L'istinto nel regno animale/I

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I. Istinto provveditore

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Premessa II


Esso varia nei diversi animali in modo straordinario e si manifesta affatto semplice, direi quasi rudimentale, in alcuni uccelli e principalmente nella piccola averla (Lanius collurio), animale debole di corpo, ma coraggioso e d’animo risoluto. Essa assalisce ed uccide non solo scarafaggi ed altri insetti, ma anche uccelli piccoli e deboli anfibi. Ha poi l’istinto singolare di infilzare gli avanzi del suo pasto nelle spine dei boschi, per divorarli più tardi, appena la fame la stimoli di nuovo. È ghiotta, anzichenò, e quando la stagione le offre ricco nutrimento, vive in gran parte di cervelli, risparmiando il resto degli animali pei tempi meno favorevoli.

Meglio sviluppato è l’istinto provveditore nello scoiattolo, in questo vispo rampicante, che potrebbe dirsi la scimmia dei nostri boschi. Durante le buone stagioni dell’anno esso gira agile ed allegro nelle foreste in traccia di nocciuole e di altri frutti, sprezzando tutti i suoi nemici, cui facilmente sfugge colla velocità e cogli arditi salti da un albero all’altro. La fame è il suo nemico più micidiale, e lo sarebbe maggiormente, se l’animale non fosse dotato dell’istinto di raccogliere i semi in abbondanza e di ammassarli in parecchie cavità intorno al suo nido invernale. Senonchè spesso avviene che qualche magazzeno è dimenticato, qualche altro sepolto sotto la neve, per cui lo scoiattolo, dopo aver consumato quanto gli è accessibile, perisce di fame. Evidentemente quest’istinto non è il più perfetto; la buona natura s’è forse dimenticata di fornire all’animale una memoria più felice.

Alquanto diversamente si conducono le arvicole o topi campagnuoli, i quali portano colla loro bocca il grano entro la tana in cui passano l’inverno. Ogni animale si forma un deposito entro la propria abitazione ed in tal guisa si assicura la vita nell’epoca della penuria. Una specie dell’Asia settentrionale presenta questo istinto in grado più elevato che i nostri topi; essa spoglia le campagne, ammucchia nella sua tana ragguardevole quantità di grano e fu perciò chiamata l’economo (Arvicola Æconomus).

Un istinto provveditore ancor più avanzato troviamo nel Criceto, in questo rosicante dell’Europa centrale e settentrionale, che potrebbe passare pel simbolo dell’egoismo. Esso non vive in pace con nessun animale, nemmeno con quelli della propria specie. Se due individui si trovano insieme, nasce un combattimento che finisce colla morte di uno tra essi; nemmeno maschio e femmina ponno stare insieme un attimo senza venire a contesa, eccettuata l’epoca in cui l’amore addolcisce quelli animi feroci. Il criceto vive da solo e sotto terra, dove ha la sua abitazione, composta di parecchi ambienti. Ordinariamente osservansi la tana internamente rivestita di paglia che serve di covile, ed il magazzino in cui trovasi ammucchiato il grano; ma talora si contano due o più granai. Nell’interno della bocca l’animale possiede delle saccoccie che ponno esser riempite di grano e che rendono possibile il portare in breve tempo grande quantità di commestibili. Si è calcolato che un unico criceto possa accumulare nei suoi granai oltre 150 libbre di grano, dalla qual cosa potrà rilevarsi il danno recato da migliaia di individui in una data località.

Un analogo istinto offre il castoro, il gigante tra i nostri roscicanti1, che vive lungo alcuni fiumi dell’Europa, dell’Asia e dell’America. La sua abitazione è composta di due piani, l’uno inferiore collocato sott’acqua, e l’altro superiore posto sopra il livello dell’acqua. Per mantener le acque sempre ad una medesima altezza, questi intelligenti animali innalzano una forte diga fabbricata con rami d’alberi, con pietre e colla melma. Il piano inferiore della loro costruzione serve unicamente di magazzeno, in cui trovansi raccolte notevoli quantità di radici e scorze d’alberi, che gli animali staccano coi loro robusti ed acuti incisivi. Il solo piano superiore è abitato ed all’uopo rivestito e coperto di segatura ed altre sostanze molli.

L’istinto di questo genere più perfetto noi lo troviamo tra gli insetti. Non già nelle formiche, come taluno potrebbe credere, le quali non fanno provvigioni per l’inverno, che passano in una specie di torpore; sibbene nelle api, in questi insetti tanto decantati per la loro attività, ne’ quali la bocca e gli arti sono mirabilmente atti alla raccolta di quelle sostanze che l’insetto accumula. Il labbro superiore e le mandibole costituiscono un organo mordente, mentre le mascelle ed il labbro inferiore si allungano e formando una specie di guaina racchiudente la lingua protrattile, danno origine ad un apparato con cui l’animale può agevolmente assorbire le sostanze liquide. Alla raccolta de’ prodotti solidi servono gli arti posteriori per la loro speciale conformazione. La tibia cioè ha la faccia esterna incavata e munita di peli lunghi al margine, per cui si forma una cavità a guisa di cucchiaio, una specie di canestro, nel quale l’animale depone la raccolta di ciascuna escursione. Inoltre il primo articolo del tarso è grande, molto compresso e munito di una specie di spazzola, formata da numerosi peli corti e rigidi che sono inserti sulla faccia interna, coi quali l’ape raduna nel canestro tutto il materiale che resta appeso al suo corpo. Così forniti, questi animali volano di fiore in fiore, assorbono gli umori zuccherini dei vegetali e li trasformano entro il loro organismo in miele; raccolgono coi peli del loro corpo il polline dalle piante che radunano colle spazzole entro i canestri, e caricansi inoltre di sostanze resinose che insieme col polline portano nel loro abitato. La sostanza che le api accumulano con indicibile cura e diligenza si è il miele. Questo è raccolto nella maggior copia possibile e viene conservato entro apposite cellule; man mano che queste si riempiono, sono munite di un coperchio destinato ad esser levato solo nell’inverno, quando occorre giovarsi delle provvigioni.

Da questi esempi si rileva, io credo, con una certa evidenza, che molti animali si preparano delle provvigioni, destinate al consumo invernale. Tale istinto vediamo sviluppato in quelli animali che passano l’inverno in luoghi freddi e spesso visitati dalla neve; esso varia di perfezione, giacchè corre gran divario fra quello rudimentale dell’averla ed il perfetto dell’ape; inoltre è necessario per l’esistenza degli organismi, cui procura quanto sarebbe impossibile provvedersi durante i rigori dell’inverno.


Note

  1. Così nell’originale, ma "rosicanti" come anche altrove nel testo.