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L'avvenire!?/Capitolo ventitreesimo

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Capitolo ventitreesimo

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Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo ventitreesimo
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CAPITOLO VENTITREESIMO




Quando in quella sera, sedetti con Editta nella sala di musica, ascoltando alcuni pezzi che eccitavano la mia attenzione, approfittai d’una pausa per dirle: «Devo farle una domanda, che, temo, sia un poco indiscreta».

«Non lo sarà certamente,» fu l’incoraggiante risposta.

«Mi figuro d’essere un curioso,» continuai, «il quale avendo udito qualche cosa che non si riferiva a lui, ma che pur gli sembrava che lo fosse, è abbastanza incivile per andare da chi parlava e domandargli il rimanente».

«Un curioso?» chiese essa impacciata.

«Sì,» dissi, «ma spero che converrete meco ch’io sono innocente».

«Ciò mi sembra misterioso,» soggiunse essa.

«Sì,» dissi «tanto misterioso, che io dubitai sovente se, ciò che le voglio chiedere, l’ho veramente udito o soltanto sognato. Vorrei che me lo diceste. La cosa è così: quando mi svegliai dal mio sonno secolare, la prima impressione che ricevetti, fu di sentire delle voci intorno a me, che riconobbi in seguito per quella di vostro padre, di vostra madre e la vostra; prima mi ricordo che vostro padre disse: egli aprirà gli occhi fra poco, sarebbe meglio che non vedesse che una persona sola; allora voi diceste, se non è tutto sogno il mio, «promettimi che tu non glie lo dirai». Vostro padre credo riflettesse, prima di farvi la promessa, voi insisteste, e quando s’intromise vostra madre, egli acconsentì; finalmente apersi gli occhi e non vidi che lui.»

Io diceva seriamente che non ero certo se avessi o no sognato questa conversazione, poichè mi sembrava incomprensibile come questa gente potesse sapere di me, ch’ero un contemporaneo dei loro arcavoli, cosa a me non nota; ma osservando l’impressione fatta dalle mie parole sopra Editta, mi persuasi che non era un sogno, bensì un segreto che mi tormentava, come di cosa che [p. 137 modifica]mi era successa; ed appena essa comprese a che cosa si riferiva la mia domanda, si trovò imbrogliata; i suoi occhi che avevano sempre un’espressione onesta e sincera, s’erano abbassati schivando il mio sguardo, e la vidi arrossire dal collo alla fronte.

«Vi domando perdono,» dissi, riavuto dalla confusione per averla impressionata con le mie parole. «Pare dunque ch’io non abbia sognato, c’è un segreto, qualche cosa di me che mi celate. Infatti, non pare un poco ingiusto che ad uno che si trovi nella mia posizione, non si debba dare ogni possibile schiarimento sopra sè stesso?»

«Non è cosa che riguarda voi, cioè, non direttamente; non è veramente di voi...» aggiunse quasi sottovoce.

«Però mi riguarda in parte,» dissi con persistenza. «Dev’essere qualche cosa che m’interesserebbe.»

«È appunto ciò che ignoro,» soggiunse essa, e volse uno sguardo rapido su di me; si fece assai rossa e con un fine sorriso sulle labbra, il quale, malgrado l’imbarazzo della situazione, tradiva un’inclinazione all’ilarità, disse «Io non sono ben sicura se questo potrebbe interessarvi.»

«Vostro padre me lo avrebbe detto,» insistetti con un tono di rimprovero, «voi glie lo avete proibito, quando egli credeva che io dovessi saperlo».

Essa non rispose, ma era così attraente nella sua confusione, che mi sentivo tentato di tormentarla maggiormente, tanto per curiosità, quanto pel desiderio di prolungare quella scena.

«Non lo saprò dunque mai? Non volete dirmelo?» dissi.

«Dipende» rispose dopo un istante.

«Da che?» domandai con insistenza.

«Ah! voi domandate troppo;» poi rialzò la fronte; i suoi occhi profondi, le guancie tinte dal rossore e le labbra sorridenti la rendevano affascinante; mi guardò e aggiunse: «Che cosa pensereste, se dicessi che dipende da voi?»

«Da me?» ripetei «come è possibile?»

«Signor West, noi perdiamo la magnifica musica,» fu la sua unica risposta; poi si voltò verso il telefono, e al tocco del suo dito risonò un «adagio». Essa procurava che la musica c’impedisse [p. 138 modifica]la conversazione; e volse la testa fingendo di essere assorbita dalla musica; ma che questo non era che un pretesto, lo provava il rossore delle sue guancie. Finalmente trovò che per questa volta ne avevamo sentito abbastanza di musica; allora ci alzammo per uscire, ed essa mi venne vicino dicendomi senza alzare gli occhi; «signor West, voi dite, che sono stata buona verso di voi; non lo fui tanto, ma se così pensate, vorrei che mi prometteste di non più costringermi a dirvi ciò che non cercherete di saperlo da nessuno, nè da mio padre, nè da mia madre». A tale preghiera non c’era che una risposta.

«Perdonatemi d’avervi rattristata, naturalmente lo prometto,» dissi «non vi avrei mai interrogata, se avessi saputo di farvi dispiacere. Mi biasimate perchè sono curioso?»

«Nemmeno per sogno».

«E se non vi tormento,» aggiunsi, «me lo direte forse una volta di moto proprio?»

«Forse,» susurrò.

«Soltanto forse?»

Essa mi esaminò con uno sguardo vivo e profondo e «sì,» disse, «credo che lo dirò un giorno,» e qui ebbe fine il nostro discorso, perchè essa non mi lasciò più occasione di parlare.

In quella notte, nemmeno il dottor Pillsbury sarebbe riuscito ad addormentarmi; da vari giorni i segreti erano il mio pane quotidiano; ma nessuno era tanto oscuro come quello il cui scioglimento Editta Leete mi aveva proibito di cercare: prima, come poteva essere che di me ch’era un estraneo di un secolo lontano, si dovesse conoscere un segreto? In secondo luogo se anche conosceva un segreto, che cosa poteva giustificare l’inquietudine che sembrava cagionarle? Vi sono degli enigma difficili, di cui non è possibile supporre la soluzione, e quello ne era uno; sono solitamente troppo positivo per sciupare molto tempo in queste inezie; ma la difficoltà di un enigma, personificabile in una bella fanciulla, non ne menoma il fascino. In generale si può supporre che il rossore d’una fanciulla in tutti i tempi racconti agli uomini la stessa istoria; ma il dare simile interpretazione alle guancie imporporate di Editta sarebbe stata un’assurdità al posto mio e dopo [p. 139 modifica]sì breve conoscenza, tanto più che il segreto esisteva prima ch’io la conoscessi; eppure essa era un angelo ed io non avrei dovuto essere un giovane, per essere in grado di tener lontano colla ragione e il buon senso i rosei sogni di quella notte.