L'Unico e la sua proprietà/Parte prima/II. Uomini del tempo antico e del moderno/2. I moderni/1. Lo spirito

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2. I moderni - 1. Lo spirito

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Max Stirner - L’Unico e la sua proprietà (1844)
Traduzione dal tedesco di Anonimo (1922)
2. I moderni - 1. Lo spirito
II. Uomini del tempo antico e del moderno - 2. I moderni II. Uomini del tempo antico e del moderno - 2. Gli ossessi

Il mondo degli spiriti è immensamente vasto — quello dello spirituale è infinito. Esaminiamo dunque che cosa è questo Spirito che ci hanno legato gli Antichi. Essi lo generarono tra i dolori, ma non poterono riconoscersi in lui; essi seppero metterlo al mondo, ma non gli insegnarono nulla; lui solo doveva parlare. Il «Dio nato», il «Figlio dell'Uomo», proferì, primo, questo pensiero; che lo Spirito, cioè lui, Dio, non ha nulla a che vedere con le cose terrestri ed i loro rapporti, ma si attiene unicamente alle cose spirituali ed ai loro rapporti.

La mia incrollabile fermezza nell'avversità, la mia inflessibilità e la mia audacia, il mio spirito d'indipendenza; tutto ciò è già forse «Spirito» nella vera concezione della parola? Il Mondo, infatti, può forse ancora qualche cosa contro di lui? Se così fosse, lo Spirito sarebbe ancora in opposizione col Mondo, e tutto il suo potere si ridurrebbe a non sottomettersi. No, fin tanto che egli non si occupa che esclusivamente di se stesso, del suo mondo, del mondo spirituale, lo Spirito non è ancora il libero Spirito; egli rimane lo «spirito del mondo», incatenato alle cose di questo mondo. Lo Spirito non è libero Spirito, cioè realmente Spirito, se non nel mondo che gli è proprio; in questa terra, in «questo» mondo, rimane uno straniero. Soltanto in un mondo spirituale lo Spirito si completa, prende possesso di se stesso, perchè «questo basso mondo» non lo comprende e non può custodire presso di sè «il figlio dello straniero».

Ma dove troverà questo regno spirituale? Dove, se non in se stesso? Egli deve rivelarsi; e le parole che pronuncia, le rivelazioni per le quali si scopre, sono il suo mondo. Come il fantastico vive e possiede il suo mondo nelle immagini create dalla sua fantasia; come il pazzo si edifica un suo proprio mondo di sogni, senza il quale non sarebbe pazzo, così lo Spirito deve crearsi il proprio mondo di fantasmi, e fino a tanto che non l'abbia creato egli non è Spirito. Sono le sue creazioni che Io fanno Spiritò, e da esse lo si riconosce; egli vive in esse; esse sono il suo mondo.

Che cosa è adunque lo Spirito? Lo Spirito è il creatore di un mondo spirituale. La sua presenza la si riconosce anche in te e in me appena si constata che ci siamo appropriati di qualche cosa di spirituale, cioè dei pensieri; quand'anche questi pensieri ci siano stati suggeriti, poco importa, purché fossimo stati capaci di dar loro la vita; perchè se anche nella nostra infanzia ci avessero suggerite le massime le più edificanti, non saremmo stati capaci di riprodurle in noi, non avendone avuta la volontà e la facoltà. Perciò lo Spirito non esiste se non quando crea case spirituali, e la sua esistenza risulta dalla sua unione con lo spirituale — la sua creazione.

Siccome è dalle sue opere che noi lo riconosciamo, bisogna chiederci che cosa sono queste opere: le opere, le creature dello Spirito non sono altro che degli Spiriti, dei fantasmi.

Se mi trovassi dinnanzi degli Ebrei — degli Ebrei di vecchia stirpe — potrei fermarmi qui e lasciarli meditare sul mistero della loro incredulità e della loro incomprensione di venti secoli. Ma siccóme tu, mio caro lettore, non puoi essere un Ebreo, almeno un Ebreo puro sangue - che se così fosse non ci avresti seguito fin qui — possiamo ancor fare un buon tratto di cammino insieme, finché tu pure, forse, mi volgerai le spalle, credendo ch'io mi burli di te.

Se qualcuno ti dicesse che sei tutto Spirito, ti tasteresti il corpo e non lo crederesti; ma risponderesti: « In verità io ho uno Spirito; ma non esisto unicamente come Spirito: io sono anche un uomo in carne ed ossa». Tu faresti ancora sempre una distinzione fra te e il «tuo Spirito». «Ma ribatterà il tuo interlocutore — è il tuo destino, benché tu sia ancora al presente il prigioniero di un corpo, di divenire qualche giorno uno Spirito felice; e se tu puoi rappresentarti l'aspetto futuro di questo Spirito, è egualmente certo che morendo tu abbandonerai questo corpo, e conserverai per la eternità quello che sarà di te, cioè il tuo Spirito. Per conseguenza quello che è di vero e di eterno in te è il tuo Spirito: il corpo non è che la tua dimora in questo mondo; dimora che puoi abbandonare e forse scambiare per un'altra».

