La fine di un Regno (1909)/Parte III/Documenti vol. I/I

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Parte III - Documenti vol. I Documenti vol. I - II
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Documento I, volume I, cap. I.


Ritrattazione del Pari
e Deputati di Sicilia dopo la riconquista dell'Isola.


SACRA REAL MAESTA.


Sire,

Il frutto dei passati soonvolgimenti politici non è stato per tutta Sicilia che il furto e la intera depauperazione.

Ogni buon cittadino, tutt'uomo onesto (sic) che per principii e per dovere era rispettoso alla vostra Sacra Persona od ubbidiente alle vostre leggi, era obbligato dalla forza ad agire contro il proprio pensiero.

Una lunga serie di fatti pubblici, ohe nel corso di sedici mesi di perfetta anarchia giornalmente si osservavano, fanno chiaramente vedere che l'uomo onesto, l'uomo devoto alla vostra Dinastia, era assalito nel suo tetto, spogliato interamente, ed alle volto impunemente trucidato, e quindi gli era forza di tacere, ed obbligato dalla forza a manifestare la sua adesione contro la propria opinione.

La formola rivoluzionaria del Comitato misto, ove le Camere non erano d'accordo, proponderava sempre a favore dei Comuni; dap- poichè quantunque dello stesso numero i componenti delle due Camere, vi era addipiù (sic) il Presidente dei Comuni con voto, che faceva parte e presiedeva nello stesso Comitato misto; come in fatti tutte le volte che la Camera dei Pari rigettava il messaggio, nella parità dei voti del Comitato misto, il Presidente dei Comuni decideva la questione, per cui la contraria opinione dei Pari era sempre rifiutata.

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..........dubbio che l’Atto della Decadenza, ove non si volesse

....modo e la forza usata per trascinarci a quest’atto il

..... farebbe avere la taccia di sudditi ingrati, che hanno mancato al doveri di fedeltà verso il proprio Monarca. E regolare che tutto si metta in chiaro, perchè ognuno possa da sè stesso rimanere ben persuaso, che non mai per la libera opinione e volontà si divenne ad un atto così insussistente.

Il giorno 18 aprile 1848, si sciolse la Camera alle ore 5 p. m. ed ognuno era ritornato nel seno della propria famiglia per godere un momento di riposo, un momento di tranquillità, unico conforto che in quei giorni di sommo trambusto l’uomo onesto trovava.

Non erano scorsi che pochi minuti allorchè fummo obbligati a ritornare nella Camera, ignorandosene il motivo. Si temeva della propria esistenza. Quando arrivati nella via di S. Francesco, dove era per l’appunto il locale delle riunioni delle Camere, s’intesero delle grida spiccate da una folla di persone armate, che a stento permettevano il passaggio; i corridori, e le ringhiere delle Camere occupate erano intieramente.

S’ignorava fino a quel momento l’oggetto che doveva trattarsi, quando il Capitano di Ambasciata annunziò di essere la Camera in numero legale, e sul momento si presentarono alcuni deputati della Camera dei Comuni, consegnando al signor presidente una deliberazione già presa da quella Camera.

Eravamo tutti nella massima perplessità, non sapendosi il contenuto di quel messaggio, del quale, datasene lettura, si apprese con stupore essere la macchinata deliberazione della Decadenza.

Si voleva da alcuni manifestare qualche ragione per non aderire a quest’atto per tutti i modi illegale: ma sopraffatti dalle grida di tutti gli astanti nelle ringhiere, non fu permessa la menoma discussione, mentre tutti concordemente imponevano ad alta voce di annuire, minacciando la vita.

Quale asilo vi era in quel cimento per esimersi dal far palese la nostra adesione, allorchè fu impedito colla massima resistenza ad ogni componente di potersi allontanare, se prima non si fosse la Camera uniformata al messaggio ricevuto? L’indomani si trovò nella Camera il verbale, e con atto rivoluzionario fummo obbligati i presenti a munirlo della firma, Per quelli ch’eravamo lontani, ancorchè non fossimo intervenuti alla seduta, fummo al domicilio forzati per firmare la deliberasione.

Di un atto consumato con tanta violenza non può darsene a noi la colpa.

Il delitto stà nella volontà; ove questa non concorre, e che la [p. 5 modifica]forza vi obbliga ad agire diversamente dalla volontà; non vi è colpa, nè può riputarsi delitto.

Questa enarrazione di fatti generalmente noti contesta la verità dello esposto.

Poteva mai da noi soli farsi fronte a tanta gente armata, mentre non vi era forza che potess’essere di scudo a sostenere la nostra volontà?

