La Signora di Monza/Capitolo III

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Catterina da Meda e Giovanni Paolo Osio

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Catterina da Meda e Giovanni Paolo Osio
Capitolo II Capitolo IV
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III.



CATTERINA DA MEDA



E


GIOVANNI PAOLO OSIO

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1607 die dominica IX mensis dicembris.


De ordine D.ni Torniali fiscalis regii mediolanensis fuit asportatum præfalo D.no Vicario criminali caput humanum fracidum et putrefactum, quod dictum fuit repertum fuisse in eodem puteo, in quo præcipitata ac reperta fuit soror Benedicta, prope locum Velati; et hoc occasione perquisitionis de ordine et mandato ipsius Fiscalis factæ in dicto puteo; et fuit consignatum dicto Vicario ad effectum visitandi et visitari faciendi reconoscendique an sit caput hominis vel mulieris. Penes quod caput erat pannum lineum fracidum quod dictum fuit repertum fuisse circum circa caput ipsum quando repertum fuit; et caput erat pilis coopertum longitudinis duorum digitum per transversum; et facies ipsius capitis rotunda, prout ego notarius vidit et an notavi.


1607 giorno di domenica 9 dicembre.



D’ordine del signor Torniali regio fiscale milanese fu portata al signor Vicario, riposta in un cesto, una testa umana fracida, stata trovata, a quanto si disse, nello stesso pozzo in cui fu precipitata e rinvenuta suor Benedetta, presso Velate; e ciò in occasione della perquisizione, per mandato del suddetto Fiscale, stata eseguita in quel pozzo; e fu consegnata al detto Vicario acciò la faccia visitare per conoscere se sia testa virile o femminile. Presso quel teschio, anzi intorno ad esso dicesi sia stato trovato un pannolino pur fracido; il teschio poi si presentava fornito di peli della lunghezza di due diti trasversi, e la faccia n’era rotonda, al modo ch’io medesimo vidi ed avvertii. [p. 76 modifica] Die vero sequenti fuit vocatus doctor Antonius Monti ad effectum visitari faciendi dictum caput: qui accersitus diligenter dictum caput visitavit in omnibus ejus partibus ad presentiam mei notarii, et postea juramento prestito, tactis Scripturis, interrogatus;

respondit:


Al dì seguente fu chiamato il dottor Antonio Monti acciò visitasse quella testa, e giudicasse s’era d’uomo o di donna: lo che avendo fatto con ogni diligenza alla mia presenza, prestò giuramento, ecc.

interrogato;

rispose:


» Ho vista diligentemente questa testa; e sibbene sia difficile far giudizio se sia di maschio o di femmina, per essere fracida, tuttavia per le fattezze e commissure io tengo che sia di donna; ma, come ho detto, non me ne assicuro.


Postea præfatus Vicarius mandavit dictum caput sepeliri in cœmeterio Sancti Stefani, et factum fuit sero ejusdem diei.


1607 die martis XI dicembris


Constituta soror Octavia etc.

Delato etc.

Interrogata de forma vultus Catarinæ de Meda alias monialis S.tae Margaritæ;

respondit:


Poscia il detto Vicario comandò che quel teschio nel vicin cimitero venisse sepolto; e così fu fatto la sera dello stesso giorno.


1607 giorno di martedì 11 dicembre.


Assunta in costituto suor Ottavia.

Deferitole ecc.

Interrogata intorno la forma della faccia di Catterina da Meda;


rispose:


» Aveva la faccia tonda, portava i capelli corti; non posi mente al colore.


