La madre (Deledda)/Capitolo 14

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Capitolo 14

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Era tornato altre volte da lei; ma dopo ricevuti gli ordini e pronunziato il voto di castità non aveva più avvicinato donne. I suoi sensi s’erano come irrigiditi nella corazza gelida del suo voto: quando sentiva raccontare storie scandalose di altri preti provava orgoglio a sentirsi puro, e ricordava la sua avventura con la donna del vicolo come una malattia di cui era completamente guarito.

Gli sembrava, nei primi anni passati nel paesetto, di aver già vissuto tutta la sua vita; di aver conosciuto tutto, la miseria, l’umiliazione, l’amore, il piacere, il peccato, l’espiazione: di essersi ritirato dal mondo come i vecchi eremiti, e di aspettare solo il regno di Dio.

Ed ecco d’un tratto la vita terrena gli era riapparsa negli occhi di una donna: [p. 76 modifica]ed egli in principio s’era talmente ingannato da scambiarla con la vita eterna.

Amare, essere amato; non era questo il regno di Dio sulla terra? E il suo petto si gonfiava ancora al ricordo. Perchè tutto questo, o Signore? perchè tanta cecità? Dove cercare la luce? Era ignorante; e sapeva di esserlo; la sua coltura era fatta di frammenti di libri dei quali non intendeva intero lo spirito: la Bibbia sopratutto lo aveva plasmato col suo romanticismo e il suo verismo d’altri tempi: quindi non si fidava neppure di sè stesso, delle sue ricerche interiori: sapeva di non conoscersi, di non essere padrone di sè stesso; d’ingannarsi, d’ingannarsi sempre.

Gli avevano fatto sbagliare strada. Era l’uomo degli istinti, lui, come i suoi padri mugnai o pastori; e poichè non poteva abbandonarsi all’istinto soffriva. Ecco che ritornava alla prima diagnosi del suo male, alla più semplice e giusta: soffriva perchè era uomo, perchè aveva bisogno della donna, del piacere, di generare altri esseri: soffriva perchè lo scopo naturale [p. 77 modifica]della vita è di proseguire la vita, e a lui lo impedivano, e questo impedimento aumentava lo stimolo del suo bisogno.

Ma poi ricordava che il piacere gli lasciava, dopo goduto, disgusto e angoscia. Che era dunque? No, non era la carne che chiedeva di vivere; bensì l’anima che si sentiva chiusa nella carne e voleva liberarsi dalla sua prigione: nei momenti dell'ebbrezza suprema di amore era l’anima che fuggiva in un rapido volo, per ricadere tosto nella sua gabbia: ma le bastava quell’attimo di liberazione per intravedere il luogo dove sarebbe volata alla fine della sua prigionia, quando la muraglia della carne crollerebbe per sempre: luogo di gioia infinita, l’infinito.

Infine sorrise, triste e stanco: dove aveva letto tutte queste cose? Certo, le aveva lette: non pretendeva di pensare cose nuove. Che importa? La verità è sempre stata la stessa, eguale entro tutti gli uomini come è eguale il loro cuore.

Egli si era creduto diverso dagli altri uomini, in esilio volontario, degno di star [p. 78 modifica]vicino a Dio. Dio forse lo castigava per questo; lo rimandava fra gli uomini, nella comunità della passione e del dolore. Bisognava sollevarsi e camminare.