Sarebbe stato un passo molto imprudente il perderci la vita, senza ottenere alcun vantaggio.

V. R. M. che con tanta clemenza e paterna affezione si è sempre degnata di colmarci di munificenza, in vista del nostro fedele attaccamento alla vostra Sacra Persona, ed a tutta la Real Famiglia, saprà nella sua somma saggezza ben ponderare le nostre esposte ragioni, ed accogliere le nostre discolpe.

Nessun timore, nessun dubbio ci fa oggi apertamente dichiarare di volere essere governati da Ferdinando II, Re del Regno delle Due Sicilie, e della sua Dinastia, e di essere pronti a sostenerla, e protestandoci di non essere menomamente concorsa la nostra libera volontà nell’adesione di quell’Atto per ogni modo illegale, ma di esservi stati portati con tutta la possibile violenza.

Sicuri quindi che V. R. M., convinta del nostro fedele attaccamento, sarà per raccogliere colla sua innata clemenza questa nostra sincera 6 veridica manifestazione con cancellare dal suo benefico cuore qualche idea di sospetto sulla condotta da noi tenuta, a’ piedi del vostro Real Trono ci protestiamo,

Duca di Caccamo.
Duca di Monteleone.
Principe di Niscemi.
Ciantro Salvatore Fontana, Vicario-Generale.
Antonio Parisi, Marchese dell’Ogliastro.
Monsignor Domenico Ciluppo.
D. Pietro Tarallo, Abate di S. Martino.
D. Gio. Battista Tarallo, Priore di S. Maria La Nova.
Francesco Tarallo e Borgia, Duca della Ferla.
Francesco Notarbartolo, Principe di Sciara.
Francesco Trigona Gravina, Principe di S. Elia.
Pietro Sgarlata, Abate di S. Maria la Grotta.
Iagnazio Pilo e Gioeni, Conte Capaci.
Alessandro Migliacoio, Principe di Malvagna.
Ignazio Agraz, Duca di Castelluccio.
Pietro Sgarlata, procuratore dell’Abate di S. Nisandro D. Paolo Vagliasindi Basiliano.

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Pietro Valguarnera, Principe di Valguarnera.
Francesco Brunaccini, Arcivescovo di Monreale.
Stefano Sammartino, Duca di Montalbo.
Giacomo Brunaccini, Principe di S. Teodoro.
Salvatore Papè, Principe di Valdyna,
Emanuelle Lucchesi Palli, Principe di Furnari.
Monsignor D. Visconte Proto, Vescovo di Patti.
Filippo Cultrera, Abbate Cassinese.
Duca di Gualtieri.
Principe di Resuttana.
Emanuelle Melazzo, Principe di Alminusa,
Calogero Amato Vetrano.
Conte d’Almerita D. Lucio Mastrogiovanni Tasoa.
Sacerdote D. Giuseppe Castiglione.
Beneficiale D. Paolo d’Antoni.
Duca di Cesarò.
Abate Evola.
Principe di Paternò.


SACRA REAL MAESTÀ.


Signore,

Quegli enormi delitti politici, che non hanno esempio nella storia di un popolo, non sono mai l’opera che della concentrata nequizia dei pochi, i quali per arti infernali, pria di seduzioni, poscia di violenza e di terrore, insignoritisi di un irreffrenato potere, impongono ai riluttanti istinti dei molti un fittizio assentimento.

Tale è la storia di eccessi cosiffatti, antichi e nuovi, tale è pur quella del nefando Atto seguito in Palermo a 18 aprile 1848.

Ma se in quello stolto ed esecrabil Atto, altri hanno a deplorare la miserabil condizione di esser concorsi, benchè repugnanti alla sua formazione, ai già pari temporali elettivi di Sicilia, che or riverenti alla M. V. s’inchinano, toccò minore sventura, quella solo di aver patito la violenza di dover soscrivere separato Atto adesivo a quanto e Rappresentanti e Pari ereditari e spirituali aveano già consumato. Imperocchè assunti alla Paria il di 16 aprile 1848, in quei primi bollori della setta trionfatrice, solo a pareggiar le condisioni di tutti i sedenti in Parlamento, fu loro imposto che esplicitamente al nuovo atto assentissero, e nella prima seduta ne venne loro anche ingiunta la formola.

