La scienza moderna e l'anarchia/Parte prima/XI

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L'Anarchia (continuazione)

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L'Anarchia (continuazione)
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LE IDEE SOCIALISTE NELL'INTERNAZIONALE.COMUNISTI AUTORITARII E MUTUALISTI.

Abbiamo visto lo sviluppo dell'idea anarchica, dalla Rivoluzione francese e Godwin fino a Proudhon. I suoi sviluppi ulteriori si sono compiuti nella grande Associazione Internazionale dei Lavoratori, che ha ispirato tanta speranza agli operai e tanto terrore ai borghesi negli anni 1868-1870, proprio alla vigilia della guerra franco-tedesca.

Che questa Associazione non fu fondata da Marx, come pretendono i marxisti, è un fatto evidente. Essa fu il risultato dell'incontro, nel 1862, a Londra, di una delegazione di operai francesi recatisi a visitare la seconda Esposizione Universale, e di rappresentanti delle Unioni inglesi di mestiere (Trade Unions), ai quali s'unirono alcuni radicali inglesi per ricevere quella delegazione. I legami stabiliti al tempo di questa visita furono maggiormente stretti nel 1863, in occasione di un comizio di simpatia per la Polonia, e l'Associazione fu formata definitivamente l'anno dopo1.

Già nel 1830, Roberto Owen aveva tentato di organizzare un'«Unione Internazionale di tutti i Mestieri», nel medesimo tempo che si fondava la Grande Unione Nazionale dei Mestieri (The Great National Trades' Union).

Ma presto l'idea dovette esserne abbandonata, in seguito alle persecuzioni selvagge cominciate dal governo inglese contro l'Unione Nazionale. Essa però non andò perduta. Covava sotto le ceneri in Inghilterra, trovava dei seguaci in Francia, e, dopo la disfatta della Rivoluzione del 1848, veniva portata dai profughi francesi negli Stati Uniti e propagata laggiù in un giornale, L'Internationale.

Nel 1862, gli operai francesi recatisi a Londra erano sopratutto dei mutualisti proudhoniani, mentre i tradeunionisti inglesi appartenevano quasi tutti alla scuola di Roberto Owen. L'«owenismo» inglese dette la mano al «mutualismo» francese – e il risultato fu la creazione di una forte organizzazione internazionale operaia, per combattere i padroni sul terreno economico e romperla, una volta per sempre, con tutti i partiti radicali, puramente politici2.

In Marx e in altri, quest'unione delle due principali correnti operaie socialiste dell'epoca trovò l'appoggio degli avanzi dell'organizzazione politica segreta dei comunisti, che rappresentavano ciò che era ancora rimasto delle associazioni segrete di Barbès e di Blanqui, le quali, al pari delle società segrete comuniste tedesche, avevano la loro origine nella cospirazione di Babeuf.

* * *

Il lettore ha visto nel precedente capitolo V, come gli anni 1856-1862 fossero segnati da un ammirabile sviluppo delle scienze naturali e della filosofia. Furono altresì gli anni durante i quali si ebbe un risveglio quasi generale delle idee radicali in Europa ed in America. Questi due movimenti risvegliano pure le masse dei lavoratori, che incominciavano a comprendere come il cómpito di preparare la rivoluzione proletaria incombesse ai lavoratori stessi. L'Esposizione Internazionale del 1862 era rappresentata come una grande festa dell'industria mondiale, che sarebbe divenuta un nuovo punto di partenza nelle lotte del Lavoro per la sua emancipazione; e intanto, l'Associazione Internazionale, annunciando altamente la sua rottura con tutti i vecchi partiti politici e la risoluzione degli operai di lavorare direttamente alla propria emancipazione, doveva necessariamente produrre una profonda impressione.

L'Internazionale incominciò a diffondersi rapidamente nei paesi latini. La sua forza di combattività divenne bentosto minacciosa, e quanto alle idee, i congressi delle sue Federazioni e i congressi annuali dell'Associazione intera offrivano l'occasione di discutere in che dovrebbe consistere e come potrebbe effettuarsi la rivoluzione sociale. Stimolavano altresì la forza creatrice delle masse laboriose nella ricerca di nuove forme d'aggruppamento per la produzione, il consumo e lo scambio.

Dappertutto si aspettava che una grande rivoluzione europea scoppiasse ben presto. Ciò non ostante non v'era alcuna idea un po' precisa riguardo alle forme politiche che la rivoluzione potrebbe prendere, nè sui primi passi che avrebbe da fare. Al contrario, parecchie correnti opposte del socialismo s'incontravano e s'urtavano in seno all'Internazionale.

