La secchia rapita (1930)/Canto quarto
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CANTO QUARTO
ARGOMENTO
Mentre dal Potta Castelfranco è stretto.
Rubiera assalta il popolo reggiano.
Parte dal campo a quell’impresa eletto
Gherardo, e se ne va notturno e piano.
Muove assalto a la terra, onde costretto
da la fame si parte il capitano.
Cadono i valorosi; e gli altri a patto
fan de la vita lor vile riscatto.
1
Poiché fu sorto in su la destra riva,
si fermò il campo e s’ordinâr le schiere.
Negli usberghi lucente il sol feriva,
e ne traeva fuor lampi e lumiere:
un venticel, che di ponente usciva,
facea ondeggiar le piume e le bandiere:
e per le rive intorno e per le valli
romoreggiava il ciel d’armi e cavalli.
2
Il Potta, ch’era un uom molto eloquente
e solito a salir spesso in ringhiera,
montato sopra un argine eminente
che divideva i campi e la riviera,
cinto di capitani e nobil gente,
col capo disarmato e la montiera,
cosí parlava al popolo feroce
con magnanimi gesti e altera voce:
3
— O vero seme del valor latino,
ben aveste l’altrier da Federico
un privilegio in foglio pecorino,
che vi ridona il territorio antico
che terminava giá sopra ’l Lavino:
ma il donativo suo non vale un fico,
se con quest’armi che portiamo a canto
non ne pigliamo noi possesso in tanto.
4
Sol Castelfranco ne può far inciampo,
che rinforzato è di presidio grosso;
ma non avrá da noi riparo o scampo,
se con tant’armi gli giugniamo addosso.
Quivi noi fermeremo il nostro campo
contra ’l nemico, che non s’è ancor mosso;
e potremo goder sicuri e lieti
de’ beni altrui, finché fortuna il vieti.
5
Tutte nostre saran senza sospetti
queste ricche campagne e questi armenti:
la salciccia, i capponi e i tortelletti
da casa ci verran cotti e bollenti,
e dormiremo in quegli stessi letti,
dove ora dormon le nemiche genti:
il re giungerá in campo innanzi sera,
ché giá scesa dal monte è la sua schiera.
6
Ma che piú vi trattengo, o forti? Andiamo
a trar di bizzaria questi capocchi:
leviamgli Castelfranco; e poi vediamo
ciò che faran con quel fuscel ne gli occhi.
Ricco di preda è quel castel: io bramo
ch’ognun ne goda, a ciaschedun ne tocchi.
Io per me certo non ne vo’ un quattrino,
e dono la mia parte al piú meschino. —
7
Cosí dicendo il fiero campo mosse
con tanta fretta a la segnata impresa,
che l’inimico a pena a tempo armosse,
per correr de le mura a la difesa.
Subito intorno fûr cinte le fosse,
e adattate le machine da offesa.
Al primo colpo d’un trabucco vasto
fu arrandellato un asino col basto.
8
La machina mural da sé rimove
con impeto sí fier quella bestiaccia,
che la solleva in aria, e in piazza, dove
piú turba avea, dentro il castel la caccia:
trasecolaron quelle genti nove
tutte, e l’un l’altro si miraro in faccia
con le guancie di neve e ’l cor di gelo,
ch’un asino cader vider dal cielo.
9
Era con molti armati in quel presidio
un capitan di poca matematica,
di casa Bonason, detto Nasidio,
perch’avea un naso contro la prammatica.
Questi temendo un general eccidio,
subito co’ Potteschi attaccò pratica
d’uscir di quel castel con la sua gente,
se non avea soccorso il dí seguente.
10
Fermato il patto, il re giunse la sera
con trombe e fuochi e segni d’allegrezza.
Ma il dí seguente una novella fiera
converse tutto il dolce in amarezza:
venne correndo un messo da Rubiera,
ch’aiuto richiedea con gran prestezza
contra il popol reggian, ch’a quella terra
mossa la notte avea improvisa guerra.
11
Il popolo reggian col modanese
professava odio antico e nemicizia,
e avea contra di lui col bolognese
piú volte unita giá la sua milizia:
ora, dissimulando, il tempo attese;
e per mostrar la solita nequizia,
passato che fu il re, spinse a’ suoi danni
seimila fra soldati e saccomanni.