Ma, Sire, qual via di scampo offrivasi allora ai collocati in quel misero stato? Rinunziare alla Paria dopo la nominazione dei Comuni, [p. 7 modifica]l’elezione dei riprestinati Pari, era un fare atto di fatale opposizione contro chi poteva ed aveva osato ogni cosa; era un designarsi infruttuosamente e senza asilo pei presenti, al facilmente incitabil odio di una affascinata moltitudine. E d’altra parte a che avrebbe riparato il martirio dei nuovi eletti? Allora nella Camera, lo ripetiamo, l’opera parlamentaria era compiuta, Rappresentanti e Pari l’avevano già consumata. Pure i fatti posteriori meglio di ogni parola qualificano i precedenti. Quali furono la condotta, le idee, le tendenza de’ già Pari elettivi? Basti il dire che in quindici interminabili mesi di reggimeuto rivoluzionario, quando noti ed ignoti erano a fascio chiamati al Ministero, niun di loro fu mai, nonchè assunto, ma nò ad esso invitato. E non di meno, poichè il voto di due Camere legislative era solennemente concorso alla loro elezione, è a presumere aver collocate fra essi più di un’assennata capacità.

Ma agli occhi di una fazione, che non vive se non di sistematica esagerazione, non ha alcun peso quel merito che non sia stemperatezza di voti, esaltazione, fanatismo. Nè questa volta, a dir vero, andava errata, che i già Pari temporali elettivi di ben altro amore amavano il paese, nè sapean per esso vedere che sciagure, ruine, e turpe assoggettimento, ove dal suo Re e dalla legittima Dinastia si dipartisse.

Quindi, appena certa maturità di tempi ne offerse loro il destro, potentemente concorsero ad abbattere la incomportabile dominazione di una perfidiosa monomania (sic). E però l’ultimo Ministero dei 15 aprile 1849, il solo, dopo quindici mesi, Ministero di reazione, inteso a restaurare le smarrite idee della legittima Monarchia, si compose sopra tre Ministri, di due fra Pari elettivi. Ed in mezzo a pericoli di ogni specie, di ogni intensità non si sarebber essi rimossi dall’opera da loro cominciata, se non avessero stimato miglior consiglio il dare un primo esempio di obbedienza agli ordini precisi di V. M. che l’amministrazione delle cose passasse al Municipio di Palermo.

Ecco i già Pari temporali elettivi a piò del Real Trono in quel rigore di verità, siccome sarà per giudicarli la storia. Pur tali quali essi sono, non dissimulano a se medesimi il grande uopo (sic) in che stanno della Clemenza Sovrana per sentirsi sicurati nella lor coscienza di fedele sudditezza (sic). Ma il nipote di S. Luigi e di Enrico IV ha già dimenticato fatti più gravi, perchè abbiano a sconfidare i sottosoritti non voglia ora far scendere su loro la magnanimità che oblia, e la grazia che riconforta.

Umilissimi devotissimi sudditi
Barone di Canalotti — Cav. Giovanni Calefati
Marchese di Villarena, Vincenzo Mortillaro.


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SACRA REAL MAESTÀ.


Cessata oramai per la Divina Grazia la oscillazione politica, che per ben sedici mesi travagliò Sicilia tutta, riputiamo nostro dovere rassegnare alla M. V. quanto segue.

Sin dal principio delle passate vicende non vi era alcuna circostanza che potesse incoraggiare i suoi fedeli sudditi, ed ognuno che riputato era alla M. V. attaccato, dovea tenere una condotta molto cauta e circospetta.

La forma del Comitato misto in Parlamento era tale, che rendea nulla la Camera dei Pari, e ligia al volere di quella dei Comuni, come in varie congiunture si conobbe: che non ostante il dichiarato dissenso della prima, tanto nella seduta dell’intiera Camera, quanto di tutti i suoi membri nel Comitato misto, il volere di un solo, cioò del Presidente della Camera dei Comuni, decidea le più importanti e positive materie, che somma influenza avevano nello andamento del corso della rivoluzione; e moltissima ne ebbero nello sviluppo della stessa, in cui si ottenne nulla di bene, che anzi molte dispiacevoli conseguenze.

Il giorno 18 aprile 1848, dopo lunga seduta parlamentaria, che era terminata alle ore 22, fummo inaspettatamente dopo pochi momenti che rifiniti eravamo tornati alle nostre case, chiamati nuovamente, e colla massima premura chiamati in Parlamento.

La ignoranza dell’oggetto per cui si chiamava, l’ora e la premura con cui fummo appellati, non ostante essere già sera, non ci fece mettere in dubbio di dovere andare. Ma che, o Sire? Cominciava dalle strade che conducono a S. Francesco, luogo delle sedute parlamentarie, a conoscersi che affare di sommo rilievo si doveva trattare, e nel quale molti prendevan parte.

