La bella giorgiana/Nota storica

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Nota storica

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Atto V

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NOTA STORICA

Era l’ultimo anno del soggiorno del Goldoni a Venezia. Nel mese di ottobre (1761), all’aprirsi della stagione comica autunnale, il dottor Carlo aveva fatto recitare nel teatro di San Luca le Smanie per la villeggiatura e più tardi le Avventure della villeggiatura; nel mese di novembre la fortunatissima Scozzese e il Ritorno dalla villeggiatura. Nel numero 87 della Gazzetta Veneta compilata dall’abate Chiari, che uscì ai 9 dicembre, si leggeva: Sabbato prossimamente passato [5 dic. 1761] andò sulle Scene del Teatro a S. Luca una nuova Commedia del Sig. Dottor Goldoni intitolata La Bella Giorgiana, ma vi fu ricevuta dal pubblico con incerto ed equivoco gradimento. La Commedia è tratta da un Romanzetto Francese, che porta il nome medesimo, e di cui si fa lunga memoria anche nel Dizionario istorico del Moreri alla voce Georgenne [sic]. Questo però non toglie alla Commedia il suo pregio, anzi a creder mio glielo accresce di molto, perocchè l’ergere una bella fabbrica sopra un fondo già vecchio, e limitato da certi confini, è cosa assai più malagevole ecc.".

Ora nel Grand Dictionnaire Historique ecc. commencé en 1674 par M.re Louis Moréri ecc., che ebbe dappertutto infinite ristampe (e una a Venezia, nel 1751, presso il Pitteri), non si parla nè sotto la voce Georgie, nè sotto la voce Mingrelie, più ricca, di romanzo alcuno. Da chi mai assunse il Chiari la falsa notizia? Vero è che nel volume VI dello Stato presente di tutti i Paesi e Popoli del Mondo, che usci a Venezia nel 1736 presso il Pitteri, e fu ristampato due anni dopo, si discorre nel capitolo XXI della Georgia Occidentale "che comprende li Principati della Mingrelia e Guriel, ed il Regno d’Imerette". Dalla nota opera del Salmon, tradotta liberamente dall’anonimo veneziano con copiose aggiunte, il Goldoni aveva già attinto, come sappiamo, l’ispirazione della Sposa Persiana (v. vol. XXIV della presente edizione, pp. 208 e 212-213). Nel detto capitolo che l’anonimo traduttore aggiunse per intero, da prima saccheggiando la relazione del padre mantovano Giuseppe Maria Zampi, inserita da Chardin nel suo famoso Voyage de Paris à Ispahan (di cui diede il viaggiatore francese un primo saggio nel 1686, Journal de Voyage du Chevalier Chardin en Perse etc., Londra, e una compiuta edizione nel 1711. Amsterdam), e poscia seguendo fedelmente Chardin nel racconto delle feroci avventure dei principi di Mingrelia e di Georgia, si ritrovano, con modificazioni leggerissime, tutti i nomi dei personaggi della tragicommedia goldoniana: Tamar, Bakrat, Leviàn Dadian, Abkas, Ottia Chekaizè, Vaktangel. Tuttavia l’azione della Bella Giorgiana non corrisponde per niente al barbaro e truce dramma di corruzione e di sangue narrato da Chardin, troppo diverso dalle visioni goldoniane. Delle belle "e ben formate" donne della Mingrelia leggesi a pagina 415 del volume citato: "Sono ingegnose, di spirito sottile ed acuto, vivaci e cerimoniose: per altro poi sono ambiziose, infedeli, ingannatrici, crudeli e lascive. Mettono ogni sorta di studio in uso per acquistarsi gli amanti, e li conservano per [p. 512 modifica] rovinarli". Vedasi poi ciò che si narra più avanti della bellissima moglie del principe di Mingrelia, fatta prigioniera e sposata dal re d’Imerette, e delle geste crudeli della impudica Darejam.

Il Goldoni ha voluto soltanto ridipingere coi falsi colori orientali, come già nella fortunata Ircana, il tipo femminile da lui prediletto nel suo teatro: la donna irresistibile che col fascino della bellezza e con le arti vince la superbia degli uomini e li atterra ai suoi piedi. E Mirandolina, l’eterna Mirandolina, che dalla modesta locanda, fiorentina o veneziana che sia, balza sul trono d’Imerette, che dall’umile prosa della commedia si eleva ai versi pomposi della tragicommedia, che ha gettato via il grembialino per mascherarsi da regina, che abbiamo riconosciuto tante volte, nella furente Ircana, nella selvaggia Delmira, nella ipocrita Lavinia, nella potente Semiramide, e riconosciamo nell’astuta e ambiziosa Tamar. E la donna che trionfa nel Settecento, da Versailles a Pietroburgo, che domina col suo sorriso di sfida nel teatro di Carlo Goldoni.