Interrogata dicat tandem quid factum est de illa Catarina;


respondit:


Interrogata, e intimatole che dica finalmente che cosa fu fatto a quella Catterina;

rispose: [p. 77 modifica]

» Racconterò il fatto come passò: se non l’ho detto l’altra volta fu perch’ero stanca del corpo, esanime per le ferite. Or dirò, per la verità, che avendo quella Catterina fatta andar in collera suor Degnamerita ch’era la carissima di suor Virginia, questa, per risentimento la fece metter prigione; per il che la Catterina si prese a dir male di suor Virginia, di suor Benedetta, e di me intorno a’ particolari dell’Osio, ed in ispezialità che intendeva uscir lei di prigione, e farvi metter noi, palesando ogni cosa. Lo che avendo inteso Giampaolo, che si trovava nel monastero secondo il solito presso suor Virginia, ed intendendo che monsignor Barca stava per venire, e l’avrebbe levata di gastigo, si risolvette di ammazzarla; e, così, a mezzanotte suor Benedetta andò dalla Catterina nella camera ov’era detenuta, e cominciò a parlar seco, poi vi andò suor Virginia, e, dietro lei, io: sopraggiunse Giampaolo, che, avendo un piede di bicocca, da lui tolto nel laboratorio delle monache, dov’era stato messo prima del ritiro, ne diè due o tre colpi nella coppa della Catterina che stava sdrajata su d’un pagliericcio, e così l’ammazzò, che morì subito alla nostra presenza; e, morta, la portassimo nel pollaro, ajutando tutte; e suor Benedetta ed io la drizzassimo in piedi in un cantone, e le appoggiassimo contro de’ legni assai perchè non potesse essere vista: poi l’Osio fece un buco nella muraglia del giardino colla spada, e uscì. La Catterina così morta stette là tutto il giorno seguente: venuta la notte, tornò l’Osio, e coll’ajuto di suor Benedetta, portò il cadavere a casa sua: che cosa n’abbi fatto non so; credo lo tagliasse, e ne mettesse un pezzo qua un pezzo là; la testa, per quanto lui disse, l’aveva gettata in un pozzo fuori di Monza.

Il 12 dicembre suor Benedetta confermò per intero l’esposto da suor Ottavia moribonda nel dì precedente, de[p. 78 modifica]scrivendo con maggiori particolari l’assassinio della Catterina.

» Stando io per mie faccende in giardino a dir l’offizio, la Catterina mi domandò dalla finestra del luogo ov’era stata rinchiusa, che risponde appunto al giardino, pregandomi che andassi a lei, perchè aveva paura: le risposi che non potevo: tuttavia, circa alle due ore di notte, andai a lei, colla quale stetti un pezzo parlando del mal tempo, ch’era tuoni, pioggia, losnata (lampi); e in quel mentre sopravvenivano suor Virginia, suor Ottavia; e la Catterina disse a suor Virginia che non voleva più ciance da lei, e che la mattina seguente avrebbe sentito: in quel tratto era capitato anche l’Osio, e appena lo vidi, che un piè di bicocca che aveva in mano died’egli sul capo della giacente, che, per quelle botte morì senza dir niente, chè le diede dalla parte di dietro, e le ruppe anche la testa, ond’escì sangue, e restò imbrattato il suddetto piede di legno, ch’io poi lavai.


Interrogata an sit aliqua alia monialis informata tum de nece dictæ Catarinæ, quum de commercio Osii cum sorore Virginia;

respondit:


Interrogata se vi sia qualche altra monaca informata così della uccision della Catterina, come della tresca dell’Osio con suor Virginia;

rispose:


» Suor Silvia è più segretaria a suor Virginia di me; e sa delle sue cose meglio che io non so; voglio dire che la Signora confidava i suoi secreti più a lei che a me: non so però di certo che cosa lei sappia.


Interrogata an, et quoties soror Virginia exierit e monasterio, et se receperit in domo Osii;

respondit:


Interrogata se, e quante volte suor Virginia sia uscita dal Monastero, conducendosi alla casa dell’Osio;

rispose:


» Suor Virginia v’è andata diverse volte la notte, e vi stava sino alli mattutini di Carabiolo; quando voleva [p. 79 modifica]tornare in monastero, tiravano una cordetta che rispondeva alla loggia vicina al granaro: v’er’attaccato un sonaglio, che, sonando, dava avviso d’andare ad incontrare suor Virginia che tornava: ci andava vestita del suo abito da monaca.


Interrogata an aliæ moniales interfuerint neci Catarinæ;


respondit:


Interrogata se altre monache sieno state presenti alla uccision della Catterina;

rispose:


» Furono presenti anche suor Silvia e suor Candida: eravamo cinque.