L'idea dominante dell'Associazione era la lotta diretta del Lavoro contro il Capitale sul terreno economico – vale a dire l'emancipazione del Lavoro, per mezzo non di una legislazione accordata dalla borghesia, ma dei lavoratori stessi, che a forza di strappare delle concessioni ai padroni, li costringerebbero un giorno a capitolare definitivamente.

Ma come poteva compiersi l'affrancamento dei lavoratori dal giogo capitalista? Quale forma potrebbe prendere la nuova organizzazione della produzione e dello scambio? Su questi punti i socialisti erano tanto divisi negli anni 1864-1870 quanto lo erano stati vent'anni prima, allorchè i rappresentanti delle diverse scuole socialiste si erano incontrati nell'Assemblea Costituente della Repubblica, che sedeva a Parigi nel 1848.

Come i loro predecessori francesi del 1848, le cui aspirazioni diverse sono state così ben riassunte da Considérant, nel suo libro Il Socialismo davanti al Vecchio Mondo, i socialisti dell'Internazionale non si schieravano tutti sotto il vessillo d'una sola dottrina. Essi oscillavano tra parecchie soluzioni, di cui nessuna era ancora abbastanza giusta ed evidente per unire gli animi, sopratutto perchè anche i più avanzati non avevano ancora perduto ogni rispetto per il Capitale e l'Autorità.

Gettiamo quindi uno sguardo su queste varie correnti.

C'era, innanzi tutto, il retaggio diretto del giacobinismo della Grande Rivoluzione – della cospirazione di Babeuf – vale a dire, le società segrete dei comunisti francesi (i blanquisti) e dei comunisti tedeschi (il Kommunisten-Bund). Gli uni e gli altri vivevano nelle tradizioni del fiero giacobinismo del 1793. Si sa che nel 1848 essi sognavano di conquistare un giorno il potere politico nello Stato, in seguito ad una cospirazione e forse con l'aiuto di un dittatore, e di stabilire sul modello delle società giacobine nel 1793 (ma questa volta a vantaggio dei lavoratori), «la dittatura del proletariato». Pensavano che questa dittatura imporrebbe poi il comunismo, mediante la legislazione.

Rimanere proprietario sarebbe stato reso così difficile, per mezzo d'ogni sorta di leggi di restrizione e d'imposte, che i proprietari stessi sarebbero stati felici di sbarazzarsi delle loro proprietà e di renderle allo Stato. Allora, «degli eserciti di lavoratori» sarebbero inviati a coltivare i campi, e la produzione industriale, fatta essa pure per lo Stato, sarebbe organizzata nello stesso modo semi-militare3.

Le stesse idee erano diffuse all'epoca della fondazione dell'Internazionale, ed esse continuarono a circolare ben più tardi, in Francia fra i blanquisti, e in Germania tra i lassalliani e i social-democratici.

D'altra parte, i lavoratori della scuola di Roberto Owen erano diametralmente opposti a queste idee giacobine. Essi rifiutavano assolutamente di ricorrere alla forza del governo, e contavano sopratutto, per fare la rivoluzione e stabilire una società socialista, sull'azione delle Unioni di mestiere (delle trade unions). Gli owenisti inglesi non volevano il comunismo; ma, come i fourieristi francesi, annettevano una grande importanza ai comuni e ai gruppi liberamente costituiti e federati tra loro, che farebbero valere la terra e le officine, possedute in comune al pari dei depositi di quanto sarebbe prodotto dai loro membri. Questi lavorerebbero, sia in comune, sia isolatamente – secondo i bisogni della produzione – e la retribuzione del lavoro nel gruppo e nel comune, come pure lo scambio tra i comuni, avverrebbe in buoni di lavoro, che rappresenterebbero la quantità di ore di lavoro fatte da ciascuno per la coltura comunale e nelle fabbriche ed officine dei comuni. Oppure il comune pagherebbe le mercanzie individualmente e portate nei depositi comunali di scambio.

La stessa idea di rimunerazione in buoni di lavoro era accettata, come si è visto, da Proudhon e dai mutualisti. Essi pure ripudiavano l'intervento della forza dello Stato nella società che sorgerebbe dalla rivoluzione, e dicevano che ciò che rappresentano oggi le funzioni dello Stato in materia economica sarebbe reso inutile, tutti gli scambi operandosi a mezzo delle Banche del popolo e degli uffici di sconto (Clearing Houses); mentre l'educazione, le disposizioni sanitarie, le imprese necessarie, i mezzi di comunicazione, ecc., sarebbero devoluti ai comuni indipendenti.