Son beni miei vezzi, lusinghe e sguardi: (fine atto I)

dice Tamar, e se ne vale perfino a sedurre l’animo stesso del proprio genitore.

Dicasi a nostra gloria, abbiam noi donne
Tutto il poter sugli animi virili:

così conclude nell’ultima scena. Che cosa potevano opporre i signori rusteghi?

Ma nemmeno le gentili dame veneziane, a cui si raccomandava l’autore, ebbero la virtù di salvare sulle scene la Giorgiana. Se qualche barlume di vita traluce qua e là nel personaggio di Tamar, tutti gli altri sono veri propri manichini mossi a caso dal gran macchinista, e il loro insopportabile linguaggio, in disgraziati versi endecasillabi, ci suona più falso e più goffo che mai. Anche storicamente nessun pregio ha l’ultima tragicommedia di Carlo Goldoni. Appena un accento di odio contro i tiranni, comune nella tragedia italiana del Settecento, molto prima dell’Alfieri. "Dadian rispetto" dichiara Abchar:

È mio Re, mio sovrano, io suo Visire.
Ma abborrisco i tiranni, e ingiusto io trovo
Che con vani pretesti accrescer tenti
Coll’altrui danno la ricchezza e i stati. (atto I. sc. 4)

E nella scena seguente:

Giovine è ancora, e gioventù l’inganna,
Presumendo sia tutto ad un monarca
Lecito in terra, e che sul regio capo
Non comandi onestà, natura e il Cielo.

E nella scena sesta del secondo atto:

Anche i monarchi
Soggetti sono d’onestà alle leggi.
E son vindici i Dei de’ torti umani.

Lo stesso Macur ha uno scatto contro gli avidi ministri:

So che del regno d’Imerette i grandi
Spoglian del meglio gl’infelici, e ad essi
Credon tutto dovuto, e sotto il piede
Pongonsi l’onestà.

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E risponde all’imposizione del Visir:

Sì, so ancor questo,
So che la verità punge e dispiace.

Più care queste parole, nel Settecento veneziano, anche se in bocca d’un Bacherat:

Bella è la libertà; dolce è il morire
Per la patria comun. (atto III, sc. 3)

Da Parigi il vecchio commediografo, poco prima di morire, spedì allo stampatore Zatta, a Venezia, la Bella Giorgiana insieme con altre tragicommedie ancora inedite; e lo Zatta la stampò nel 1792, nel tomo VII della classe terza delle Opere Teatrali (vol. 28 della grande edizione). La ristampò l’anno dopo il Bonsignori a Lucca (t. XXXI); e uscì più volte nell’Ottocento. Ma i biografi del giocondo creatore veneziano la ricordarono confusamente, in fascio con le altre tragicommedie romanzesche e orientali, false di tono e di colore, aliene in tutto dal comico talento del Goldoni: così il Meneghezzi (Della vita e delle opere di C. G., Milano, 1827, pag. 131), il Ciampi (La vita artistica di C. G., Roma, 1860, pag. 31), il Nocchi (pref. alle Commedie scelte di C. G., Firenze, 1856, pag. XVII, nota). Soltanto il Pignatorre, nel suo Elogio a C. Goldoni (Venezia, 1802, pag. 38, nota). loda tutto. Il Goldoni stesso non la ricordò nelle Memorie, e la dimenticò il Rabany nella Liste chronologique des autres dramatiques del Veneziano (C. Goldoni, Paris, 1896). Allo Schmidbauer la bella Tamar sembrò, piuttosto che una georgiana, un'astuta veneziana (Das Komische bei Goldoni, München. 1906, pag. 152). Più di recente un anonimo pudibondo scrittore, che il Maddalena m’addita, in certa Rivista di letture (15 maggio 1914) segnava la Bella Giorgiana tra le opere del Goldoni "che i giovani maturi potranno leggere senza pericolo". Non crediamo che nemmeno tale onesto suggerimento riuscirà ad acquistare popolarità a questa infelicissima produzione teatrale che chiuse per sempre la serie delle tragedie e tragicommedie goldoniane iniziata nel 1734 col Belisario.

Pochi giorni dopo la Bella Giorgiana, il Goldoni fece recitare il Buon compatriotto, mentre preparava El sior Todaro Brontolon e Le Chiozzotte (v. Gazzetta Veneta dell’ab. Chiari); poi in Una delle ultime sere di carnovale disse il doloroso addio alla sua cara Venezia.

G. O.