Prosegue l’interrogatorio sovra particolari già noti: v’è descritto il piè della bicocca con cui l’Osio accoppò la Catterina, «quadro, largo nel fondo, che andava stringendosi in forma di diamante, ed era d’un legno che tirava al rosso: se lo vedessi lo riconoscerei»: le fu mostrato in mezzo ad altri, e lo riconobbe.


Succedono il 13 dicembre lunghi costituti di suor Silvia e di suor Candida che con minime varianti ripetono, confermano quanto sopra.

Torna interrogata suor Benedetta, che aggiunge «credo che Candida e Silvia vedessero quando si accomodò il cadavere nel pollaro: tutte e due ajutaron a portarlo fuori del monastero, cioè sin alla porta: io ajutai a trasferirlo sino alla casa dell’Osio.

Depose suor Candida: «si accerti che a queste cose acconsentii perchè non poteva far di meno; che in progresso di tempo più volte ho ammonito suor Virginia che lasciasse tal pratica; e lei, dubitando ch’io rivelassi le cose che sapeva, vedendo che mi spiacevano, mi bravò sulla vita più volte, dicendo che mi voleva affogare con una servietta, od ammazzare con una forca; e credo [p. 80 modifica] che mi conducesse a veder uccidere la Catterina perchè non parlassi.

Depose suor Silvia: « l’ Osio era vestito d’ un abito, berrettino, con una spada inargentata al collo, ed aveva uno scossale in testa: uscì dal monastero pel buco che aveva l'alto nella muraglia, e disse di voler andare a Milano: poi la notte seguente tornò, secondo il solito, perchè aveva le chiavi contraffatte; e andando tutte noi sopranominate al pollaro, fu messo dall’Osio il corpo in un sacco, portato da lui, coll’ajuto di suor Benedetta, in casa propria, e seppellitovi in una cantina per quanto asserì Benedetta.


Eodem die (XIII dicembris) et incontinenti D.us Vicarius venire fecit duos operarios, qui de mandato ipsiu, cœperunt fodere in domo Osii, et primo a parte dextera in ingressu versus viridarium; sed cum locus ille non videretur aptus ad similia cum sit in aperto et vicinis nimis patens, facta fuit diligentia in ipsa domo pro inveniendo loco aptiori; et sic a parte dextera in ingressu prope cubicula per Joh. Paulum inhabitata, visum ac repertum extare quemdam locum in formam cubiculi quadrangularis, habens muros altos absque tecto, ad quem locum datur accessus mediante fenestra magna, alta a terra quanta est altitudo humani corporis, ita ut necesse sit habere aliquid sub pedibus, videlicet scamnum, pro habendo ingressu; quæ quidem fenestra respondit in quadam curte parva contingua sa-


Lo stesso giorno, 13 dicembre, il signor vicario fe’ subito venire due manuali che per sua ingiunzione cominciarono a scavare nella casa dell’Osio, da principio a dritta entrando verso il giardino: ma il sito non parve opportuno per essere troppo all’aperto, e in sugli occhi ai vicini: fu cercato un luogo più addatto; e alla dritta dell’ingresso, presso le camere d’abitazione di Giampaolo, venne scorto un bugigattolo quadrato, circondato da muri senza soffitto, al qual non er’altro accesso che per una fenestra alta su dal suolo quanto è alto un uomo; sicché per entrarvi era uopo aversi qualche cosa sotto a’ piè, come ad esempio uno scagno: quella fenestra rispondeva ad una corticella attigua al bugigattolo suddetto, ed a cui immetteva una porta schiusa su d'un certo portico alla [p. 81 modifica] læ dictæ; et ad eam datur ingressus mediante ostio respondenti sub quodam portico ad manum sinistram propedictam salam. Ibi operarios jussi mediante scala ingressi sunt, et fodiendo terram in loco illo, ad presentiam mei notarii infrascripti stantis ad dictam fenestram, visum ac repertum fuit sub terra extare nonnulla ossa absque capite, quæ, de mandatu, fuerunt collocata in cisto....


mancina: ivi (nel bugigattolo) fu commesso ai manuali di scavare: v’entrarono con una scala, e scavarono alla presenza di me, che stava affacciato alla fenestra suddescritta: di là vidi messi in luce degli ossi, però senza testa, che vennero raccolti in un paniere.