12
Il re tosto chiamar fece a consiglio
tutti gli eroi de la cittá del Potta:
e poich’ebbe narrato il gran periglio
ove quella fortezza era ridotta,
rivolse a destra mano il nobil ciglio,
dove sedea l’onor di casa Scotta:
ed ei, poiché fu sorto e si compose
la barba con la man, sputò e rispose:
13
— A voi, signor, come piú degno, tocca
sceglier fra questi un capitano in fretta,
che vada a liberar l’oppressa rocca
e a far su quegli audaci aspra vendetta. —
Volea piú dir: ma no ’l lasciò la bocca
aprir, che si levò da la panchetta
e saltò in mezzo il conte di Culagna,
dicendo: — V’andrò io: chi m’accompagna? —
14
Maravigliando il re si volse e disse:
— Chi è costui sí ardito e baldanzoso? —
Il Potta si guardò ch’ei no ’l sentisse,
e disse: — Questi è un matto glorioso. —
Il re, che avea disio che si spedisse
a quella impresa un capitan famoso,
rimise quella eletta al Potta stesso,
che conosceva ognun meglio da presso.
15
Il Potta che sapea che i parmegiani
eran nemici a la tedeschería,
e ch’era un accoppiar co’ gatti i cani,
se gli uni e gli altri insieme a un tempo unía;
disegnò di mandar contra i reggiani
gli aiuti che da Parma in campo avia
Giberto da Correggio allor guidati,
tremila a piedi e mille in sella armati.
16
Ma il carico sovran diede a Gherardo,
con cinquemila fanti e quella schiera
ch’avea Bertoldo sotto il suo stendardo
condotta da Marzaglia e da Rubiera.
Ripassò il ponte il cavalier gagliardo;
ma non giunse a Marzaglia innanzi sera.
Quivi ebbe nuova de la terra presa,
ma che la rocca ancor facea difesa.
17
Stettero in dubbio i cavalier del Potta
se passavano allor quella riviera,
o s’attendean che fulminata e rotta
fosse dal novo sol l’aria giá nera.
Ed ecco apparve lor su ’l fiume allotta
Marte, che presa la sembianza fiera
di Scalandrone da Bismanta avea,
bandito e capitan di gente rea:
18
e inalzando una face in su la sponda
che ’l varco indi vicin tutto scopriva,
fe’ sí che tragittò di lá da l’onda
subito il campo a la sinistra riva.
Spirava il vento, e dibattea la fronda
sí ch’a fatica il calpestio s’udiva.
Ai capitani allor Marte feroce
volgea lo sguardo e la terribil voce;
19
e dicea lor: — Venite meco, o forti,
ché gl’inimici or vi do vinti e presi,
mentre che ne la terra i male accorti
son quasi tutti a depredar intesi,
aspettando che ’l messo annunzio porti
che si sian quelli de la rocca resi,
dove a l’assedio in su la fossa armato
Foresto Fontanella hanno lasciato.
20
Io la perfidia lor patir non posso,
e vengo a vendicarla ora con voi:
se lor giugniamo a l’improviso addosso,
che potran far, se fosser tutti eroi?
Gira, Gherardo, tu a sinistra il fosso,
e chiudi il passo co’ soldati tuoi;
ch’io Giberto e Bertoldo a piè del ponte
condurrò cheti a l’inimico a fronte. —
21
Cosí parlava; e Scalandrone il fiero
creduto fu da ognun ch’era presente.
Gherardo a manca man tenne il sentiero,
Giberto a destra al lato di ponente,
e su gli elmi inalzar fe’ per cimiero
un segno bianco a tutta la sua gente;
ché giá la squadra udia del Fontanella
cantar non lungi la Rossina bella.
22
Passavan cheti e taciturni avanti,
senza ronde scontrar né sentinelle:
quando cessâro a l’improviso i canti,
e i gridi e gli urli andar fino a le stelle.
I cavalli lasciaro addietro i fanti
allora; e Marte accese due facelle,
e illuminò cosí l’aer dintorno
che parve senza sol nascere il giorno.