Sempre la stessa idea dei buoni di lavoro, sostituiti al denaro per tutti gli scambi, ma accompagnata dall'idea dello Stato divenuto proprietario di tutto il suolo, delle miniere, delle ferrovie e delle officine, era stata propagata nel 1848 da due scrittori importanti (ostinatamente ignorati oggi dai socialisti), Pecqueur e Vidal, che davano al loro sistema il nome di Collettivismo. Vidal fu il segretario della Commissione del Lussemburgo, e Pecqueur scrisse in quell'epoca tutto un trattato su questo soggetto. Egli vi sviluppò minutamente il suo sistema – anche in forma di leggi, che sarebbero state sufficienti, secondo lui, se votate dall'Assemblea, per compiere la rivoluzione sociale.

Al tempo della fondazione dell'Internazionale i nomi di Vidal e Pecqueur parevano interamente dimenticati anche dai loro contemporanei, ma le loro idee erano assai diffuse e furono ben presto propagate, come una nuova scoperta, sotto il nome di «Socialismo scientifico», di «Marxismo» e di «Collettivismo».

LE IDEE SOCIALISTE NELL'INTERNAZIONALE.IL SANSIMONISMO.

Accanto alle diverse scuole socialiste, menzionate precedentemente, v'erano pure le idee della scuola di Saint-Simon, che dopo avere appassionate le menti prima del 1848, esercitavano ancora una profonda influenza sulle concezioni socialiste dei membri dell'Internazionale.

Un gran numero di scrittori brillanti e di pensatori, di uomini politici, di storici e d'industriali erano cresciuti dal 1830 al 1850 sotto l'influenza della dottrina di Saint-Simon. Basterà citare qui Augusto Comte nella filosofia, Agostino Thierry tra gli storici, e Sismondi tra gli economisti. Tutti i riformatori sociali del tempo avevano subito l'influenza di questa scuola.

Il progresso compiuto nell'umanità, dicevano essi, è consentito finora nella trasformazione della schiavitù in servaggio, e nel servaggio in salariato. Ma il tempo si avvicina in cui sarà necessario di sopprimere a sua volta il salariato. E col salariato, la proprietà individuale di tutto ciò che è necessario per la produzione dovrà scomparire a sua volta. Non bisogna vedere, aggiungevano essi, in questo cambiamento qualche cosa d'impossibile, giacchè la proprietà e l'autorità hanno già subito ben altre modificazioni nella storia. Nuove modificazioni imponendosi oggi, esse si compiranno necessariamente.

L'abolizione della proprietà privata, dicevano i sansimoniani, potrebbe farsi poco a poco, per mezzo di una serie di misure (di cui la Grande Rivoluzione, ricordiamolo, aveva già preso l'iniziativa). Queste misure permetterebbero allo Stato di appropriarsi – per esempio, per mezzo di forti tasse sull'eredità – una parte sempre crescente di proprietà trasmesse da una generazione all'altra. L'eredità individuale andrebbe così diminuendo, e finirebbe per scomparire del tutto – giacchè i ricchi stessi s'accorgerebbero dei vantaggi che deriverebbero loro dall'abbandonare un privilegio appartenente ad una civiltà che scompare. E allora, l'abbandono volontario della proprietà da parte dei ricchi e la soppressione legale dell'eredità dovevano costituire lo Stato sansimoniano, proprietario universale delle terre e dell'industria, regolatore supremo del lavoro, e capo e direttore assoluto delle tre funzioni: l'Arte, la Scienza e l'Industria4.

Ognuno, essendo un lavoratore in uno di questi rami, sarebbe nel medesimo tempo un funzionario dello Stato sansimoniano, in cui il governo sarebbe composto d'una gerarchia degli «uomini migliori» – migliori nelle scienze, nelle arti, nelle industrie.

La distribuzione dei prodotti di questo sistema si farebbe secondo la formula: A ognuno secondo la sua capacità, a ogni capacità secondo le sue opere.

Oltre queste previsioni sull'avvenire, la scuola sansimoniana e la filosofia positiva, che ne ebbe origine, diedero nel secolo XIX un certo numero di opere storiche notevolissime, nelle quali le origini dell'autorità, della proprietà privata e dello Stato furono discusse in una maniera veramente scientifica. Queste opere conservano anche oggi tutto il loro valore.

