La Giuditta I

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Gabriello Chiabrera

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Per S. Agnese La Giuditta II
Questo testo fa parte della raccolta Poemetti di Gabriello Chiabrera
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XI

LA GIUDITTA

AL SERENISSIMO GRAN DUCA DI TOSCANA

COSIMO II.

     Mentre, intento a calcar l’orme paterne,
Di glorïosi esempi a te fai sproni
Per altissimo calle, e non mai stanco,
Di mille chiari raggi il crin coroni,
5Cosmo, dell’alme Muse attendi al canto.
Elle non di vil riso, o di vil gioco
Bugiarda istoria recheranti a mente,
Ma di Giuditta il memorabil vanto:
Udrai nomar Gerusalem sovente,
10Per cui salute i tuoi Loreni altieri
In su dorato arcion lungo il Giordano
Guerreggiando vibraro asta possente;
Or fatta è preda di rei mostri e fieri,
Sommo scorno e dolor di nostra etate:
15Ma dal profondo uscir di tanti affanni
Per la tua destra è gran ragion che speri;
Che come di quegli empj in guerra avvenne,
Così verrà degli Ottoman Tiranni:
Già fiero in mezzo lor batte le penne
20Il vostro nome, e per l’Egizie rive,
E per lo sen dell’Anfitrite Egea
È noto il volo delle vostre antenne:
Nè vaglia dir, ch’han sì possente il Regno
Fu sì fatto il valor d’una Giuditta,
25Che degli Assirj il Re poco il sostenne.
Or vieni, Euterpe, con eterea lira,
E dimmi l’opra che nel cielo è scritta.
Poichè allo scampo delle patrie mura
Giuditta volse il cor, se n’usci fuora
30Con un’ancella per la notte ombrosa:
E già con aurea man la bianca Aurora
Spargea nembi di rose in Orïente,
Quando desto drappel d’Assiria turba,
Che a ben spiar l’ampia campagna attende,
35Lunge dall’alta Donna il cammin sente;
Fisa lo sguardo Agitercano, e dice:
Cosa muove colà, che si risplende?
Mira Arfasatto, e l’alta Donna ei scerne,
Scernela, e pienamente egli nol crede:
40Di nuovo aguzza il guardo, e in dubbio stassi;
Parla alfin: Donna è, che colà si vede
Indi co’ suoi l’appressa, e le dicea:
Peregrina, onde viensi? ed ove vassi?
Ella posatamente: Io sono Ebrea,
45Per mia salute di Betulia fuggo;
Quinci devota ad Oloferne io vegno,
Ed appianando il varco a’ suoi desiri
Darògli in forza d’Israelle il regno.
A queste voci quel ministro: Avviso
50Ben consigliata al mio Signor venirne,
Tanto d’amarsi, e di servirsi è degno.
Poi con quel vivo Sol di leggiadría
Verso il reale padiglion trapassa:
Cede la guardia, ch’ha di lui contezza,
55Ed egli entrato umile il capo abbassa,
E tutto riverente indi favella:
Donna fuor di Betulia uscío soletta,
E sopra il campo Ebreo t’offre vittoria,
Se tua grandezza udir non si disdegna,
60Ella piano farà, come il prometta.
Piega Oloferne, e con la fronte accenna,
Ch’ella s’adduca: Agitercan la chiama,
Ed ella move. A quella luce viva,
A quel fulgor delle serene ciglia,
65A quelle chiome, a quelle labbra ardenti,
A quella con albor guancia rosata
Ingombrossi ogni cor di meraviglia.
Come se cinta d’arco i crin lucenti
Move l’Ancella di Giunon, vêr lei
70Rozzo contadinello i guardi gira,
Cotale di stupor s’empie Oloferne
Per l’altiera bellezza peregrina,
Tosto, che a se dinanzi ei la rimira.
Ma Giuditta ove andando ebbe da presso
75L’alta sede, ove il barbaro dimora,
Pon le ginocchia in sulla terra, e piega
La testa, e scaltra il gran nemico adora;
Ed egli impon, ch’ella s’innalzi, e dice:
Sgombra ogni rio pensiero; archi, quadrella
80A te di paventar non dian cagione,
O saggia, e leggiadrissima donzella:
Ma dimmi, qual vaghezza il cor ti prese,
Che a’ nostri campi volontaria vieni?
Tacquesi a tanto; e con lo sguardo ingordo