23
Foresto, che venir sopra si vede
gli stendardi di Parma e di Rubiera,
si lascia dietro anch’ei la gente a piede;
e passa armato innanzi a la sua schiera.
Marte rimira, e Scalandrone il crede:
sprona il cavallo, e abbassa la visiera;
e ’l coglie appunto a mezzo de la pancia,
ma non sente piegar né urtar la lancia.
24
Marte a rincontro al trapassar percosse
in guisa lui d’un colpo sopramano,
che gli abbruciò la barba, e ’l viso cosse,
e non parve mai piú fedel cristiano.
Ei se la bebbe; e subito scontrosse
con Bertoldo, ch’avea disteso al piano
col braghiero in due pezzi Anselmo Arlotto,
grande alchimista e in medicina dotto.
25
Ruppero l’aste a quell’incontro fiero,
e con le spade incominciâr la guerra.
L’animoso Foresto avea un destriero
che non trovava paragone in terra,
generoso di cor, pronto e leggero:
e se un’antica cronica non erra,
fu de la razza di quel buon Frontino,
fatto immortal da monsignor Turpino.
26
Bertoldo avea piú forza e piú fierezza,
ed era di statura assai maggiore:
Foresto avea piú grazia e piú destrezza,
picciolo il corpo e grand’era ’l valore.
Ma l’uno e l’altro fa di sua prodezza
mostra al nemico e di suo eccelso core:
e la terra è giá tinta e inorridita
di sangue e di bragiole e maglia trita.
27
Giberto in tanto avea rotta la lancia
nel ventre a Gambatorta Scarlattino,
e col troncon fatta crepar la pancia
d’un fiero colpo a Stevanel Rossino;
quando tolse una scure a Testarancia
figliuol di Filippon da San Donnino,
e con essa a due man fe’ tal ruina,
che tolse il vanto a quei de la tonnina.
28
Uccise Braghetton da Bibianello,
ch’un tempo a Roma fece il cortigiano;
e ’l nome v’intagliò con lo scarpello
sotto Montecavallo a manca mano.
Avea la pancia come un carratello,
e avria bevuta la cittá d’Albano;
né mai chiedeva a Dio nel suo pregare,
se non che convertisse in vino il mare.
29
Gli divise la pancia il colpo fiero
e una borrachia ch’a l’arcione avea.
Cadeano il sangue e ’l vin sopra ’l sentiero,
e ’l misero del vin piú si dolea.
L’alma, ch’usciva fuor col sangue nero,
al vapor di quel vin si ritraea:
e lieta abbandonava il corpo grasso,
credendo andar fra le delizie a spasso.
30
Uccise dopo questi Alceo d’Ormondo,
protonotario e camerier d’onore
ne la corte papal, capo del mondo,
e di piú cavalier, conte e dottore;
e ’l miser Baccarin da San Secondo,
che de le pappardelle era inventore,
morto lasciò con gli altri male accorti
sotto Rubiera ad ingrassar quegli orti.
31
Prospero d’Albinea, Feltrin Casola,
Marco Denaglia, Brun da Mozzatella,
Berto da Rondinara, Andrea Scaiola,
Stefano Zobli, Gian da Torricella,
Guglielmo da la Latta e Pier Mazzola,
dal feroce guerrier tratti di sella
con Ugo Brama e Gian Matteo Scaruffa,
tutti rimaser morti in quella zuffa.
32
Ai colpi de la forza di Giberto
gira gli occhi Foresto; e i suoi soldati
vede da la battaglia al campo aperto
fuggir, chi qua, chi lá, tutti sbandati:
e temendo restar quivi diserto,
ché cinto si vedea da tutti i lati,
volge a Bertoldo, ed una punta abbassa,
e gli uccide il cavallo, e ’n terra il lassa:
33
e dove i suoi fuggian da la battaglia
spronando quel destrier che sembra un vento:
— Dunque, gridava lor, brutta canaglia,
questo è il vostro valore e l’ardimento?
Se non avete tanto cor che vaglia
a sprezzar de la morte ogni spavento,
sí che vogliate abbandonar la guerra,
ritiratevi almen dentro la terra. —
34
Cosí disse: e correndo in vêr la porta
donde il soccorso omai gli parea tardo,
piena la via trovò di gente morta,
ch’ivi giá penetrato era Gherardo.