Nello entrare e nel salire in Parlamento la folla delle persone era significante, e l’affluenza nelle ringhiere era della massima imponenza. Fin qui tutto destava grave timore, ma sì era nell’ignoranza dell’oggetto della nostra straordinaria riunione accompagnata da sì imponente spettacolo.

Poco dopo venne un messaggio della Camera dei Comuni, recando la deliberazione di quella Camera sulla Decadenza.

Allo avviso dello stesso gli animi nostri, intimiditi di già vi si resero di più; scorgendo la importanza dell’oggetto ed il momento in cui dovea discutersi con una. forza imponente che mostrando l’unità del suo pensiero toglieva l’adito a qualunque osservazione, che in omaggio alla M. V. ed alla regolarità si avesse voluto fare e ancor nel senso della patria stessa.

[p. 9 modifica]Tolto il libero arbitrio, in opposizione a quella libertà che come oggetto della rivoluzione si era proclamata, non era ad alcun permesso di fare delle osservazioni che nella sua coscienza avesse voluto fare anche per patrio bene. È principio inconcusso che ove non vi è libertà di volere, non vi è imputabilità.

Nostra opinione è stata, e sarà sempre di volere essere governati da V. M. (D. G.) e sua Dinastia.

Se ogni Siciliano, qualunque fosse stata la sua condotta politica, e anche privata, durante la Rivoluzione, dorme tranquillo all’ombra di quella generalissima Amnistia dalla clemenza della M. V. accordata, sicurissimi gl’infrascritti dei loro principii, non resta loro altro a sperare che la M. V. si degni allontanare dal suo benigno cuore qualunque sinistra idea sul loro conto, per essere stati necessitati a dare consentimento a degli atti senza loro libero arbitrio, e che voglia degnarsi reputarli quali sempre si vantano di essere.

Palermo, 12 novembre 1849.


Umilissimi e devotissimi sudditi


Giuseppe Lanza, Principe di Trabia. Non intervenni nella seduta del 13 aprile 1848, ma in quella dell’indomani 14, quando erano firmati tutti che erano intervenuti nel giorno precedente; le ringhiere, gli aditi, le scale erano piene zeppe di gente; intesi delle proposizioni tali che, reluttante il mio animo, fui astretto a sottoscrivere mio malgrado.

Ciandro Epifanio M. Turrisi, Vescovo di Flaviopoli. Non intervenne la sera del 13 aprile alla votazione della Decadenza; fu obbligato a sottoscriverla dopo un bimestre.

Giulio Maria Tommasi, Duca di Palma.

Francesco di Paola Gravina, Pricipe di Palagonia.

Ippolito Papè Cassinese, Abate della Maddalena di Messina.

Padre Abate D. Paolo Vagliasindi Basiliano.

Baroncello Francesco Vagliasindi.

Pietro Riso, Barone di Colobria. Nominato Pari elettivo dopo il 13 aprile 1848, fu obbligato a segnar posteriormente l’Atto di Decadenza.

Alessandro Alliata. Comunque eletto Pari dopo il 13 aprile, pure gli fu forza segnare dopo l’Atto di Decadenza.

Stefano Bonelli Pari, eletto dopo il giorno 18 aprile 1848, obbligato ad aderirvi.

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Angelo Filippone, già Vescovo di Nardò, si astenne di recarsi in seduta quando ebbe luogo il Decreto; però fu poi necessitato di apporvi la firma.

Mariano Abbate e La Grua, Marchese di Lungarini. Col nome proprio, e quale speciale procuratore del signor D. Pietro Settimo, Marchese di Giarratana, Principe di Fitalia.

Alessio Santo Stefano, Marchese della Cerda.

Vincenzo La Via, Barone di Ficilino. Eletto Pari dopo il giorno 18 aprile 1848, obbligato ad aderire.

Parroco Ruaegrerro D’Angelo.

Canonico Baldassare Palascotto.

Francesco Notarbartolo e Moncada, Duca di S. Giacomo Villarosa, e per la signora Principessa di Furnari, che rappresentava con procura.

Canonico Francesco Bagnara.

Giuseppe Pilo.

Giovan Battista Scasso, Parroco di S. Margherita.

Vinoenzo Mortillaro, Comunque eletto Pari dopo il 13 aprile, tuttavia fu obbligato alla adesione dell’atto consumato in quel giorno.

Monsignor Crispi, Abbate di S. Maria di Gala.

Canonico Salvatore Ragusa per l’Abate di S. Maria delle Giummarre.

Canonico Grovanni Cirino per la precettoria di S. Calogero di Agosta.

Sacerdote Domenico Turano.

