La maestrina degli operai/XV

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XIV XVI


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XV.


Insomma, è domato! — disse in cuor suo la maestra. Non aveva più da temere nè insulti nè violenze, poteva girar tranquillamente per il paese, era libera, era contenta, ed anche un poco altera dell’opera sua. E con questi pensieri non titubò un momento a uscir di casa sola il giorno dopo, sull’imbrunire, quando venne un ragazzo con le chiavi del quartierino della maestra Latti e con un biglietto, scritto a matita, col quale la sua amica la pregava di prender nella camera certi medicinali e di portarglieli in paese, in casa del fornaio, dove s’era ricoverata, essendole [p. 147 modifica]preso male per la strada. Ella si ficcò in tasca le boccette, si mise il cappellino e il mantello, e se n’andò a passi lesti, sotto una neve che veniva giù a larghe falde, e aveva già imbiancato ogni cosa. Trovò la maestra Latti distesa sopra un sofà, assistita dalla moglie del fornaio e dalle sue figliuole, che sorridevano a fior di labbra.

— Ah Enrica! — esclamò quella, tendendole languidamente la mano. — Ti vedo ancora!

Il suo viso, però, non giustificava la tristezza mortale di quel saluto. Avendo mal di capo, ed essendo scivolata per la strada per aver messo un piede in fallo, essa credeva d’esser caduta per una portata di sangue al cervello, con la quale le si fossero [p. 148 modifica]scatenati addosso, cogliendo l’occasione, tutti gli altri suoi mali. Trasportata su, s’era indispettita col medico — un grosso biondo burlone — che, per tutta cura, le aveva consigliata l’aria di Massaua, e poi era ricaduta in un grande abbattimento.... — Va, — disse con voce fioca alla Varetti, dopo aver inghiottito in furia le medicine, — non ho più bisogno di te. Questa buona gente mi porterà a casa più tardi... viva o morta.

Quando la Varetti, nascondendo un sorriso, s’accomiatò da lei, era quasi notte. Continuava a nevicare. Sul viale c’era già un palmo di neve. Ella indugiò un momento prima d’entrarvi, poi affrettò il passo. I due lampioni del gas, velati dalla nevicata, rompevano appena l’oscurità con due dischi [p. 149 modifica]di luce pallida; lo strepito delle macchine degli opifici vicini arrivava là affiochito, come se uscisse di sotterra, e il suon dell’incudine del fabbro ferraio, ch’era all’entrata del paese, pareva che venisse da una gran lontananza.

Arrivata a un terzo del viale, parve alle maestra di veder muovere un’ombra dietro a un albero; si soffermò, col respiro oppresso; poi si fece animo e prese la corsa.

A due passi dall’albero le si parò davanti il Muroni.

Ella stava per gittare un grido, ma lo rattenne, vedendo ch’egli si levava il cappello.

— Ancora lei! — esclamò, sdegnata. — Cosa vuole?... Mi lasci passare.

Quegli rispose con la sua voce rauca, ma in tuono rispettoso:

[p. 150 modifica] — C’è la neve, io le faccio la strada.... se permette.

— Non voglio! — rispose la maestra. — Si faccia in là, o grido aiuto.

— Perchè? — domandò lui, a voce bassa. — Mi crede proprio.... Crede che non abbia anch’io un po’ di cuore?... Non ha mica da lamentarsi di me, da un po’ di giorni.

E senza darle tempo a rispondere, saltò a cinque passi davanti a lei, e si mise in cammino verso la scuola, col corpo chino, strisciando rapidamente i piedi l’uno stretto all’altro, per aprirle un sentiero in mezzo alla neve.

La maestra, rassicurata un po’, gli tenne dietro per un tratto, senza perderlo d’occhio; ma poi, ripresa da una paura improvvisa, slanciandosi [p. 151 modifica]avanti per fuggire, in un momento ch’egli rallentava il passo, l’urtò col ginocchio. Quegli perdette i lumi, e mettendo un ah! soffocato, voltatosi bruscamente, l’afferrò a due mani per la vita e cercò il suo viso con la bocca.

La maestra si dibattè furiosamente sotto il suo alito acceso, che sentiva l’acquavite e la pipa.

— Mi dia un bacio, — disse lui, con voce arrantolata, — un bacio e la lascio andare.... un bacio e la lascio andare....

Dicendo questo, furioso, le levò le mani dalla vita per afferrarle il capo; essa gli sfuggì dalle braccia con un guizzo e si diede a correre disperatamente verso la scuola gridando: — Aiuto! Aiuto! — ma con voce [p. 152 modifica]così fioca, che nessuno l’avrebbe intesa. Egli la inseguì, anelando, pronunciando parole incomprensibili, con voce sibilante. Nel terrore che la levava di senno, le parve di sentir dire: — Ca scüsa! ca scüsa! — (Mi scusi, mi scusi). Poi non udì più nulla, nemmeno il suo passo.

Arrivò trafelata alla scuola, entrò barcollando nel corridoio, e incontrando la bidella col lume, si lasciò andare con la spalla al muro, smorta, quasi svenuta.

— Cosa c’è? — domandò la donna, spaventata.

— Un ladro! — rispose lei.

Il cantoniere accorse. — Un ladro? un ladro? — E, afferrato un randello, si slanciò fuori, attraversò il cortile.... e sprangò l’uscio.