Allor frenando l’impeto che ’l porta,
s’arresta alquanto il giovine gagliardo,
pensando se dovea quindi fuggire
tra l’ombre de la notte o pur morire.
35
Spiccasi ajfine, e lá dove difende
il nemico l’uscita, entrar procaccia:
la testa a Furio da la Coccia fende,
e nel ventre a Vivian la spada caccia.
Il primo avea il cervel fuor di calende,
e l’altro era un fanton lungo sei braccia:
l’un nemicizia avea col sol d’agosto,
e l’altro rincaría le calde arrosto.
36
Ferí dopo costor, con vario evento,
due Gemignani, l’Erri e ’l Baciliero:
ne l’umbilico l’un subito spento
cadé, tocco d’un colpo assai leggiero:
l’altro, ch’un’ernia avea piena di vento,
né potea camminar senza ’l braghiero,
ferito d’una punta in quella parte,
esalò il vento, e si sanò contr’arte.
37
Giunto alfin dove l’ultima bandiera
Forcierolo Alberghetti avea fermata,
come che cinta sia di gente fiera,
la sforza, e quindi a’ suoi trova l’entrata;
né s’accorge che lascia la sua schiera
tra i nemici rinchiusa e abbandonata.
In tanto il conte avea di San Donnino
sentito il fiero suon del mattutino.
38
Questi era de’ reggiani il generale,
grande di Febo e di Bellona amico,
e stava componendo un madrigale
quand’arrivò l’esercito nemico.
Reggio non ebbe mai suggetto eguale
o nel tempo moderno o ne l’antico,
né di lui piú stimato in pace e ’n guerra;
ed era consiglier di Salinguerra.
39
Di Salinguerra il poderoso dico,
che tenne giá Ferrara e Francolino,
fin che fu poi dal Papa suo nemico
sospinto fuor del nobile domino,
e tornò a ripigliar lo scettro antico
il seme del superbo Aldobrandino:
si trova in somma scritto in varie carte,
che ’l conte era grand’uomo in ogni parte.
40
Tosto ch’ode il romor, chiede da bere
a Livio suo scudiero, e l’armi chiede;
e beve in fretta, e poi volge il bicchiere
sopra la sottocoppa in su col piede:
s’adatta i braccialetti e le gambiere;
s’affaccia a la finestra; e guarda, e vede
a quel romor, senza notizia averne,
saltar di casa ognun con le lanterne.
41
Giá avea l’usbergo, e subito s’allaccia
l’elmo con piume candide di struzzo:
cigne la spada, e ’l forte scudo imbraccia,
e monta sopra un nobile andaluzzo.
Gli portava dinanzi una rondaccia
e una balestra il sordo Malaguzzo:
era stizzato, e gli sapeva male
di non aver finito il madrigale.
42
Giunto a la porta e udito il gran fracasso,
montò subitamente in su le mura,
e mirò intorno, e vide giú nel basso
d’armi coperto il ponte e la pianura;
vide i nemici aver serrato il passo,
e de’ soldati suoi l’aspra ventura;
onde, pieno d’angoscia e di dispetto,
sospirò forte, e si percosse il petto.
43
E quivi a canto a lui fatti passare
due mila balestrier ch’in campo avea,
cominciò l’inimico a saettare,
che cacciarlo di luogo ei si credea.
Come suol rifuggir l’onda e tornare
fremendo nel furor de la marea,
cosí fremea ondeggiando, e i forti scudi
opponea l’inimico ai colpi crudi.
44
Ma non partiva, e non mutava loco:
e ’n tanto l’alba uscía de l’oriente,
le cui guancie di rose al sol di foco
mirando il ciel ne divenia lucente.
Gherardo rinfrescò la gente un poco,
mutandola a’ quartieri; e al dí nascente,
dal fosso a basso e da la rocca d’alto
diede principio a un furibondo assalto.
45
De la rocca Bertoldo ebbe l’assunto,
Giberto a manca man, Gherardo a destra.