Gaetano Starabba, Principe di Giardinelli. Sottoscrisse l’esecrando decreto per le minaccie di fatto, a cui non poteva opporsi; però trascurò la firma qual procuratore del Principe di Alcontres da Messina.

Parroco Giovanni Aleozer.

Sacerdote Girovanni De Francisci.

Sacerdote Nicolò De Carlo.

Guglielmo Raimondo Moncagna, Principe Monforte, Conte Sampieri.

Nunzio Spadafora Duca, Principe Spadafora.

Benedetto Grifeo e Gravina, Principe di Partanna tanto col nome proprio, quanto qual procuratore della Baronessa di Mulino Vecchio, contessa Grifeo Reggio.

Domenic0 Spadafora Colonna, e Principe di Moletto. Firmò la carta di adesione all’atto di Decadenza del 18 aprile 1848, malgrado che non inteso mai nelle [p. 11 modifica] sedute, e perchè preso da timore per un articolo scritto contro di lui nel giornale l’Indipendenza e la Lega. Più segna presente qual procuratore della Principessa di Belvedere.

Francesco Marletta, Chiamato alla Camera dei Pari, come Pari temporale elettivo dopo molti giorni del 183 aprile 1848, fui negativo alla iniqua votazione della Decadenza, e non sottoscrissi.

Sac. Mario Turrisi. Nella qualità di Pari elettivo non solo non firmai l’Atto ingiusto del 13 aprile, ma lo disapprovo e lo detesto.

Sac. Antonio Cori. Nella qualità di Pari elettivo non solo non firmai l’Atto ingiusto del 183 aprile, ma lo disapprovo e lo detesto.

Salvadore Viso.

Francesco Abate Salvo. Non intervenne allo ex-Parlamento, ma per la imponenza di quei tempi fu rappresentato dal Principe di Lampedusa: disdice colla sua firma in ogni miglior modo l’Atto nefando di Decadenza, che il suo procuratore senza mandato di sorta potò firmare nel 18 aprile 1848.

Mons. D. Visconte M. Proto cassinese, Vescovo di Cefalù. Dichiaro di aver sottoscritto il nefando atto spaventato dalle minacce di vita; però non intesi aderire.

Antonio Scuderi, qual procuratore speciale del parroco D. Gaetano Messina giusta il brevetto del 9 marzo 1850 in not. Buscemi di Messina.

Antonino De Spucches Brancoli, Duca di Caccamo, qual procuratore speciale del Marchese della Sambuca, come per procura del 6 febbraio 1850 data in Napoli e riconosciuta dal notaro D. Ferdinando Cacace.

Sac. Luigi Ventura. Soscrivo per dichiarare che nella seduta del 18 aprile 1848 non vi fa libertà nè nella discussione, nè nella votazione, e quindi il Decreto, di cui sopra è parola, è per me irrito e nullo.


SACRA REAL MAESTA.


Signore,

Penetrati dalla immensa responsabilità che sul capo dei colpevoli autori ha rovesciato l’improvvido e fatale Decreto di Decadenza proferito la notte del 18 aprile 1848, trepidi del severo [p. 12 modifica]giudizio della storia, che sino alla più tarda posterità ne spingerà l’orrore e l’esacrazione, noi qui sottoscritti ex Deputati della Camera dei Comuni sentiamo il dovere di umiliare ai piedi del real Trono la più formale dichiarazione, che in nessuna guisa concorse il nostro libero arbitrio ad un atto imposto alla maggioranza della Camera dalle mwre segrete, e dalla violenza di un pugno di demagoghi che nel silenzio e nel mistero ne ordirono l’infame disegno.

Noi non volemmo, poichè eccedeva i limiti del mandato ricevuto dagli elettori. Non volemmo, poichè non era desso il voto della nazione di cui eravamo gli interpetri. Il popolo attonito seppe e tollerò la gravità di questo politico misfatto, quando la fazione che lo avea strappato alle Camere, la bandiva quale suprema necessità di Potenze proteggitrici.

Noi non volemmo da ultimo, perchè moderati per principii e per condotta, e solleciti del vero bene del paese rifuggivamo dal frapporre un abisso tra il Trono e i sudditi, dal rendere impossibile qualsiasi pacifico scioglimento.

Questa solenne manifestazione che il solo grido della coscienza ci detta, mentre servirà a giustificare la nostra condotta in faccia all’intera Sicilia, speriamo possa venire accolta dalla clemenza della M. V. cui Iddio ha affidato i destini e lo avvenire dell’Isola, quale irrefragabile argomento di nostra fedele sudditanza, e sincera devozione.

