La Canzone del Paradiso/X. La notte
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X.
LA NOTTE
E dalla torre suona la campana.
Il Podestà comanda di serrare.
Rimbomba ogni uscio del Palagio nuovo:
sull’imbrunire chiavi e chiavistelli
5vanno con agro cigolìo di ferro.
Sèrrisi bene il falco randïone,
il pro’ bastardo della grande aguglia.
Fece il Comune sacramento e legge
ch’egli non esca quinci mai, che morto.
10Oh! non vedrà nè Puglia nè Toscana!1
Addio Lamagna e Capitana!
Ogni uscio è chiuso del Palagio nuovo;
chiusa è la porta ed è levato il ponte.
Vegliano ad occhi aperti nella notte,
15come civette, guaite per le scale.
Vegliate, o guaite, intorno al re prigione.
Egli era al lato dell’Imperadore,
era lo specchio della sua persona.
Egli correva mare e terra in armi.
20Del sacro impero era la fiamma al vento.
Ora è prigione, e non farà più stuolo
e non menerà più gualdana!
Dorme il Palagio tutto chiuso e muto.
Soltanto, sparse qua e là, le guaite
25anche la bocca aprono d’ora in ora,
d’alto e di basso, e gridano: Eya! Eya!2
Disse il Comune: «Lo tenemo, come
da piccol can spesso si ten zinglare,3
e lo terremo, poi ch’è dritto nostro».
30E non lo rese a padre od a fratelli,
per preghi e gabbi, nè per oro od armi.
Vegliate, o guaite, Eya gridate in fino
che in cielo sia la stella diana.
Eya! c’è tempo a che ci sia la stella
35che sveglia i cuori. Ora si spegne il foco
e la lucerna; ora si dorme il sonno
primo, più forte, il sonno senza sogno.
Eya! c’è tempo a starnazzare i galli,
a cantar chiusi ed a chiamare i sogni:
40chè dopo i galli è gran silenzio: ogni uomo
parla sommesso ad un suo morto caro.
Eya! c’è tempo allo schiarir dell’alba...
Ma voi gridate, o guaite, a vuoto! O guaite,
codesta vostra veglia è vana!
45E’ non v’è più! Fuggito è il re! Si trova
oltre le mura, oltre i serragli e il Reno.
È già più lungi anche del suo reame,
è già più lungi anche del sacro impero.
Non più prigione e non più re, si trova
50nel luogo all’orïente della terra,
dove uscì prima l’erba che fa il seme,
dove uscì prima l’arbore ch’ha il frutto.
Non è più re, nè manto egli ha, che falbo;
non ha che il musco d’oro, onde si veste
55da sè la calda creta umana.
Non è più re, ma d’una schiava, in dono,
la libertà che a lei fu resa, egli ebbe.
La dolce schiava gli ha portato il sole
di ch’ella è piena, che ne’ campi imbevve.
60Egli alla nuda libertà s’è stretto,
bee l’aria pura di tra le sue labbra,
tra le sue braccia prieme l’erba folta,
da tutta aspira il grande odor del sole.
All’ombra egli è del legno della vita,
65e presso il cuore sente mormorare
l’inestinguibile fontana.
E dorme alfine, dorme l’Uomo avvinto
alla dolce Eva. Quella che fu schiava,
quei che fu re tengono il capo accanto,
70e l’onde brune solcano le bionde.
No, non e’ dorme: s’è addormito il mondo
intorno a loro. Ei solo è desto, e vede
l’acque dormire, lieve ansare i venti,
chiudere il cielo gravi le sue stelle,
75sparir la terra. Liberi e sereni
sentono il tutto che s’annulla preso
dalla dolcezza antelucana.
Eya! gridate, Eya! gridate a vuoto
l’ultima volta, o guaite del palagio!
80Ed ecco suona la campana.
Note
- ↑ [p. 86 modifica]Vedi le rime di Enzio; e altrove e nel libro così spesso citato del Frati.
- ↑ [p. 87 modifica]Eya! grido di sentinelle è nel canto dei soldati di Modena:
Resultet echo, comes: eja vigila!
Per muros, eja, dicat echo, vigila!Ed è in una ballata provenzale (Bartsch Chest. Prov., 111):
A l’entrada del tems clar, eya,
per joja recomençar, eya,
e per jelos irritar, eya,e va dicendo; ed è esclamazione di gioia e risveglio.
- ↑ [p. 87 modifica]È un verso tradotto da quello che Rolandino citò nella risposta a Federigo:
a cane non magno saepe tenetur aper;
e lo tradusse appunto (vedi Cantilene del Card., pag. 328) il bolognese cronista Matteo de’ Griffoni, che fu anche a suo modo poeta: a un cotal modo gnomico.