L'arte dei bambini/XVI

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Se però il sentimento del bello tarda a prender forza in loro, l'amore del bello invece procede rapidissimo sino alla giovinezza per diminuire poi in grazia della riflessione e dell'esperienza.

Per tutti una donna bella può essere cattiva e una donna brutta può essere buona. È retorica di pessimo genere seguire l'antico errore dei poeti che cioè in un bel corpo alberghi sempre un'anima gentile. Eppure, questo è appunto, se non l'aforismo, certo il desiderio del bambino che usa più spesso l'aggettivo brutto nel senso di cattivo, che nel suo proprio.

Si leggano, ad esempio, le novelle popo[p. 64 modifica]lari pei bimbi, raccolte in questi ultimi anni in varie parti d'Italia. Non si troverà in esse una buona che non sia bella, una cattiva che non sia brutta. E l'adiettivo bella ricorre nel titolo di molte fiabe la bella Giovanna, la bella Caterina, la bella Ostessina, la bella Giuditta e la sua figliuola Maria, Fanta Ghirò persona bella, e altre.1 Sempre la più avvenente è la più virtuosa, è la vittima che alla fine trionfa.

I bambini siedono d'intorno al narratore quieti, attenti, con gli occhi spalancati, come se dovessero comprendere per la vista, nè più si curano de' giuochi. Negletti infatti in un angolo della camera i cavallini dalla insensibilità di legno, i soldati dalla tempra metallica e le bambole dalla delicatezza di cera, stanno in una specie di muta contemplazione, quasi aspettando che alcuno sveli la ragione dell'improvviso silenzio!

E il narratore comincia col tradizionale c'era una volta. [p. 65 modifica]

Man mano, mentre procede la fiaba, cresce il fascino del tenero uditorio, il quale vede trasvolare i fantasmi e li segue coi palpiti del giovane cuore.

Dunque la donna campagnuola aveva due figliuole; l'una d'una bellezza e d'una bontà senza pari; l'altra brutta e cattiva quanto si può dire. La madre voleva più bene a questa e l'aiutava nell'astio contro la prima. Tale il principio d'una favola toscana. I bimbi non hanno udite che poche parole, ma già l'interesse è grandissimo. Se c'è la bella e la brutta, il dramma non può mancare.

Infatti la madre, una mattina, d'accordo con la brutta, manda Caterina a pigliare lo staccio dalle fate, perchè le graffino il volto, e imbruttisca per modo che nessuno più la guardi, l'ami e la voglia. Caterina fiduciosa va a malincuore, ma va! [p. 66 modifica]

Guardiamo per un po' i piccoli ascoltatori. Le bambine sospirano e i maschietti le guardano stringendo convulsamente le mani fra le ginocchia. Perchè quella mamma cattiva vuol che la figlia perda la sua bellezza? Perchè non l'uccide più tosto? Tornerà ella, la povera Caterina, col volto rovinato? Avrà ancora i suoi begli occhi?

Queste domande s'affollano nelle loro menti e con cenni repressi e con occhiate, piene di eloquenza, supplicano a proseguire.

Intanto Caterina giunge al bosco. Incontra un vecchio con la barba e i capelli bianchi e diffusi che interrogatela e appresa la storia di lei, soggiunge: «Guardate nel mio capo: ci ho perle e oro. E perle e oro toccheranno a voi se fate ciò che vi dico. Entrate nel palazzo delle fate; vedrete in una sala tanti [p. 67 modifica]gatti; e chi cucirà, chi filerà, chi farà la calza; insomma, ognuno farà il suo lavoro. Profferitevi di alutarli e aiutateli: e se allora il gatto vecchio vi chiederà se volete pan nero e cipolle o pan bianco e formaggio, risponderete pan nero e cipolle. Poi vi farà salire una scala tutta di bel cristallo. Guardate di non lasciarvi la più piccola traccia.» Ciò detto il vecchio scompare.

A questo punto il narratore non s'arresti. Il pubblico protesterebbe e il pubblico fa sempre paura! Egli ha compreso che Caterina andrà e farà a puntino quanto apprese dal vecchio; che sarà bene accolta e avrà lo staccio. Ma di ciò vuol esser accertato dal narratore. I casi possono esser tanti!

Infatti, oltre al prestito dello staccio, le fate, sorprese della bellezza e della bontà di [p. 68 modifica]Caterina, le pongono in fronte una stella che brilla come quelle del cielo.

Questo trionfo solleva l'animo degli ascoltatori. Chi esclama parole rotte, chi sorride, chi dichiara d'averlo imaginato. La bella non doveva e non poteva soffrire; perciò la consolazione d'un successo così compiuto si specchia nei volti sereni di tutti i bambini. Ma... c'è un ma. Caterina deve tornare a casa, e il piccolo pubblico intelligente s'accorge a un tratto che tutto non è ancora finito. Torna il silenzio e la tensione. Il dramma accenna a risorgere!

Infatti la madre e la brutta accolgono Ca[p. 69 modifica]terina a percosse e cercano di strapparle di fronte la stella fulgida, ma questa si fa sempre maggiore e sempre più bella; cosicchè la brutta pensa d'andare anch'essa dalle fate per riportare Io staccio e tornare splendida d'un simile ornamento. E va.

Incontra il vecchio e gli dà del villano; entra nella sala dei gatti e li chiama ridicoli e li bastona; chiede pan bianco e formaggio; lascia solchi profondi sul bel cristallo della scala... insomma commette d'ogni sorta scortesie e danni.

Ma che le viene sulla fronte? Una coda d'asino!

E chi descrive a questo punto la gioia dei bambini? Gesti convulsi, risatine, battute di mani, commenti ingenui... che si trasfor[p. 70 modifica]mano in una ilarità clamorosa quando alla fine sentono che la brutta correndo canta:

«Mamma dondò, mamma dondò,
la coda dell’asino mi s’attaccò!

Così cade vilipesa la bruttezza con la cattiveria; così trionfa la bellezza con la bontà! Eterna tesi della leggenda infantile! Eterna speranza di chi non conosce la vita!

  1. [p. 94 modifica]«Sessanta Novelle Popolari Montalesi (circondario di Pistoia) raccolte da Gerardo Nerucci. Firenze, Le Monnier 1880.

    Le incisioni di questo opuscolo furono dall’egregio giovine Giulio Garagnani eseguite scrupolosamente sugli autografi dei bambini da me posseduti.