È chiamato il noto Vimercati a dir che cosa ne pensi: risponde da prudente: « ho visto quest’ossa, e ne darò il mio giudizio; ma voglio avere un compagno, acciò sia più sicuro.

Deposizione di Bernardin Seregno relativa al rinvenimento del teschio di Catterina da Meda nel pozzo di Velate.

» D’ordine del signor Fiscale entrai nel pozzo profondo, penso, più di trenta braccia, imponendomi esso Fiscale che guardassi che cosa vi era dentro; e, tosto che fui abbasso, scorsi un cappello di feltro che stava sotto d’una grotta dove mancavan i sassi: poi, sotto d’un’altra grotta consimile, addocchiai una cosa tonda e nera che mi pareva la testa d’una creatura razionale morta, e mentre volli toccarla con un legno, il signor Fiscale, che stava di sopra guardando in giù, mi gridò — alto là! e mi chiese che cosa fosse: risposi — temo che ci siano qui dei fastidii — soggiungendo, che, alla mia fantasia, teneva che vi fosse la testa d’un trapassato: esso mandò allora giù un altro, che, avendo un badile, tolse pian piano su di esso la testa per non guastarla, tanto era masarata, e la ripose in una cavagna mandata giù da n quelli ch’eran di sopra, e dentro la testa, la qual era [p. 82 modifica] veramente di creatura umana; e tengo che fosse da più d’un anno in detto pozzo, e si trovasse così consumata per essere il luogo profondo e fresco.

La testa è mostrata al Vimercati che la dichiara testa umana, e vi trova caratteristici « capelli di color biondo scuro, e assenza di barba. » Aggiunge: « intorno gli ossi trovati in casa dell’Osio, risposi che non voleva portarne giudizio da me solo, per portarlo più sicuro; e così mi fu delegato compagno il dottor Giovan Battista Beretta da Monza; e giudicassimo dette ossa essere di corpo umano senza la testa.

Cade in questi giorni, come è da vedere dalla data, una lettera che Osio scrisse al cardinale Federico Borromeo; reputo opportuno inserirla qui benché non faccia parte dei rogiti notarili che andai sinora copiando e compendiando: (trovasi nel manoscritto tra gli allegati alla pagina 534).


Giovanni Paolo Osio profugo al Card. Federico Borromeo.


Ill.mo et Rev.mo Sig. e Pad. Coll.mo

» Il mondo oggidì si vede tutto roverso; perchè quelli che meriterebbero essere castigati come principali et inventori e causa di ogni male e ruina, a essi se gli crede le bugie, e sono carezzati; et a quelli che per causa di essi son in ruina non se gli crede, ma perseguitati a morte come se fossero ribelli, et essi inventori di quelle attioni; come ho inteso essere seguito a me, nonostante che mi abbino buttato a terra la casa, e consumata la robba; ma che V. S. Ill.ma mi abbia scomunicato, acciò perda l’anima insieme, sono cose di grandissima disperatione a pensare; il caso è degno di grandissima compassione a saper il fatto com’è seguito; che, per havere io castigato gl'inventori di ogni mali e ruina, dovevo meritare lodi e non castigo; perché la povera S.ra Virginia [p. 83 modifica] Maria et io siamo stati menati in trappola dalle altre viliache, le quali, avanti sian andate nel monastero, hanno il mondo provato, e piene di ogni malitia andavano investigando di far cascare altri. La colpa non è stata di detta povera S.ra Virginia-Maria, qual di gran Casa, l’animo in altro aveva che alle cose mondane, come per la sua conscienza sia conossuta: ma Ottavia e Benedetta erano quelle che il mal facevano, e, come principali, Dio le ha castigate come meritevoli: io non fui mai ricercato solo che da esse, e, tentato ancora a peccare seco (che Dio mi è testimonio se dico la verità) io non le poteva comportare, nè potrò, considerando com’esse siano state causa della mia ruina: chi trovò la inventione de’ posti, et altre cose? sol esse; chi veniva alle porte? sol esse; chi mi menava nella sua camera se non esse? chi aveva trovati secreti? solo esse; che, in coscienza mia, la povera S.ra Virginia Maria non sapeva nulla di queste cose che esse andavano facendo. Si potria fare un libro di quel che ho passato e patito, e saria cosa che comoveria il lettore a lacrime, et a grandissima compassione tutti li ascoltanti; che, per causa di esse, la sig. Virginia M. et io siam ridutti a questo termine senza colpa nostra; e Christo non sia mai per salvare le anime nostre se questo che dicho non è vero. Che praticha aveva io se da queste due non fussi stato ecitato? gli son andato io con caroza, o cavali, o forza de homeni a levarle fori del monastero, o l’hano fatto esse di volontà? ma l’è che Dio le voleva castigare come causa di questi malli. O se mi fussi concesso poter dire, e mi fussi credutto quanto m’haverei da dire, e mi fussi fatto un salvacondutto! che cose direi, e quanto faria fruto il scoltare la verità!