Giuseppe Pinelli.
Fortunato Jannelli.
Pasquale Maimone.
Giuseppe Galici Galletti.
Mercurio Ciminna.
Vincenzo Grimaldi.
Barone Francesco Ventura.
Giuseppe Arone di Bertolino.
Giovan Calogero Nicosia.
Giuseppe Randazzo.
Francesco Paolo Orlando.
Giuseppe Bonfiglio
Tommaso Glorioso.
Vincenzo Calcagno.
Vincenzo Grimaldi, Barone Calamezzana.
Giacinto Agnello.
Federico Lancia, Duchino di Brolo.
Emanuele Cammarata.
Giuseppe Tebaldi.
Paolo Barile, Barone Furolifi.

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Sacerdote Onofrio Tagliavia, Canonico e Parroco della Cattedrale di Monreale.

Gaetano Picone.

Nicola Zito, Arciprete di Chiusa.

Giuseppe De Spucches Ruffo, Principe di Galati.

Prete Giacomo M. Meli, dell’Oratorio di Palermo.

Barone di Canalotto, Cav. Giovanni Calafati.

Angelo Marrocco. Avendo nella tornata del 18 aprile cercato di distogliere la Camera dal decretare la proposta di Decadenza, soscrive non per confermare le cose sopra allegate, ma per attestare solamente il suo costante rispetto a V. M. e Dinastia.

Pietro Riso Barone di Colobria.

Giovanni Bruno.

Vincenzo Spanò.

Giuseppe Pucci, Barone di S. Giuliano. Mi sottoscrivo abbenchè assente dalla Camera il giorno 18 aprile avendo firmato venti giorni dopo l’Atto di Decadenza, giusta come dichiarai con mia supplica presentata a S. E. il 12 novembre.

Placido Notarbartolo.

Giovanni Siracusa.

Giovanni Girolamo Gagliardo, 9° barone di Carpinello.

Canonico Giuseppe Parroco Virgilio.

Arciprete Francesco Canonico Avila. Mi soscrivo con tutta l’effusione del mio cuore, e nella mia coscienza anche giuro innanzi a Dio, ed innanzi il mio adorato Padre e Sovrano che il Signore conservi felicissimo con la Real Susa Dinastia, e lunghissimi anni sempre prosperi e lieti.

Michele Sortino, Arciprete di Sciacca.

Giuseppe B. Brago, Deputato del distretto di Girgenti.

Canonico Giuseppe De Castro da Girgenti.

Giuseppe Serroi.

Giuseppe Ferruggia.

Gaetano Lo Bue. Mi soscrivo perchè estorto il mio consenso; tanto ciò vero che non soscrissi l’elezione del nuovo Principe, ed abbandonata in segno la rappresentanza, fui dichiarato dimissionario della Camera.

Nicolò Bara.

Barone Salvatore La Lumia.

Beneficiale Calogero Curto. Umilio con tutta la possibile devozione al Trono della Maestà del nostro [p. 14 modifica]pietoso Monarca (D. G.) di essere stato obbligato ad accettare la rappresentanza del Comune di Ravanusa mia patria dopo di essermi negato per parte del Comitato in detta mia comune istallatosi, e finalmente dopo quattro mesi di essere stato a mio malincuore spettatore delle scelleratezze e prepotenze di pochi demagoghi che sfortunatamente reggevano per allora i destini di questo Regno, abbandonai Palermo, e fui dichiarato dimissionario volontario, ed altri invece mia eletto.

Vincenzo Di Tiglia, Barone di Grianano. Dichiaro che allorquando firmai l’Atto di Decadenza fu per semplice errore d’intelletto, e mai per prevaricazione d’animo.

Achille Paternò, Marchesino Spedalotto, qual procurator di mio Sig. Padre Marchese di Spedalotto, come per procura privata del 21 dicembre 1849 data in Malta.

Giuseppe Gage. Dichiaro che il sopra indicato Atto del 13 aprile fu proclamato alla mia insaputa e a sorpresa in modo da non potersi dar luogo discussione alcuna: perciò non vi prestai giammai sentito il libero consenso. Questa dichiarazione è un omaggio alla verità, alla M. V. (D. G.) e Dinastia.

Giuseppe Mantegna.

Francesco Accordino. Nel soscrivere l’Atto in parola non fo che appagare i miei desideri, poichè io non amava di farsi alcuna novità per la Dinastia Borbonica, sì che ebbi la fermezza di proporre in uno dei miei scritti pubblicati per le stampe che fosse sostenuta la Dinastia regnante, e ciò il maggio 1848, tempi in cui niuno osava senza grave rischio della vita di esternare tai sentimenti di moderazione e di attaccamento al Re.