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85Mandava giù nel cor fiamme amorose
Fissamente mirando: ella i rubini,
Che le ridono in bocca alquanto aperse,
E con ciglia dimesse a lui rispose:
Viva il gran re delle provincie Perse,
90E tu, cui saggio il gran Signor commette
Ognor dell’armi sue l’alta possanza;
Ma contra il Re della celeste Corte
È del popolo mio sì duro il core,
Che Dio per ira l’abbandona a morte:
95Quinci sconfitti in vostra man fian dati,
E nell’alto si vuol, che al tuo sapere
I decreti di Dio sian manifesti.
Io verso sua bontà farò preghiere,
Ch’ei mi riveli il dì de’ tuoi trofei,
100Ed ei, che irato ama punir quegli empi,
Il mi dirà: per modo tal ragiona,
Ed ogni ciglio era rivolto in lei.
Chi la sublima per gentil beltate,
Chi di senno sovran le dà corona:
105Come sen van per la primiera estate
Su gioconda foresta a par col giorno
Nobili damigelle; una dall’aura,
Ch’Euro sospira è lusingata, ed altra
Gioisce in vagheggiar l’erba novella,
110Ed altra all’onda, onde la piaggia è vaga,
Dà vanto; e pur ciascuna in quei sentieri
Diversamente in suo lodar favella;
Tal con Giuditta fean quei Cavalieri.
Ma la lingua Oloferne a dir disciolse:
115Fu consiglio di Dio, che ti sottrasse,
Siccome affermi, di Betulia a’ guai,
E che le tue vestigia a noi rivolse;
Ove non solo alta mercede avrai
Dal mio Signor, ma per li regni Eoi
120Con grido eterno glorïosa andrai,
E dal suo scettro ogni sublime altezza
Si farà riverente a’ pregi tuoi,
Che son sommo valor, somma bellezza.
Qui tacque, e dice al suo fedel Bagoa:
125Sotto pena di morte a te sia chiaro,
Che ogni sua contentezza è mio volere.
Ella inchina risponde: I tuoi favori
Son per sì vile ancella oltre misura:
Solo chieggo io, che tra’ notturni orrori
130Mi si conceda uscir per la foresta
Senza divieto, e che all’usanza Ebrea
Il sommo Dio liberamente adori.
Piega Oloferne a quel suo dir la testa,
E con l’occhio infocato, e col sembiante
135Mostra l’animo pronto a farla lieta,
E fa veder ch’ei si rimane amante.
Giuditta udendo muove fuori i passi,
Ed è scorta colà, dove risplende
Tenda di seta, e di lavori altieri;
140Quivi riposa il piè, quivi soggiorna,
Tempo attendendo agli alti suoi pensieri.
Ma d’ogni altro pensier sgombrando il petto
Langue Oloferne tra novello ardore;
Ora speme il solleva, ora temenza
145L’abbatte sì, che in varie guise oppresso
Di dolcissimo fiel nudrisce il core,
E quando afflitto di desir vien meno,
Chiama Bagoa, e così fa sentirsi:
Bene apre il varco alle guerriere imprese
150Questa gentil, che di Betulia viene,
Ma col soave ardor degli occhi suoi
L’alta beltate ha le mie voglie accese:
Dunque real convito oggi s’appresti,
E che non sdegni del venir l’invito,
155Tu pur con esso lei forte procura;
Forma per ogni via prieghi soavi,
E che della mia fè nulla paventi,
Ma d’ogni suo desir falla sicura.
Si dice il Perso, e quel fedele inchina
160Il tergo, e forma così fatti accenti:
Viene soletta, e vagamente ornata,
E promette aitar gente nemica,
E casta durerà? perchè io lo creda
Non sia lingua mortal, che oggi mel dica.
165Ah che chiuso desir qui la sospinge;
Arde, Signor, di ti si dare in preda.
Sì dicendo s’atterra, indi diparte,
E va là dove è di Betulia il Sole,
E con le mani al petto ivi l’adora,
170E dice: Donna, a cui simil non vide
L’occhio non pur, ma nè l’uman pensiero,
Qual sarà prova ad onorar tuo merto,
Che oggi per te fuor di ragion si aspetti?
Il Signor, che obbligasti è si cortese,
175Che a gran valor gran guiderdon fian certi.
Intanto egli festeggia, e manda e prega
Per me suo servo, acciò con tua presenza
Al convito real tu cresca onore;
Se il gran lume del cielo unqua non niega
180Suoi raggi al mondo, e dall’Occaso all’Orto
Ricreando i mortali, ei gli dispiega,
E tu degli occhi tuoi danne conforto.
Sì parla, e trarla tenta al suo volere.
Giuditta il guardo onestamente abbassa,
185E con voce soave indi favella:
Soverchi, amico, se ne van tuoi detti,
Che del grande Oloferne io sono ancella.
Allora il servo move lieto intorno,
Chiamando i Duci alla gran festa eletti:
190Ma l’alta Donna ogni sapere adopra,
Perchè via più la sua bellezza splenda,
E di bei raggi più sfavilli il viso:
Il biondo crine ella innanella, e sopra
Vi stende velo, acciocchè scherzi all’aura,
195E sul collo alternò perle e zaffiri,
Con verace splendor d’Indiche gemme
Ornò l’orecchie, e delle belle braccia
La neve, ad infiammar gli altrui desiri;
Indi sovra aurea gonna un manto allaccia;
200E qual de’ gigli infra il candor l’Aurora,
E con bel crine in Orïente ascende,
Così fatta Giuditta entra là, dove
Cinto di cavalier l’arso Oloferne
Con lunga brama il suo venire attende.
205Ei vien tutto pallor, tutto rossore;
Poi fa seco sederla, e mille cetre
Odonsi allora unitamente; e quale
Velloso armento in rugiadose piaggie
Al dolce mormorar di rivi amati
210Divora per April paschi fioriti,
Cotale in vasi d’ôr quei sommi Duci
Con lieti sguardi, e con gioconde fronti
Faceansi a bere graziosi inviti.
Bacco cresciuto, al Sol, nato nei monti
215Ad altissima voce ognun chiedea;
Ed in questa fra lor lieto Adenghile,

