La chioma di Berenice (1803)/Commiato

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Commiato

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Considerazione XIV
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COMMIATO.

Or ch’io ti lascio, amico lettore, vo’ che tu sappia il perché e il come di questo libro. Tu crederai, spero, senza ch’io giuri, che questa volta non ho inteso di fare un libro né bello né buono. E se tu avessi preso per giusta moneta tutto quello che ho scritto, tu hai fatto male: rare cose ho qui dette davvero, molte da scherzo, e parecchie né da vero né da scherzo, le quali poteano essere e dette e non dette. Or, che hai gli occhiali, a te lascio il discernere. Ma, per parlare più umano, dico che tutti i discreti ed indiscreti lettori hanno a sapere ch’io l’ho giurata alle anime de’ pedanti. Il cane è nemico del gatto, il gatto del topo, il ragno dei moscherini, il lupo delle pecore, ed io de’ pedanti. L’amico mio Iacopo Ortis, ὀ μακαρίτης avea col medesimo intento comentato in due volumi il libro di Ruth; ma sebben fosse iracondo, non gli bastava il cuore di essere maligno. Il comento non si stampò. Dalle sue Ultime lettere pubblicate nell’ottobre dell’anno scorso, ognun sa la storia della sua morte: i pedanti gridarono la crociata contro le ultime lettere, perché non citavano autori greci e latini, e non erano scritte co’ vezzi del contino Algarotti, cortigiano e quodlibetario di buona memoria, né con le accademiche lascivie di quella divota animetta del cavalierino Vanetti. Allora maladissi a’ pedanti, esospirai [p. 224 modifica] i quel comento del ’libro di Ruth: ma i manoscritti erano stati bruciati dall’autore prima dell’ora della morte, tutti . . . né a torto forse: son pur indiscreti, per troppa amicizia, gli editori delle opere postume. Ad ogni modo io dovea vendicare l’amico mio, l’amico mio che non poteva rispondere più; e ho dato mano a questo comento, imitando quello che avea fatto ὀ μακαρίτης. Il cielo ed io soli sappiamo quanto ho dovuto durare per proseguire nel mio proposito; e più ancora per proseguire fingendo di fare davvero. E mi pare d’avere scritto tale quale avrebbe scritto un solenne pedante o grecista o bibliotecario: ch’ei son, poco più poco meno, lo stesso cervello in diversi petti. — Sia qui detto per incidenza: han sì pieno il cranio di alfabeti e di citazioni che il cervello fugge e va a stanziare ove dovrebb’esservi il cuore... dov’ei sia, né io né tu, lettore, né essi lo sanno. — Insomma spero di avere seguite tutte le loro leggi, perch’ei, quand’io riderò de’ lor libri, non gridino più; fate altrettanto: e lo han pur gridato quelle anime di cimici! Ho tentato il loro stile; se non che ad ora ad ora il mio è men freddo: ma questa è colpa (pur troppo!) più della natura che mia. Per potere vantare con essi Ne integrum quidem mensem tribus poetis recensendis impendi, e sì fatte glorie, io in quattro mesi ho pensato, scritto e stampato questo libercolo; e di ciò mi sieno testimonio tutti i letterati di Milano, amici e nemici. Ho citato a tutto potere, sebbene io mi sia uomo, come ognun sa, di scarsa lettura e di pochissimi libri: altra fonte di gloria per gli eruditi, i quali scrivono or malati or senza libri. Però madamigella Anna Le-Fevre dice nel comento di Callimaco: Libri mei me non comitantur in urbe. Ma, poiché qui la fo da erudito, sappi, lettore, ch’io ho scritto e stampato in [p. 225 modifica] fretta; ed ora vo correggendo gli ultimi foglj di stampa malato d’occhi e di cuore. E tutto questo mese d’ottobre non ho avuto libri a mia voglia; perciocché questi bibliotecarj ambrosiani e nazionali fanno feste e villeggiature più che non si conviene ad uomini letterati ed ajutatori di letterati. Ma sia così. Eccoti, o per dritto o per torto, il libro scritto e stampato, e molti errori col libro. Anzi di parecchi mi sono avveduto; ma né li mostro né li correggo, per lasciare agli eruditi la gloria di arguta dottrina e la voluttà di dottissime villanie. Sorriderà l’anima dell’amico mio, se degnerà d’uscire della sua quiete per queste mortali commedie. Per me ho in animo di seguire a combattere nella stessa maniera, usando delle stesse armi degli uomini dotti. Onde preparerò l’edizione di una profezia antichissima della Sibilla Etrusca, di cui i monaci di s. Dionisio trovarono la versione greca. La profezia mi darà opportunità di arcana erudizione, poiché la si aggira tutta sulle stringhe slacciate di un pajo di brache, su! feudo della Vipera, sulle setole di Anteo e sulle Sirene incantate da Ulisse perch’ei gettò nel mare i proprj genitali..

 — O pater, et rex
Juppiter, ut pereat positum rubigine telum,
Nec quisquam noceat cupido mihi pacis! At ille
Qui me commorit, melius non tangere! clamo,
Flebit et insignis tota cantabitur urbe.

Ma per adesso queste cose siano per non dette. E’ potrebbe anche darsi che questo libercolo non riuscisse discaro ad alcun erudito; cui, appunto per questa speranza, lascio il campo di ordinare l’indice delle cose notabili, l’indice degli autori citati, e di fare stampare in mio e suo onore parecchi sonetti ed epigrammi greci, latini, francesi, inglesi, arabi, caldei, ebrei, et reliqua, [p. 226 modifica] e di tradurre il mio lungo italiano nel suo latino: offerendomi, quando che fosse, di regalargli le materie ordinate per altri tre volumi di supplemento e di confutazioni alla presente illustrazione. Intanto, lettore, abbimi per amico, e Dio ci benedica.


Note