La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XIV

Da Wikisource.
Libro primo
Capitolo XIV

../Capitolo XIII ../Capitolo XV IncludiIntestazione 24 giugno 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo XIII Libro primo - Capitolo XV

Finito queste parole, il Firenzuola, che era persona arditissima e bravo, si volse al detto Giannotto e li disse: - O vile furfante, non ti vergogni tu a usare questi tali termini e modi a uno che t’è stato sí domestico compagno? -. E nel medesimo ardire voltosi a me, disse: - Entra in bottega e fa come tu hai detto, che le tue mane dicano quel che tu sei -: e mi dette a fare un bellissimo lavoro di argento per un cardinale. Questo fu un cassonetto ritratto da quello di porfido che è dinanzi alla porta della Retonda. Oltra quello che io ritrassi, di mio arricchi’lo con tante belle mascherette, che il maestro mio s’andava vantando e mostrandolo per l’arte, che di bottega sua usciva cosí ben fatta opera. Questo era di grandezza di un mezzo braccio in circa; ed era accomodato che serviva per una saliera da tenere in tavola. Questo fu il primo guadagno che io gustai in Roma; e una parte di esso guadagno ne mandai a soccorrere il mio buon padre: l’altra parte serbai per la vita mia; e con esso me ne andavo studiando intorno alle cose antiche, insino a tanto che e’ danari mi mancorno, che mi convenne tornare a bottega a lavorare. Quel Battista del Tasso mio compagno non istette troppo in Roma, che lui se ne tornò a Firenze. Ripreso nuove opere, mi venne voglia, finite che io le ebbi, di cambiate maestro, per esser sobbillato da un certo Milanese, il quale si domandava maestro Pagolo Arsago. Quel mio Firenzuola primo ebbe a fare gran quistione con questo Arsago, dicendogli in mia presenza alcune parole ingiuriose, onde che io ripresi le parole in defensione del nuovo maestro. Dissi ch’io era nato libero, e cosí libero mi volevo vivere, e che di lui non si poteva dolere; manco di me, restando aver dallui certi pochi scudi d’accordo; e come lavorante libero volevo andare dove mi piaceva, conosciuto non far torto a persona. Anche quel mio nuovo maestro usò parecchi parole, dicendo che non mi aveva chiamato, e che io gli farei piacere a ritornare col Firenzuola. A questo io aggiunsi che non cognoscendo in modo alcuno di farli torto, e avendo finite l’opere mia cominciate, volevo essere mio e non di altri; e chi mi voleva mi chiedessi a me. A questo disse il Firenzuola: - Io non ti voglio piú chiedere a te, e tu non capitare innanzi per nulla piú a me -. Io gli ricordai e’ mia danari: lui sbeffandomi; a il quale io dissi, che cosí bene come io adoperavo e’ ferri per quelle tale opere, che lui aveva visto, non manco bene adoperrei la spada per recuperazione delle fatiche mie. A queste parole a sorta si fermò un certo vecchione, il quale si domandava maestro Antonio da San Marino. Questo era il primo piú eccellente orefice di Roma, ed era stato maestro di questo Firenzuola. Sentito le mia ragione, quale io dicevo di sorte che le si potevano benissimo intendete, subito preso la mia protezione, disse al Firenzuola che mi pagassi. Le dispute furno grande, perché era questo Firenzuola maraviglioso maneggiator di arme; assai piú che ne l’arte de l’orefice; pur è la ragione che volse il suo luogo, e io con lo istesso valore lo aiutai, in modo che io fui pagato; e con ispazio di tempo il ditto Firenzuola e io fummo amici, e gli battezzai un figliuolo, richiesto da lui.