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La Canzone del Paradiso/IX. Lusignuolo e Falconello

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VIII. La buona novella X. La notte
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IX.
LUSIGNUOLO E FALCONELLO

[p. 53 modifica]Immagine dal testo cartaceo


Or ella va con la canestra in capo,
lungo la verde Savena, ai serragli,
alle aspre porte, alla città turrita,
recando l’uva paradisa, d’oro.
5Ora non canta: canta sì la verla;
fischiano sì le pispole di passo;
anco le rondini: elle vanno in branco
dolce garrendo a ripulirsi al fiume.
Vede ella i meli rosseggiar di pomi,
10vede curvare i peri a terra i rami;
l’api bombire, ode ronzar le vespe
e i calabroni in mezzo al dolce fico.
Ella non canta, ma le canta il cuore,
che c’era un re ch’era di giorno un uomo,[1]
15ma diventava capougello a sera;
volava allora ai boschi ai campi ai fiumi.

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E Flor d’uliva lo sapea, chè sempre,
sull’imbrunire, qua e là, sentiva
parlar più forte, tutti insieme, a gara,
20perchè piatìano innanzi al re, gli uccelli.
In cuore ha il re, ch’ora ha rimesso l’alie,
per certo, e vola al regno suo lontano,
al suo castello in mezzo al mare azzurro,
il falconello, e il cielo empie di gioia.[2]
25O forse è là, tra i suoi cavelli d’oro,
in mezzo ai conti, ch’hanno il pugno al mento,
     che dorme per incantamento...

E Flor d’uliva giunge al limitare,
all’alte scale del Palagio nuovo;
30e qui Zuam Toso la sogguarda e dice:
«Già t’ho, ricordo, a Santo Zuam, veduta».
«Eo son Lucia, ma detta Flor d’uliva,[3]
da Vidaliagla» ella risponde: «sclava
non più, misèr, sì libera...» «Va, dunque.
35Scritto è ’l to nome già nel Paradiso».[4]
Ella non sa: monta le scale, ed entra,
da niuno vista, dove alle pareti
stanno addossati i muti cavalieri.
Stante, in un raggio è fiso il Re, di sole.
40E Flor d’uliva presso a lui depone

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la sua canestra, e scopre dalle arsite
pampane i cerei grappoli dell’uva,
tacitamente. Ed ha il corollo in capo.
Il Re si volge a lei che aspetta e tace,
45con sui morati riccioli le rosse
pampane; l’uva al piè si vede; e guarda
lei. Gli occhi neri scontrano gli azzurri.
«Deh! forosella, eo già te vidi ’n sogno,
ch’ero addormito, e tu portasti fiori
50et erbe e frutta. Et eo sognavo un campo
grande, di grano. E da le folte spighe
spuntavi, come un flore, tu; vestita
non più che un fiore. E c’era il sole e il vento,
     e l’ire o stare a suo talento».

55Re Enzio prende un grappolo dorato,
e dolcemente gli acini ne spicca,
zuppi di sole. E poi riguarda e dice:
«Apersi gli ocli ma tu plu non c’eri.
Seppi, qual eri. Io prigionier, tu sclava».
60E Flor d’uliva: «Ora non plu! Riebbi
la libertà... Non anco vui, meo Sire?»
Ed Enzio dice: «Eo m’era il Falconello
d’un tempo: aveva il vento tra i cavelli
e il sole entorno. Apersi li ocli un tratto:

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65non c’eri plu...» «Ma sono a vui tornata».
Ed Enzio dice: «Or viemmi dietro e taci».
E s’incammina ver’ la sua cellata:
dietro ai suoi passi muove Flor d’uliva:
segue il Re morto, uscito dal lavello,
70pallido, sì, chè v’era da sette anni,
et or la schiava va con lui che l’ama.
L’ha tanto amato, e notte e giorno ha pianto;
tre notti e giorni sotto l’arcipresso,
mescendo a gara, più della fontana.
75Or è con lui nel grande suo palagio.
Nullo divieto i giovani custodi
fanno, per la dolcezza del lor sangue.
Dicono: «E noi sediamo a tavoliere».
«Ben ha ghermito» dice Bonfiliolo
     80«il falconello il lusignolo».

Note

  1. [p. 85 modifica]Trasformazione solita nelle novelline e fiabe. Vedi, per es., Novelle Pop. Tosc. del Pitrè (Firenze, 1885, pag. 27, e al.).
  2. [p. 86 modifica]È ora di chiarite questo “falconello„. — Questo Henzio era somigliantissimo al padre, prode sin troppo, largo, attivo, cortese... Falconello fu detto Henzio, perchè era pronto a tutto, agile di sua persona. — Thom. Tusc., 515, citato nel Koenig Enzio di H. Blasius (Breslau, 1884).
  3. [p. 86 modifica]Lucia da Viadàgola (nelle antiche carte Vidaliagla da Vitaliacula). Ricorro al solito libro del Frati (La prig. del r. E., pag. 12 e segg.): — Leggesi in una cronaca bolognese del secolo XV quest’aneddoto come segue: “Nota che il ditto Re se inamorò di una contadina da Viadagola che havea nome Lucia; la qual era la più bella giovine che si potesse vedere, e quando la ditta Lucia veniva in piazza il Re diceva: anima mia, ben ti voglio. Pietro Asinelli, che ogni giorno stava con lui, si adoperò e la fe’ venire dal Re, et in somma se ingravidò e partorì un putto maschio et posele nome Bentivoglio. Del quale ne discese la nobil casa di Bentivoglio„. Già fu osservato dal Sansovino e confermato dal Litta, dal Blasius e da altri, che questa leggenda non ha alcun fondamento di verità. Troviamo infatti che la famiglia Bentivoglio ha un’origine assai più antica... — Sta bene, ma inventata di sana pianta la storiella non pare. Per compiacere ai Bentivoglio l’inventore avrebbe cercato e facilmente trovato qualcosa, a suo parere, di meglio che una bella contadina. E in fine Enzio ebbe pure in sua prigionia due figlie! Su che vedi il medesimo Frati, a pag. 36.
  4. [p. 86 modifica]Nel libro, voleva dire Zuam, intitolato Paradisus voluptatis, Vedi nota a pag. 35 e segg.