Eccoti convinto! Per il momento, in verità, tu non sei ancora un puro Spirito; ma allorché tu avrai emigrato da questo corpo mortale, potrai farne a meno del tuo corpo, perciò è necessario prendere le tue precauzioni, è pensare a tempo al tuo «io» -vero, «Che cosa gioverebbe all'uomo se conquistando l'universo dovesse con ciò recar danno all'anima sua?».

Gravi dubbi si sono sollevati lungo il corso dei tempi contro i dogmi cristiani, e ti hanno spogliato della tua fede nell'immortalità dello Spirito... Ma un dogma è rimasto intatto: tu sei sempre fermamente convinto che lo Spirito è la parte migliore di te, e lo spirituale ha su te maggiori diritti di qualunque altra cosa. Benché ateo, tu sei d'accordo con i credenti nella immortalità dello zelo contro 1 *. Egoismo ,

Che cosa intendi dunque per egoista? Colui che, invece di vivere per un'idea, cioè per qualche cosa di spirituale, e di sacrificare a questa idea il proprio interesse personale, al contrario serva a quest'ultimo. Un buon patriota, per esempio, sacrifica tutto sull'altare della patria e che la patria sia una pura idea, non è dubbio; poiché gli animali, i bambini, ancor privi di Spìrito, non conoscono nè patria nè patriottismo. Colui che non si dimostra buon patriota rivela il suo egoismo verso la patria. Così è in una infinità d'altri casi: godere di un privilegio a spese del resto della società, è peccare di egoismo contro l'idea d'eguaglianza; detenere il potere è violare egoisticamente l'idea di libertà, ecc

Tale è appunto la causa della tua avversione per l'egoista: egli subordina lo spirituale al personale, e non pensa che a se stesso allorché tu preferisci vederlo agire per amore di una idea. Ciò che vi distingue, è che centro per te è Io Spirito, mentre per lui è il suo proprio essere: in altri termini, tu scindi il tuo Io, facendo del tuo «Io propriamente detto» lo Spirito, padrone sovrano del rimanente che tu giudichi senza valore; mentre egli non vuol affatto saperne di questa scissione, e cura, come può e meglio gli piace, i suoi interessi tanto spirituali quanto materiali. Tu credi di insorgere solamente contro coloro che non concepiscono alcun interesse spirituale; invece colpisci con le tue imprecazioni tutti coloro i quali non ritengono questi interessi spirituali come «i veri, i supremi interessi». Entusiastico difensore di una tale bellezza, non esiti a proclamarla l'unica bellezza che vi sia al mondo. Tu non vivi per te, ma per il tuo Spirito e per, tutto quello che dallo Spirito deriva — cioè per le Idee.

Poiché lo Spirito non esiste se non in quanto crea, cerchiamo dunque di scoprire la sua prima creazione. Da questa, procede naturalmente una generazione indefinita di creazioni, così come, a credere alla mitologia, bastò che fossero creati i primi uomini, perchè la razza si moltiplicasse Spontaneamente. Ma questa prima creazione dev'essere tratta dal «nulla»; cioè che lo Spirito, per realizzarsi, non dispone che di se stesso; non solo, ma v'ha di più : egli ancora non dispone nemmeno di se stesso, bensì deve crearsi; lo Spirito è per conseguenza lui stesso la sua prima creazione. Quantunque ciò possa sembrare mistico, la sua realtà è attestata dall'esperienza quotidiana. Sei tu un pensatore prima di aver pensato? E' appunto creando il tuo primo pensiero che crei in te il pensatore; perchè tu non pensi prima di aver avuto un pensiero. Non è forse il tuo primo canto che fa di te un cantore; la tua prima parola che fa di te un uomo parlante? Nello stesso modo è la tua prima produzione spirituale che fa di te uno Spirito. Come tu ti distingui dal pensatore, dal cantore, dal parlatore, dovresti pure egualmente distinguerti dallo Spirito e sentire chiaramente che tu sei pure qualche altra cosa oltre che Spirito. Ma come l'«Io» pensante perde facilmente il senso della vista e dell'udito nel suo entusiasmo di parlare; così l'«entusiasmo dello Spirito» ti ha afferrato ed avvinto, ed ora aspiri con tutte le tue forze a divenire tutto Spirito e a fonderti nello Spirito. Lo Spirito è il tuo Ideale, l'inaccessibile, l'infinito: lo Spirito per te si chiama «Dio». «Dio è lo Spirito!».

Tu ti sdegni contro tutto quello che non è Spirito; perciò insorgi anche contro te stesso, perchè non sei immune da un resto di cosa materiale. Invece di dire: «Io sono più che Spirito», tu dici con contrizione: «Io sono meno che Spirito. Lo Spirito, il puro Spirito, io non posso che immaginarlo, ma non lo sono; e poiché non lo sono, deve esserlo un altro, e quest'altro, io lo chiamo Dio».