» So ben io chi merita castigo, ma non già io, nè la sig. Virginia M. che non ebbimo mai volontà di offender Dio, sibbene per questi demonj ogni hora eravamo stimulati a qualche novità. Chi fu lo inventore delle [p. 84 modifica] lettere? prete Paolo Arrigone: chi ha rovinato e impoverito il Monastero? il canonico Pisnato, il qual confessa ora le monache di Meda; si veda in casa sua che vi si troverà quello che non si sarà trovato in casa mia, di donativi fatti da monache, eccitamenti amorosi, et altre cose: prete Giacomo Bertola confessore delle monache di santa Margherita, qual era la sua devotta? la Sacha, e stava li tutto il giorno continuo: di questi per essere preti non si processa, perchè sono per escussi... ma sollo si parla del povero Osio, sollo è perseguitato, sollo è il malfattore, sollo il traditore... Oh dolce mio Signore! quanto mi volete bene, puoi chè vedete che la persecutione è tanto grande ed io tanto debille; e mi guardate per vostra santa misericordia, e mi giutaste nel Castello di Pavia! perchè, Signore, mi fate tante grazie? che privilegio ho io più delli altri? la causa io non posso saperla, se pure non è perchè Voi, o Signore, avete sempre visto il cuor mio, e con quanta volontà io desideravo servirvi, e che i miei peccati non furono mai volontari, nè con il consenso di offendere la maestà vostra, e quanto fosse il rimorso della coscenza che mi faceva star malinconico, e quali li proponimenti da me fatti... Questa, credo, sia la causa, o Signore, che contro tanta persecutione mi tenne forte: fate dunque che sia la vostra volontà che questi signori Principi si plachino, et in particolare l’ill. sig. Cardinale Borromeo, onde mi levi la scomunica, che l’anima mia non abbia a perire eternamente; poichè Voi sollo sapete, o Signore, che ne io ne la sig. Virginia M. non siamo stati li principali in questa ruina.