Vedesi il conte a mal partito giunto,
ch’eran finiti il pane e la minestra:
pur mise anch’egli i suoi soldati in punto,
e Bertoldo dicea da una finestra:
— Ah! reggianelli, gente da dozzina,
l’unghie vi resteran ne la rapina. —
46
Dove la rocca giú nel pian scendea,
de la piazza era il conte a la difesa:
e sbarrato di travi il passo avea,
facendo quivi i suoi nobil contesa.
Gherardo a destra man forte stringea:
Giberto facea machine da offesa,
mangani e scale, e empía con sorda guerra
la fossa in tanto di fascine e terra.
47
Durò il crudele assalto infino a nona,
sin che stancârsi e intiepidiron l’ire.
II saggio conte i suoi non abbandona;
ma non avea che dargli a digerire.
Ne la rocca serrata avean l’annona
i terrazzani al primo suo apparire,
e tanti denti in su l’entrar di botto
distrusser ciò che v’era e crudo e cotto.
48
Cerca di qua, cerca di lá, né trova
cosa da farvi un minimo disegno.
Sbadiglian tutti e fan crocette a prova,
e l’appetito lor cresce lo sdegno.
Fatta avean quivi una chiesetta nova
certi frati di quei dal piè di legno:
il conte al guardian chiese rimedio
per liberarsi dal crudele assedio.
49
Cominciò il frate a dir che Dio adirato
volea il popol reggiano or gastigare.
Il conte ch’era mezzo disperato:
— Padre, dicea, non state a predicare,
ma cercate rimedio al nostro stato;
ch’è notte, e non abbiam di che cenare;
fateci uscir di queste mura in pace,
e predicate poi quanto vi piace. —
50
Il frate uscí a trattar subito fuora,
e ritornò con l’ultima risposta:
che se i reggiani andar voleano allora,
lasciasser l’armi, e andassero a lor posta.
Alcuni non volean piú far dimora,
ma gli altri si ridean de la proposta,
e dicean che con l’armi era da uscire,
o da pugnar con l’armi o da morire.
51
Onde forzato fu di ritornare
il frate al campo: e ’l conte a lui converso
— Padre, dicea, vi voglio accompagnare;
datemi una gonella da converso. —
Il frate gliene fece una portare
ricamata di brodo azzurro e perso,
ch’era del cuoco: e ’l conte se la pose,
e tutto nel cappuccio si nascose:
52
e rivoltato a’ suoi disse ch’ei giva
a procurar anch’ei sorte migliore;
ma se ’l nemico altier non s’ammolliva,
tentato avria di rimaner di fuore;
e che con nuova gente ei s’offeriva
di tornare in soccorso in fra poch’ore,
pur ch’a lor desse il cor di mantenerse
un giorno ancor ne le fortune avverse.
53
In suo luogo lasciò Guido Canossa:
e non prese arme, fuor ch’una squarcina
che nascondea quella vestaccia grossa,
con un giaco di maglia garzerina.
Ritrovaron Gherardo in su la fossa,
che facea fabricar per la mattina
contra la porta una sbarrata grande,
che chiudeva per fronte e da le bande.
54
Quando Gherardo vide il guardiano,
gli venne incontro: e ’l frate gli dicea,
che troppo duro al popolo reggiano
il partito proposto esser parea;
ch’egli voleva uscir con l’armi in mano,
e che nel resto a lui si rimettea.
Gherardo entrò in furor quand’udí questo,
e disse al frate: — Padre, io vi protesto
55
che vo’ far nuovi patti, e vo’ che lassi
l’armi e l’insegne e quanto egli ha da guerra,
e ch’in farsetto e sotto un’asta passi
a l’uscir de la porta de la terra.
Cosí vi giuro; e non perdete i passi
a tornar, se ’l partito non si serra;
perché vi aggi ugnerò pene piú gravi,
come son degni i lor eccessi pravi. —
56
Il conte che tenea l’orecchie intente,
dicendo: — A fé non mi ci coglierai, —
s’incominciò a scostar segretamente,
fin che si ritrovò lontano assai.
Pregava il guardian molt’umilmente,
ma non potè spuntar Gherardo mai:
onde tornò dolente al suo cammino,
senz’altra inchiesta far di fra’ Stoppino.
57
Poiché tornò confuso e sbigottito
da la fiera risposta il guardiano,
e narrò il tutto e che se n’era gito
il conte e giá poteva esser lontano;
si consultò s’era miglior partito
il ritorno aspettar del capitano,
o pur co l’armi al ciel notturno e scuro
tentar d’uscir de l’infelice muro.