Nello stesso tempo i sansimoniani sottomettevano a una critica severa l'economia politica della scuola cosidetta classica di Adamo Smith e di Ricardo, che fu più tardi conosciuta col nome di «Scuola di Manchester», e che propugnava «il non intervento dello Stato».

Ma, mentre così combattevano il principio dell'individualismo industriale e della concorrenza, i sansimoniani cadevano in quello stesso errore ch'essi avevano dapprima combattuto, quando criticavano lo Stato militare e le sue classi gerarchiche. Finivano per riconoscere essi pure l'onnipotenza dello Stato, e fondavano il loro sistema – come l'aveva fatto notare Considérant – sull'ineguaglianza e l'autorità, nonchè su una gerarchia di amministratori. Arrivavano persino a dare alla loro gerarchia governativa il carattere di un sacerdozio.

Così i sansimoniani differivano dai comunisti per la parte puramente individuale che attribuivano a ciascuno nella massa dei beni prodotti dalla comunità. Malgrado le opere eccellenti che parecchi di essi avevano scritto in materia di economia politica, non erano ancora giunti a concepire la produzione delle ricchezze come un fatto sociale – un fatto globale, perchè con questa concezione avrebbero forzatamente finito per comprendere che è materialmente impossibile determinare con giustizia la parte da attribuirsi a ciascuno dei produttori sull'insieme delle ricchezze prodotte.

Su questo punto, vi era una profonda differenza fra i comunisti e i sansimoniani. Ma su un altro cadevano d'accordo. Gli uni e gli altri ignoravano l'individuo, i suoi diritti e le sue aspirazioni. Tutto ciò che i comunisti gli concedevano, era il diritto di eleggersi i suoi amministratori e i suoi governanti – ciò che i sansimoniani non ammisero che a malincuore. Dapprima essi non ammettevano neppure il diritto d'elezione. Ma in comunismo come col sansimonismo, l'individuo rimaneva un funzionario dello Stato.

Con Cabet, autore del Viaggio in Icaria e fondatore d'una colonia comunista in America, il comunismo giacobino e la soppressione dell'individualità raggiungevano la loro completa espressione.

Così nel Viaggio di Cabet, ad ogni pagina fanno capolino l'autorità, lo Stato, perfin nella cucina d'ogni famiglia. Non paga di fornire una Guida del Cuoco alle massaie, la Repubblica d'Icaria decreta la lista degli alimenti approvati, li fa produrre dai suoi agricoltori e dai suoi operai, e li fa distribuire. «E siccome nessuno», dice Cabet, «può avere altri alimenti di quelli ch'essa distribuisce, puoi ben comprendere che nessuno può consumare altri alimenti di quelli ch'essa distribuisce, puoi ben comprendere che nessuno può consumare altri alimenti di quelli ch'essa approva» (Voyage en Icarie, 5a edizione, 1848, p. 52).

Il comitato arriva fino a stabilire il numero dei pasti, l'ora e la durata, la quantità dei cibi, la loro specie ed il loro ordine di servizio. In quanto agli abiti, essi sono tutti ordinati dal comitato sopra un piano modello, l'uniforme di ciascuno indicando le condizioni e la posizione di chi la porta. Gli operai, che fabbricano sempre le medesime parti, sono un reggimento, «tanto vi regnano l'ordine e la disciplina!» esclama Cabet.

Inutile dire che nessuno può pubblicare nulla senza il consenso della Repubblica, e dopo esame e autorizzazione, debitamente avuta, per essere autore.

È dubbio che l'utopia di Cabet in intiero, abbia avuto numerosi partigiani nell'Internazionale; ma il suo spirito vi esisteva. È anzi assolutamente certo (e noi lo sentivamo benissimo nelle discussioni che impegnavamo con gli autoritari, sopratutto coi comunisti tedeschi) che perfino la regolamentazione da noi citata, benchè oggi ci appaia tanto assurda, era ancora considerata come l'espressione della saggezza. Alle nostre critiche veniva risposto con queste parole di Cabet:

«Senza dubbio la comunità impone necessariamente degl'impacci e degli ostacoli; ma data la sua principale missione di produrre la ricchezza e la felicità, onde possa evitare i doppi impieghi e le perdite, economizzare e decuplare la produzione agricola ed industriale, occorre assolutamente che la società concentri, disponga e diriga tutto. Occorre ch'essa sottometta tutte le volontà e tutte le azioni alla sua regola, al suo argine, alla sua disciplina. Il buon cittadino deve financo astenersi da tutto quello che non è ordinato» (Voyage en Icarie, 5a edizione, p. 403).

