsi, da per tutto vi fossero giardini, [p. 22 modifica]chiamati colà paradisi, nei quali trovar si potesse tutto ciò, che benignamente a noi conceder suole la terra, o per utilità, o per diletto: e in questi giardini quasi sempre trattenevasi, quando la stagione dell’anno non gliel vietava. — Agevolmente mi persuado, disse Critobulo, che trattenendovisi il re cotanto tempo, di necessità tali giardini adorni esser dovessero, e di arbori, e di ogni altra cosa più bella, che veggiamo generarsi dalla terra. — Dippiù alcuni, o Critobulo, narrano, disse Socrate, che quando cotesto re distribuiva i donativi, primieramente chiamava a se quelli, che si erano dimostrati valorosi nella guerra, dicendo, che a nulla gioverebbe di coltivare le campagne, se non vi fosse chi le difendesse. Di poi quelli chiamava a se, i quali avevano avuto buona cura, che ottimamente si coltivassero le provincie, a cui erano stati preposti: dicendo che i valorosi nemmeno aver potrebbero di che vivere, se non vi fossero i coltivatori della terra. Narrasi pure, che dicesse alcuna volta a coloro, che chiamato aveva a ricevere cotesti donativi, che a buon dritto egli avrebbe potuto prenderesi i doni destinati agli uni, e agli altri poichè esso, e benissimo sapeva render coltivate le terre, e difenderle. — Ciro adunque, disse Critobulo, se in questa guisa parlava, o Socrate, gloriavasi di essere diligente agricoltore, non meno che valente guerriero. — E veramente io [p. 23 modifica]aviso, disse Socrate, che Ciro, se fosse vissuto, sarebbe stato un ottimo re: e questo si può conoscere per molti argomenti, massimamente poi da questo; che quando egli andò a far guerra contro il fratello per ispogliarlo del regno, dalla parte di Ciro niuno, si dice, che partisse per seguitare il re; dalla parte poi del re molte diecine di migliaia ne vennero a Ciro. Io poi stimo questo essere un grande indizio della virtù di un comandante, quando di buon grado il seguono i suoi, e nei più terribili casi seco vogliono rimanersi. E con Ciro, in fatti, tutti gli amici combatterono finchè rimase in vita, e quando cadde estinto tutti pugnando intorno al suo corpo con esso perirono, fuori di Arieo, e questo Arieo era stato destinato al comando del sinistro corno. Del medesimo Ciro si narra ancora, che essendo a lui venuto Lisandro a recargli i doni degli alleati, con grandissima cortesia lo ricevette (come lo stesso Lisandro disse, raccontandolo ad un certo suo ospite in Megara) e lo condusse pure a vedere quel giardino, ch’egli aveva in Sardi: e poichè Lisandro ebbelo ammirato, perocchè erano quivi gli arbori di una grande bellezza, e posti con eguale misura onde poi le schiere di quegli dirittissime per ogni parte ne apparivano e la vaghezza della disposizione in qualunque altra cosa vi si scorgeva essere da per tutto mirabilissima, sentendo che mentre con Ciro [p. 24 modifica]passeggiava, da molte qualità di soavissimi odori che all’intorno spandevansi erano accompagnati, meravigliando, disse: veramente, o Ciro, tutto questo assai mi piace per la bellezza, ma troppo più ammiro chi ha saputo così bene disporti, e ordinarti ciascuna di queste cose. Ciò udendo, ei narrava, che Ciro se ne mostrò assai lieto, e gli rispose: quanto qui vedi, o Lisandro, tutto ho io medesimo ordinato, e disposto, e fra questi arbori ve n’ha di quelli, che ho pur piantati colle mie mani. Allora, raccontava pure Lisandro, che rivoltosi a lui, e considerando la magnificenza delle sue vesti, e sentendone la fragranza, e ammirando lo splendore delle cinture, e de fermagli, e tutto l’altro suo adornamento gli dicesse: parli tu il vero, o Ciro, che alcuni di questi arbori li abbia tu posti colle tue mani? e che Ciro allora gli rispondesse: e tu di questo ti maravigli, o Lisandro? Ti giuro, per Mitra, che quando sono in buona salute mai non vado a cena se non ho in prima sudato in alcun esercizio, o di guerra o di agricoltura ovvero in altra cosa affaticandomi. Aggiungeva lo stesso Lisandro, che appena udito ciò, prendendogli la destra gli disse: a buon diritto parmi, o Ciro, che ti si appartenga questa tua felicità, perciocchè sendo uomo virtuoso ti godi di così prospera fortuna.