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Sparso di chioma profumata il tergo,
Colmava un’ampia coppa, indi dicea:
Chi brama vincitor, chi trïonfante
220D’Assiria il Re, sparga le cure al vento,
E di questo licore empia le vene.
Così dicendo tutto il petto allaga
Dell’ôr, che appena con le man sostiene;
Gli atti festosi ogni guerrier seconda;
225E non so che di lieto e di soave
Abbonda in Oloferne oltra l’usato,
Pur gli occhi foschi, e pur la testa ha grave;
Il palco sembra gli si giri intorno,
Di mille cose dir viengli vaghezza,
230Ma la favella in sua balía non ave:
E già lasciando entro all’Ibero il giorno,
La notte oltra l’Olimpo era salita,
Ed ogni cavalier da sonno preso,
Ed in gran parte di sè stesso in bando
235Dalla tenda real facea partita,
Lasciando in letto il suo Signor disteso.
Alto silenzio era ne i campi armati;
Giuditta allora alla compagna disse:
Sta fuor le tende, e fissamente ascolta,
240E tutto volgi a ben spïare il core:
E poscia grida inverso il Ciel rivolta:
Guarda, Dio grande, che Israelle adora
Gerusalemme di suo stato in forse,
E contra il minacciar del rio Tiranno
245Questa mia frale destra oggi avvalora:
Qui slega il brando, che sul letto pende,
E giunge: O Dio del tuo soccorso è l’ora.
Poi con la manca al gran nemico afferra
La chioma, e con la destra alza il coltello,
250E l’empio collo addormentato fende.
Vien dalle tronche canne ampio ruscello;
Gelida pallidezza occupa il viso,
Che pur dianzi avvampò. L’altiera Ebrea
Piglia il teschio di sangue ancor stillante,
255E portalo a colei che l’attendea
Oltra le tende del crudel Tiranno,
E lasciando la turba iniqua e rea,
A consolarne i cittadin sen vanno.