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La scienza nuova seconda/Appendice/I - Ragionamento primo/Capitolo sesto

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I - Ragionamento primo - Capitolo sesto - Del vero che diede occasione e durata a sì fatta volgar tradizione

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[CAPITOLO SESTO]

del vero che diede occasione e durata a sí fatta
volgare tradizione

1446Ora, per la legge, che ci abbiamo proposta ed osservata per tutta quest’opera, di non disprezzar punto le volgari tradizioni, ma d’investigarne il vero che loro diede motivo di pubblicamente nascere e conservarsi, e di spiare le cagioni onde poi ci sono venute ricoverte di falso, diciamo che ’l vero, come sta dimostrato in questi libri, e nel secondo particolarmente, fu che in tal contesa non si trattò d’altro che ’l contenuto in questo capo: «Forti senate nexo soluto idem sirempse ious esto», il qual «forte sanate prosciolto dal nodo» in una preziosissima scheda del gran Fulvio Ursino si truova essere lo straniero ridutto all’ubbidienza; la qual erudizione, per gli principi che lor mancavano di questa Scienza, mal usando gli adornatori di cotal legge, han detto che per questo capo fu data la cittadinanza a’ soci latini, prima rivoltati e poi venuti di nuovo all’ubidienza de’ romani. E si hanno con troppo di errore creduto la plebe romana aver fatto tante mosse e rivolte quante la storia ne racconta, perché si dasse a’ latini quella cittadinanza la quale in tali tempi non avevano essi, come sta pienamente da noi pruovato in quest’opera, e che i nobili, in quella loro severissima aristocrazia eroica, a quelli l’avessero conceduta; quando piú di trecento anni appresso, dopo essere sfiorata tutta la libertá popolare romana, Livio Druso avendola per suoi ambiziosi disegni promessa a’ soci latini, e ’l senato gli resistette e (quel che fa a maraviglia al nostro proposito) essi tribuni della plebe (che da trecento [anni innanzi], per costoro, vollero la cittadinanza romana a’ soci latini comunicata) loro la contrastarono; onde, per dirla con Tacito, restarono i soci latini di tal loro desiderio «per intercessionem illusi»; il perché Druso, oppresso dalla gran mole, esso se ne morí e, come narra Floro, ne lasciò in retaggio al popolo romano la guerra sociale, che fu la piú pericolosa di quante innanzi n’aveva fatto giammai. Ma i «forti sanati» della scheda d’Ursino furono gli stranieri, i quali la storia greca in questi libri ci ha [p. 294 modifica] narrato che rovesciarono tutte le greche cittá da aristocratiche in popolari, ch’abbiam truovato essere state le plebi delle repubbliche eroiche, e tale nella storia romana abbiam letto essere stata la plebe romana.

1447Laonde in tal contesa non d’altro trattossi ch’i plebei, nessi del dominio bonitario de’ campi, ch’avevano avuto da’ signori per la prima legge agraria (che abbiam truovato essere stata la legge del re Servio Tullio, ch’ordinò il censo, pianta della libertá de’ signori, il qual essi plebei a’ signori pagar dovessero per gli campi da quelli ad essolor conceduti), da tal rivolta ridutti di nuovo all’ossequio della romana signoria, sciolti di tal nodo per quest’Agraria seconda, n’avessero il dominio quiritario, ma simile in effetto, non giá l’istesso nella cagione a quello che ne avevano essi signori. Che è la forza di quella voce «sirempse» (la qual è accorciata insieme e ridondante, come pruovammo nella Locuzion poetica essere stati per lo piú i parlari delle prime nazioni), che vuol dire «simile rempse», che poi si fece «reapse», che ci restò. La qual congettura ci si conferma da que’ versi di Plauto nel prologo dell’Anfitrione, dove Mercurio pubblica questa legge di Giove: che chiunque procurasse la palma ad alcuno de’ coinedianti ingiustamente, tal delitto

Sirempse lege iussit esse Iupiter,
quasi magistratura sibi alterive ambiverit.

1448Talché essi plebei per questa Agraria seconda restassero nessi del nodo del dominio quiritario, che dá la forma alla mancipazione solenne in quel famoso capo: «Qui nexum faciet mancipiumque, uti lingua nuncupassit, ita ius esto», ch’abbiamo dimostrato fonte di tutti gli atti legittimi e sí di tutto il diritto civile romano antico; del qual nodo poscia i plebei furono liberati, a capo di cento e sedici anni, dalla legge petelia. Che è la mano regia, il gius incerto e nascosto, delle quali cose si lamenta la plebe appresso Pomponio, onde tanto bramarono cotal legge. Perché i nobili, da re (qual’essi sono nelle repubbliche de’ signori), si riprendevano i campi ch’essi plebei avevano coltivati, lo gius de’ quali era ad essi plebei incerto, perché il dominio bonitario non produceva la revindicazione da ricuperarglisi; ond’essi disperarono uno gius certo e manifesto con l’intagliarsi e restar fisso nelle Tavole; — perché la mano regia (di riferir al senato le pubbliche emergenze e di [p. 295 modifica] ministrare le leggi a chi domandava ragione) restò divisa a’ consoli con le relazioni in senato ed a’ pretori col dar le forinole ne’ giudizi; e le leggi, tenute nascoste dentro l’ordine de’ nobili, nulla in que’ tempi appartenevano alla plebe, che, come straniera, non aveva niuna parte di ragione non solo pubblica ma nemmeno privata nella cittá.

1449Or di che confusione debbon esser coverti i pareggiatori attici, che cotanto si travagliano di pareggiare il diritto attico col romano! E quel gius del nodo, ch’essi non ardiscono dire esser venuto da Grecia in Roma, perché nella storia romana ne odono gli strepiti e i rumori innanzi di cotal legge, è l’unico affare che si diffin’in quella contesa, e se ne concepí il capo «De forti sanate nexo soluto», ch’essi tutti non intesero affatto!