Canonico Anselmo Gatto.

Francesco Marletta qual Deputato distrettuale nella Camera dei comuni eletto da Catania. Non sottoscrissi l’iniquo decreto della tenebrosa sera del 18 aprile per la Decadenza.

Giuseppe Catalano. Dichiaro che l’Atto di Decadenza del 13 aprile 1848 avvenne con mia sorpresa, e mio malgrado, e lo ritratto pienamente.

Francesco Gravina, Detesto e disdico l’infame Atto della Decadenza firmato colla forza mentre in cuore [p. 15 modifica]stava la gloria del nostro augusto Re e Padre Ferdinando e sua Real Dinastia.

Giovan Battista Callerame. Dichiaro che la sola violenza del tempo m’indusse ad esser Deputato, ma per mio intimo sentimento non già, poichè ho rispettato le leggi e la reggenza dello augusto nostro Sovrano. Aggiungo che detesto e disdico l’Atto infame uella Decadenza.

Benedetto Privitera. Dichiaro che io nell’Atto 13 aprile apposi una semplice firma di concorso sensa la mia volontà per le imperiose circostanze in cui in quel momento mi trovai.

Paaolino Riolo Parroco. Disdico l’infame atto della decadenza che sottoscrissi per le circostanze infauste dei tempi, e colla forza.

Decano Rosario D. Castro, ex Deputato della Comune di Biancavilla. Spontaneamente confesso ed innanzi Dio giuro che l’esacrando Atto da me firmato il 18 aprile nella Camera dei Rappresentanti è stato estorto dalla forza, che per timore di non perdere la vita firmai: ma giuro che ho tenuto sempre nel mio cuore, mio legittimo Sovrano Ferdinando II, e prego Dio per le sua eterna conservazione.

Franoesco Pisani Ciancio. Disdico l’infame Atto della Decadenza, che qual Deputato firmai contro la mia volontà, e per l’impero della forza di allora.

Pietro Dilettoso. Disdico l’infame Atto della Decadenza, che qual Deputato firmai contro la mia volontà per l’impero della forza di quei tempi.

Francesco Scriffignani Alberti. Dichiaro di aver firmato l’infame Atto della Decadenza per la forze che mi atterriva, ma lo detesto e lo disdico.

Antonino Vecchio Majsrana, Dichiaro che nello avere apposto la firma all’Atto del 13 aprile vi venni indotto dal timore; sicchè ritratto e disdico quell’insussistente ed infame scritto.


Giovanni Vaina. Dichiaro nulla la mia firma nell’Atto del 18 aprile avvenuta per effetto di quelle imperiose circostanze, e quindi ritratto e disdico quanto in quell’infame Atto si contiene.

Domenico Gamagano Barbagallo. Dichiaro insussistente e nulla la mia firma apposta nell’infame Atto del 183 aprile 1848, e fu solamente cagionata dalla violenza e da quelle infauste circostanze.

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Corrado Pintaur. Ritratto e detesto l’ingiusto Atto del 13 aprile, che firmai costretto dalla forza.

Lronaardo Vico Fuccio. Fui sempre avverso all’illegale nefando Atto del 13 aprile 1848, pur lo firmai perchè era inevitabile in quel tempo e in quel giorno.

Ignazio Romeo. Fui nel caso e della opinione stessa del precedente sig. Vigo.

Mariano La Rosa. Dichiaro che la mia firma dell’Atto del 18 aprile fu effetto della violenza e della condiscendenza dei tempi, ma che io fin d’allora lo riprovai e riprovo.

Leonardo Viao Calanna. Io mi opposi quanto potei all’atto del 13 aprile.

Salvatore Majorana. Dichiaro che apposi la mia firma all’Atto del 13 aprile attese le circostanze di allora, e contro al mio sentire e senza la mia volontà.

Alessandro D. Coniglio. Dichiaro che firmai l’Atto del 13 aprile senza concorso della mia volontà, e solo per essere stati i Deputati presi alla spensierata, e senza farvi alcuna riflessione.

Pompeo Interlandi, Principe di Bellaprima. Dichiaro che l’Atto di Decadenza del 18 aprile 1848 da me sottoscritto è quell’Atto esacrando, che io ho detestato e detesto, e che firmai per la violenza di uomini che imponevano colle armi, e contro i sentimenti del mio cuore che sentiva immensi rispetti per la regnante Dinastia.