58
Tutti lodâr che s’aspettasse il conte;
ma quando poi s’andò ben calculando
ch’ei non poteva aver le genti pronte
prima che il nuovo sol fosse ito in bando,
si torser tutti e rincrespâr la fronte,
dicendo che volean morir pugnando;
onde Guido, d’uscir fatto disegno,
fe’ stare in punto ognun co l’armi a segno.
59
Ma da la rocca diè Bertoldo aviso
a Gherardo, ch’usasse estrema cura,
che mostrava il nemico a l’improviso
voler co l’armi uscir di quelle mura.
Preparossi Gherardo; e su l’aviso
fe’ stare i suoi soldati; e l’aria scura
rallumò con facelle e pece ardente;
e le sbarre piantò subitamente.
60
Ed ecco aprir la porta, e a un tempo stesso
de gli affamati il grido e le percosse:
ma ne le sbarre urtâr ch’erano appresso;
e’l rauco suono e l’impeto arrestosse.
Gherardo avea per fianco e ’n fronte messo
vari strumenti di tremende posse;
e a colpi di saette e pietre e dardi
stese quivi i piú arditi e piú gagliardi.
61
Ed egli armato a piè con una mazza
corse a le sbarre, e a tanti diè la morte,
che se non ritraea la turba pazza
in dietro il piede e non chiudea le porte,
perduta quella notte era la razza
de’ soldati da Reggio in dura sorte.
Fu de’ primi a cader Guido Canossa
in preda ai lucci di quell’empia fossa.
62
Ma l’ardito Foresto urta il destriero,
dove vede la sbarra esser piú bassa;
e tratto, disperato, il brando fiero
contra Gherardo, il fère a un tempo e passa;
e dovunque al passar drizza il sentiero,
de l’alto suo valor vestigi lassa;
fin ch’in sicura parte al fine arriva,
e i suoi d’aiuto e di speranza priva.
63
L’esercito reggian, fatto sicuro
che la forza adoprar gli valea poco,
e veggendo il nemico in volt’oscuro
scuoter la porta e domandar del foco;
in fretta rimandò fuora del muro
il guardian, ch’ebbe a fatica loco
d’impetrar da Gherardo alcun partito,
ch’era giá inviperato e infellonito.
64
Al fin l’ultimo ottenne, e fu giurato
con giunta, che chiunque a l’osteria
con modanese alcun fosse alloggiato
di quello stuol che di Rubiera uscía,
a trargli per onor fosse ubbligato
scarpe o stivali o s’altro in piedi avia;
indi fu aperto un picciolo sportello,
d’onde uscivano i vinti in giubberello.
65
Marte che la sembianza ancor tenea
di Scalandron per onorar la festa,
stando a la picca, ove al passar dovea
chinar il vinto la superba testa,
dava a ciascun, nel trapassar che fea
sotto quell’asta, un scappellotto a sesta:
cosí fino a l’aurora ad uno ad uno
andò passando il popolo digiuno.
66
Poi che tutti passâr, Marte disparve,
lasciand’ognun di meraviglia muto.
Stupiva il vincitor che le sue larve
conoscer non avea prima saputo:
stupiva il vinto, poi che ’l sole apparve
cinto di luce, e che si fu avveduto
con onta sua che le picchiate ladre
a tutti fatte avean le teste quadre.
67
Sotto Rubiera si trattenne alquanto
Gherardo, e riposar le genti feo,
onorando quel dí sacrato al santo
Apostolo divin Bartolomeo;
e de le spoglie de’ nemici in tanto
su la riva di Secchia alzò un trofeo:
quando volgendo il sol dal mezzo giorno,
eccoti un messaggier sonando un corno:
68
e narra ch’attaccata è la battaglia
tra il re de’ Sardi e le cittá nemiche,
ch’in campo conducean tanta canaglia
che non ha tante mosche Apuglia o spiche;
e lo prega d’aiuto, e che gli caglia
del gran periglio de le schiere amiche.
Trenta peli, di rabbia, allor strapposse
Gherardo, e bestemmiando il campo mosse.