La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo XXVIII

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Libro primo
Capitolo XXVIII

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Come di sopra dissi, era cominciato la peste in Roma: se bene io voglio ritornare un poco indietro, per questo non uscirò del mio proposito. Capitò a Roma un grandissimo cerusico, il quale si domandava maestro Iacomo da Carpi. Questo valente uomo, infra gli altri sua medicamenti, prese certe disperate cure di mali franzesi. E perché questi mali in Roma sono molto amici de’ preti, massime di quei piú ricchi, fattosi cognoscere questo valente uomo, per virtú di certi profumi mostrava di sanare maravigliosamente queste cotai infirmità, ma voleva far patto prima che cominciassi a curare; e’ quali patti, erano a centinaia e non a decine. Aveva questo valente uomo molta intelligenzia del disegno. Passando un giorno a caso della mia bottega, vidde a sorta certi disegni che io avevo innanzi, in fra’ quali era parecchi bizzarri vasetti, che per mio piacere avevo disegnati. Questi tali vasi erano molto diversi e varii da tutti quelli che mai s’erano veduti insino a quella età. Volse il ditto maestro Iacomo che io gnene facessi d’argento; i quali io feci oltra modo volentieri, per essere sicondo il mio capriccio. Con tutto che il ditto valente uomo molto bene me gli pagasse, fu l’un cento maggiore l’onore che mi apportorno; perché in nella arte di quei valenti uomini orefici dissono non aver mai veduto cosa piú bella né meglio condotta. Io non gli ebbi sí tosto forniti, che questo uomo li mostrò al Papa; e l’altro dí dapoi s’andò con Dio. Era molto litterato: maravigliosamente parlava della medicina. Il Papa volse che lui restassi al suo servizio; e questo uomo disse, che non voleva stare al servizio di persona del mondo; e che chi aveva bisogno di lui, gli andassi dietro. Egli era persona molto astuta, e saviamente fece a ’ndarsene di Roma; perché non molti mesi apresso tutti quelli che egli aveva medicati si condusson tanto male, che l’un cento eran peggio che prima: sarebbe stato ammazzato, se fermato si fussi. Mostrò li mia vasetti in fra molti signori; in fra li altri allo eccellentissimo duca di Ferrara; e disse, che quelli lui li aveva aúti da un gran signore in Roma, dicendo a quello, se lui voleva essere curato della sua infirmità, voleva quei dua vasetti; e che quel tal signore gli aveva detto, ch’egli erano antichi, e che di grazia gli chiedesse ogni altra cosa, qual non gli parrebbe grave a dargnene, purché quelli gnene lasciassi: disse aver fatto sembiante non voler medicarlo, e però gli ebbe. Questo me lo disse misser Alberto Bendedio in Ferrara, e con gran sicumera me ne mostrò certi ritratti di terra; al quali io mi risi; e non dicendo altro, misser Alberto Bendedio, che era uomo superbo, isdegnato mi disse: - Tu te ne ridi, eh? e io ti dico che da mill’anni in qua non c’è nato uomo che gli sapessi solamente ritrarre -. E io, per non tor loro quella riputazione, standomi cheto, stupefatto gli ammiravo. Mi fu detto in Roma da molti signori di questa opera, che a lor pareva miracolosa e antica; alcuni di questi, amici mia; e io baldanzoso di tal faccenda, confessai d’averli fatti io. Non volendo crederlo, ond’io volendo restar veritiero a quei tali, n’ebbi a dare testimonianza a farne nuovi disegni; ché quella non bastava, avenga che li disegni vecchi il ditto maestro Iacomo astutamente portar se gli volse. In questa piccola operetta io ci acquistai assai.