E, quel che è peggio, presso gli autoritari rimaneva ancora la convinzione che, dopo tutto, come l'aveva detto Cabet, «la comunità non è più impossibile con un Monarca che con un Presidente repubblicano». È questa idea che preparò il terreno al colpo di Stato di Napoleone III e che permise, molto più tardi, ai socialisti autoritari di «lasciar fare» tanto facilmente alla reazione borghese.

* * *

Infine, noi dobbiamo pure far cenno della scuola di Louis Blanc, che contava, all'epoca della fondazione dell'Internazionale, numerosi partigiani in Francia e in Germania, dove era rappresentata da un gruppo compatto di lassalliani. Questi socialisti, non meno statali dei precedenti, ritenevano che il passaggio della proprietà industriale dalle mani del Capitale in quelle del Lavoro potrebbe effettuarsi, qualora un governo, nato da una rivoluzione e ispirato da idee socialiste, aiutasse gli operai a organizzare essi stessi, su una vasta scala, delle associazioni operaie cooperative, alle quali il governo medesimo presterebbe il capitale necessario. Queste associazioni sarebbero unite fra loro in un vasto sistema di produzione nazionale. Una retribuzione eguale per tutti vi potrebbe essere accettata come forma transitoria – lo scopo finale essendo di stabilire un giorno la retribuzione dei prodotti secondo i bisogni di ciascuno dei produttori.

Era questo – come dice benissimo Considérant – «un sansimonismo comunista», posto sotto il controllo di uno Stato democratico.

Appoggiandosi su un vasto sistema di credito nazionale, che presterebbe il danaro ad un tasso d'interesse bassissimo, tali associazioni operaie, così messe in grado di fare la concorrenza alla produzione dei capitalisti, anche perchè favorite dalle ordinazioni dello Stato, saprebbero cacciare ben presto i capitalisti dall'industria e sostituirli.

Esse saprebbero pure diffondersi nell'agricoltura. Questo scopo economico, socialista – e non già l'ideale semplicemente democratico dei politicanti borghesi – i lavoratori non dovrebbero perderlo di vista mai.

Tutte queste idee, elaborate dalla propaganda socialista prima del 1848, dalla rivoluzione di febbraio e dall'insurrezione del giugno 1848, con diverse modificazioni nei particolari, erano largamente diffuse nell'Associazione Internazionale. Le differenze di opinioni erano grandi, ma i partigiani di tutte queste scuole erano d'accordo, come abbiamo visto, nel riconoscere quale base della prossima rivoluzione, un governo forte che terrebbe nelle sue mani tutta la vita economica della nazione. Tutti s'accordavano nel riconoscere l'organizzazione accentrata e gerarchica dello Stato.

Fortunatamente, a lato di queste idee giacobine, vi erano ancora, per controbilanciarle, le idee dei fourieristi, che ora esamineremo.

  1. Trovo nel resoconto delle sedute del Consiglio dell'«Unione operaia internazionale», a Londra, il 13 e il 20 marzo 1878, le traccie d'un dibattito interessante. Eccarius, uno dei fondatori dell'Internazionale, voleva che si sopprimesse in un Appello del Consiglio una frase, che faceva risalire l'origine dell'internazionale all'Esposizione Universale del 1862, per sostituirla con queste parole: «Ispirati da questa necessità, gli operai francesi ed inglesi, uniti dalle loro simpatie per la Polonia, nel 1863, conclusero un'alleanza con scopi tanto sociali quanto politici, ed il risultato di quest'alleanza fu la fondazione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori nel settembre 1864.» Ciò che diede luogo, la settimana seguente, il 20 marzo, ad una discussione animatissima, durante la quale Jung, che aveva assistito alla fondazione dell'Internazionale ed era stato un membro attivo del suo Consiglio Generale, confermò che infatti la Associazione Internazionale dei Lavoratori ebbe origine all'Esposizione del 1862.
  2. Leggere W. Tcherkesoff: Précurseurs de l'Internationale, Bruxelles, 1899.
  3. È utile ricordare che idee consimili sull'agricoltura dello Stato, per mezzo di eserciti di lavoratori, assai diffuse in quel tempo, erano state preconizzate anche da Napoleone III – allora pretendente alla presidenza della Repubblica – in un opuscolo sull'«Estinzione del pauperismo».
  4. Vedere in Victor Considérant: Le Socialisme devant le Vieux Monde, 1848, un'eccellente esposizione delle diverse scuole.