Io non Le posso dire per brevità di tempo, altro che nostro Signore dia a V. S. Ill. tutto quel bene ch’io le auguro, onde anche faccia con me come fa Dio con li peccatori, che non li vol morti ma che vivano e si convertano: ben che del vivere pocho mi curo, purché Dio [p. 85 modifica] mi habia misericordia, come ho fede in sua divina Maestà. E quando V. S. si compiaccia, io volontariamente venirò nelle sue forze, e faccia di me quello che volle: ma non mi lasci interdetto della Chiesa, puoichè il caso è meritevole di misericordia, puoichè non fu volontario nè per la parte mia, nè per quella della sig. Virginia M., ma sollo le nominate di sopra, che parevano tante indemoniate: ed, hoggi tre settimane, quella seconda, e dir posso ruina di questo fatto, che fu Benedetta, ritrovandomi alla Canonica mi mando un bilietto da Damiano fattore (io feci grand’errore a buttarlo sul fuoco, che avria giustificata la verità) qualmente costei mi scriveva che dovessi andare al portone alle sei ore di nette, che vi si sarebbe trovata travestita, e mi pregava per la Madre di Dio di andarvi, puoichè, quando non vi fossi andato, aveva deliberato di andar via solla, perchè nel Monastero era la rovina di Troja, così giusto diceva. Io non aveva magnato, perché digiunava, quando questo bilietto mi arrivò; tutto mi alterai, e lo gettai nel focho, et era due hore di notte, sicchè mi misi a passeggiare in salla pensando sopra di quello che voleva far questa bestia, e mi venne la risoluzione di andare per dissuaderle che non lo facessero. Nonostante che piovesse, quando fui gionto già erano lì, e le pregai un pezzo a non fare tale risoluzione, qual era la ruina di tutti: costoro, accese et infocate più che mai, andavano facendo il bullo, sin a tanto che volevano più presto arder il locho che starvi più. Ad ultimo giudicai che Dio le volesse castigare e le lasai fare la sua volontà. Quando fummo gionti alla Madonna delle Grazie, io li dissi che si dovessero racomandarsi alla Madonna perché io le voleva lasare lì, per causa sua non volendo essere preso avendole condote fori di Monastero. Costoro volevano che le menassi mecho, del che dissi non voler in modo alcuno farlo: ma non mi ascoltarono e ne seguì [p. 86 modifica]puoi, che tra lor due vennero a contesa, e Benedetta diede ad Ottavia, e la buttò, onde caschò, per essere sulla riva, nel Lambro; e quell’altra poi andò a capitare dove non so, perchè io mi partii da lì sollo; vero è che le consigliai la strada verso Velate per andare in Bergamasca dove diceva di voler andare. Che se io avessi avuta mala volonta di offenderle non saremo scampatti, ma non voleva offender Dio per questa bestia, ma ben si è da sè stessa precipitata, come meritevole.

Che se si è trovata una morta, Benedetta e Ottavia furono quelle che la decapitarono, e nascosero nel pollaro del quale avevano le chiavi, che non lo possono negare, e la portaron da me senza che io abbia colpa in questo, ma pregatto, perché aspettavano il Barca, che la dovessi far sotterrare, e fu Benedetta che la portò là. lo ho passati gran casi con dette bestie acciò non facessero maggiori danni; più volte l’ho detto alla sig. Virginia M. ch’esse erano la causa della nostra ruina, e che avariano meritato che si fussero tossicate, considerando il danno e mali che hanno fatto; ma per non offender Dio non si faceva. Non voglio esser più lungo; ma quando fussi giudicato come a Dio domando, in verità il castigo anderia sovra a esse, e non sopra a me, et alla sig. Virginia M.; per cui gli habbia misericordia, e possano havere tempo di penitenza. Datta oggi giovedì alli 20 dicembre 1607.

Di V. S. Ill. e Rev.

Dev. et Humilissimo Ser.
Gio. Paolo Osio.


Sulla Soprascritta

All’Ill. e Rev. Sig. e Padron C.
il Sig. Cardinale Boromeo.
Arcivescovo di Milano.

milano.

[p. 87 modifica]Ci troviam giunti al quarto atto della tragedia. La insanguinata tela ci sta omai alzata dinanzi: l’aspettazione crebbe grandissima; la Protagonista è ansiosamente chiamata su quella scena che ha già empiuta del misterioso terror del suo nome.

Eccola finalmente; è la Signora che viene.


Qui nel monoscritto ogni cosa è mutata; lo scrivente; il luogo; ed anche lo stile, come si vedrà. Non trattasi più d’un cicalio di femminette, di zotici; e nemmanco d’un brulicare di malvagi, che, a vicenda si accusano convinti ed atterriti dagli arcani che le scoperchiate fosse rivelarono: quella che si avanza è un’alta imperiosa figura, ammantata di nero, al cui pallore fanno cornice i lini del capo, ed al sinistro lampeggiare del cui guardo la nostr’anima si ripiega in sè stessa esitante, impaurita...