Giuseppe Trigona, Marchese di Canicarao. Dichiaro con tutta la serenità della mia coscienza che nel firmare il tatale Atto del 13 aprile 1848, non vi fu il concorso della mia volontà, mu vi addivenni solo per ‘ salvare la vita, come condiscesi a tanti altri atti, cui ripugnava il mio cuore per cedere alla forza brutale che dominava in quei tristissimi tempi.

Pietro D. Zuccaro. Mi uniformo alla superiore dichiarazione in tutto e per tutto.

Innocenzo Fronte. Dichiaro io sottoscritto che il Decreto del 13 aprile 1848 fu da me sottoscritto per non farmi segno alla opinione esaltata della universalità.

Raffaele Muccio.

Salvadore Cantarelli.

Corrado Arezzo De Spucches, Barone di Donnafugata. Dichiaro di avere con sorpresa e a malincuore firmato [p. 17 modifica] lo sciagurato Atto del 13 aprile come superiore al mandato datemi dagli elettori, contrario ai miei particolari sentimenti.

Giuseppe Schirinà, Barone di S. Filippo.

Giusepppe De Leva Gravina.

Salvatore Vaccaro. Non per sentir proprio ma perchè obbligato a sorpresa dall’imponente illegittima forza, fui costretto mio malgrado a firmare il nefando Atto del 18 aprile 1848.

Mario Cultrera Ascenso.

Gesualdo M. Libertini.

Silvio Bonanno Chiaramonte, Principe di Linguaglossa.

PaoLo Barone Nicastro.

Giovanni D’Ipppolito Ciappino.

Pietro Trigona e Stella, Principe di Calvaruso.

Giuseppe Vizzini. Ritratto la soscrizione all’Atto del 13 aprile 1848; a cui il luogo ed il tempo obbligavano non mica il convincimento che animo pacato richiede e non fuoco d’entusiasmo.

Franoesco Salvo, qual procuratore speciale del D. Carmelo Greco giusta la procura in brevetto del 20 gennaio 1850 in notar Cardinale di S. Marco.

Sacerdote D. Francesco Giambalvo, qual procuratore speciale del Canonico D. Antonio Piattini come per brevetto del 3 dicembre 1849 in notar Cacioppo da Memfi.

Claudio Arezzi qual procuratore speciale del Barone D. Placido Citelli in virtù di procura del 18 dicembre 1849.

Giuseppe Pinelli, qual procuratore speciale di D. Giuseppe Vita, come per procura in brevetto del 4 marzo 1850, in notar Raguta da Caltabellotta.

Paolo Ortolani, Barone di Bordonaro. Formalmente dichiaro, prostrato dinanzi al real Trono, che la mia firma nella qualità di Deputato alla Camera dei Comuni apposta all’insussistente Atto del 18 aprile riguardante la decadenza dell’Augusta Dinastia Borbonica, essere stata estorta dalla imponenza dal timore nè mai consentita dai miei naturali principî di attaccamento leale alla Corona, ed alla detta Dinastia legittimamente regnante.

Placido Arezzi, qual procuratore afacinle di D. Antonino M. Bellone giusta la procura del 13 marzo la di [p. 18 modifica] cui firma è riconosciuta da notar Patrizio Simili da Mineo.

Baronello Francesco Polizzi. Mi soscrivo in nome e parte del sedicente deputato di Calascibetta cav. D. Mariano Corvaja, giusta la procura speciale del 12 marzo 1850 per lettera.

Guglielmo Capozzo, qual procuratore speciale del sig. Basilio Carella ex deputato di Leonforte come per procura 18 marzo 1850.

Filippo Fazello, qual procuratore speciale del Canonico Vincenzo Stajaro come per procura 16 marzo 1850.

Claudio Arezzi, qual procuratore speciale del sig. D. Giuseppe Albergo, come per procura in brevetto 10 marzo 1850.

Antonino Canzano, qual procuratore speciale del sig. D. Giambattista Lombardo in virtù di procura in brevetto dol 18 marzo 1850.

D. Giuseppe Bandiera, qual procuratore speciale del sig. D. Pietro Federigo, come per procura in brevetto 4 aprile 1850 in notar De Lisi da Messina.

Gaetano Mastro-Giovanni Tasca. Dichiaro che nella seduta del 13 aprile 1848 non vi fu libertà nè nella discussione nè nella votazione; che perciò non ebbi la facoltà di astenermi dal votare, nè di votare in contrario senso.

Ignazio Vasari.

Gaetano Zappulla, qual procuratore speciale del dott. D. Francesco Calamajo, giusto il brevetto del 4 aprile 1850 inno tra Carmelo Lanzara di Francofonti.