Lo Spirito, per esistere come puro Spirito, deve necessariamente essere uno al di là; poiché io non lo sono; il puro Spirito non può essere che alt'in fuori di me, e siccome nessun uomo realizza integralmente la nozione di «Spirita», lo Spirito puro, Io Spirito in sè, non può essere che aH'infuori degli uomini, al di là del mondo umano; non terrestre, ma celeste.

Questa discordanza fra lo e lo Spirito, che risulta dal fatto che «Io» e «Spirito» non sono due nomi applicabili a una sola e stessa cosa, ma due nomi differenti per due cose differenti, perchè Io non è lo Spirito e lo Spirito non è Pio, basta per dimostrarci su quale tautologia riposa l'apparente necessità per

10 Spirito di abitare l'al di là, - cioè di essere Dio»

E ciò solo basta per farci apprezzare la base totalmente teologica sulla quale Feuerbach (i, Wesea des Christentums.) edifica la soluzione che si sforza di farci accettare. Egli dice che noi abbiamo cercato e trovammo la nostra essenza nelPal di là; mentre al presente, pur essendo convinti che Dio non è altro che la nostra essenza umana, dobbiamo riconoscerlo come nostro e trasportarlo di nuovo dall'alto in questo mondo. Questo Dio, che è Spirito, Feuerbach lo chiama «la nostra essenza». Possiamo noi accettare questa opposizione tra la «nostra essenza» e noi, e ammettere la nostra divisione in un io essenziale e in un io non essenziale? Non siamo di nuovo così condannati a vederci miserevolmente esiliati fuori di noi stessi?

Che cosa guadagniamo dunque, a trasformare il divino esteriore, che è fuori di noi, in un divino interiore? Siamo noi quello che è in noi? Noi non potremmo dire che siamo ciò che è fuori di noi. Io non sono già il mio cuore, come non sono la mia amante, quest'altro «me stesso». Ed è precisamente perchè noi non siamo lo Spirito che abita in noi, che fummo obbligati a collocare questo. Spirito fuori di noh siccome egli non costituiva tutto il nostro essere, non era il tutto in noi, non potevamo accordargli altra esistenza che all'infuori di noi, nelPal di là,

Feuerbach si aggrappa con l'energia della disperazione a tutto il contenuto del Cristianesimo, non già per abbatterlo, ma per impadronirsene e avvincerlo; per strappare dal cielo, dove si trovava, con un ultimo sforzo, questo ideale lungamente desiderato e mai raggiunto, e conservarlo eternamente. Non è forse questo un supremo sforzo, un tentativo disperato dal quale dipenda la vita o la morte; e non è nello stessa tempo l'ultima convulsione dello Spirito cristiano alterato dell'al di là? L'Eroe non tenta di dare la scalata al cielo, ma vuole attirarlo a sè, e costringerlo a divenire terrestre! E che cosa grida il mando da quel giorno? che cosa reclamano i suoi voti più o meno coscienti? Che venga, questo «al dì là»; che il cielo discenda sulla terra, e che s'apra d'ora innanzi a noi!

Alla dottrina teologica di Feuerbach opponiamo in poche parole le obbiezioni che essa ci suggerisce. «Lessenza dell'uomo è per l'uomo l'ente supremo. Questo essere supremo la religione lo chiama Dio e ne fa un essere oggettivo ; ma in realtà esso non è che l'essenza propria dell'uomo; e così incomincia per la storia dell'umanità una nuova era, perchè d'ora innanzi per l'uomo questo non è più Dio, ma l'Uomo che incarna la divinità».

A ciò noi rispondiamo: «Lessere supremo è l'essere o l'Essenza dell'uomo, — d'accordo; ma è precisamente perchè questa essenza suprema è la «sua essenza» e non «lui», che noi lo consideriamo indifferentemente fuori di sè e ne facciamo «Dio», o in sè e ne facciamo la «Essenza dell'uomo» o l'«Uomo», Io non sono nè Dio, nè l'Uomo; io non sono nè l'essenza suprema, nè la mia essenza; e perciò mi è indifferente concepire l'essenza in me d fuori di me. Ma v'ha di più: l'essenza suprema è sempre stata concepita in questo doppio al di là - al di là interiore e l'al di là esteriore: perchè, secondo la dottrina cristiana, lo «spirito di Dio» è pure il «nostro spirito» e «abita in noi» (t. Romani 8, p; Corinti 3, 16; Giovanni 20, 22, z cc). Egli abita in cielo e in noi: noi non siamo che la sua «dimora». Se Feuerbach distrugge la sua dimora celeste e lo costringe a venire a installarsi in noi, ci troveremmo alquanto imbarazzati per poterlo alloggiare convenientemente!

Ma è meglio tralasciare questa digressione, che avremmo dovuto riservarla a più tardi, per evitare una ripetizione. Ritorniamo alla prima creazione dello Spirito, cioè allo Spirito stesso. Lo Spirito è qualche cosa di diverso dall'Io: questo qualche cosa di diverso, che cosa è?