La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XCIX

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Libro secondo
Capitolo XCIX

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In questo tempo il gran marmo del Nettunno si era stato portato per il fiume d’Arno e poi condotto per la Grieve in sulla strada del Poggio a Caiano, per poterlo poi meglio condurre afFirenze per quella strada piana, dove io lo andai a vedere. E se bene io sapevo certissimo che la Duchessa l’aveva per suo propio favore fatto avere al cavalieri Bandinello; non per invidia che io portassi al Bandinello, ma sí bene mosso a pietà del povero mal fortunato marmo (guardisi, che qual cosa e’ si sia, la quale sia sottoposta a mal destino, che un la cerchi scampare da qualche evidente male, gli avviene che la cade in molto peggio, come fece il detto marmo alle man di Bartolomeo Ammannato, del quale si dirà ’l vero al suo luogo), veduto che io ebbi il bellissimo marmo, subito presi la sua altezza e la sua grossezza per tutti i versi, e tornatomene a Firenze, feci parecchi modellini approposito. Dappoi io andai al Poggio a Caiano, dove era il Duca e la Duchessa e ’l Principe lor figliuolo; e trovandogli tutti a tavola, il Duca con la Duchessa mangiava ritirato, di modo che io mi missi attrattenere il Principe. E avendolo trattenuto un gran pezzo, il Duca, che era innuna stanza ivi vicino, mi sentiva, e con molto favore e’ mi fece chiamare; e giunto che io fui alle presenze di loro Eccellenzie, con molte piacevole parole la Duchessa cominciò a ragionar meco: con el qual ragionamento a poco a poco io cominciai a ragionar di quel bellissimo marmo, che io avevo veduto; e cominciai a dire come la lor nobilissima Scuola i loro antichi l’avevano fatta cosí virtuosissima, solo per far fare aggara tutti i virtuosi nelle lor professione; e in quel virtuoso modo ei s’era fatto la mirabil cupola, e le bellissime porte di Santo Giovanni, e tant’altri bei tempii e statue, le quali facevano una corona di tante virtú a la lor città, la quale dagli antichi in qua la non aveva mai aùto pari. Subito la Duchessa con istizza mi disse, che benissimo lei sapeva quello che io volevo dire; e disse che alla presenza sua io mai piú parlassi di quel marmo, perché io gnele facevo dispiacere. Dissi: - Addunche vi fo io dispiacere per volere essere proccuratore di Vostre Eccellenzie, facendo ogni opera perché le sieno servite meglio? Considerate, Signora mia: se Vostre Eccellenzie illustrissime si contentano, che ogniuno facci un modello di un Nettunno, se bene voi siate resoluti che l’abbia il Bandinello, questo sarà causa che ’l Bandinello per onor suo si metterà con maggiore studio a fare un bel modello, che e’ non farà sapendo di non avere concorrenti: e in questo modo voi, Signori, sarete molto meglio serviti e non torrete l’animo alla virtuosa Scuola, e vedrete chi si desta al bene: io dico al bel modo di questa mirabile arte; e mosterrete voi Signori di dilettarvene e d’intendervene -. La Duchessa con gran còllora mi disse che io l’avevo fradicia, e che voleva che quel marmo fussi del Bandinello, e disse: - Dimandane il Duca, che anche Sua Eccellenzia vole che e’ sia del Bandinello -. Detto che ebbe la Duchessa, il Duca, che era sempre stato cheto, disse: - Gli è venti anni che io feci cavare quel bel marmo apposta per il Bandinello, e cosí io voglio che il Bandinello l’abbia, e sia suo -. Subito io mi volsi al Duca, e dissi: - Signor mio, io priego Vostra Eccellenzia illustrissima che mi faccia grazia che io dica a Vostra Eccellenzia quattro parole per suo servizio -. Il Duca mi disse che io dicessi tutto quello che io volevo, e che e’ mi ascolterebbe. Allora io dissi: - Sappiate, Signor mio, che quel marmo, di che ’l Bandinello fece Ercole e Cacco, e’ fu cavato per quel mirabil Michelagnolo Buonaroti, il quale aveva fatto un modello di un Sensone con quattro figure, il quale saria stato la piú bella del mondo; e il vostro Bandinello ne cavò dua figure sole, mal fatte e tutte rattoppate: il perché la virtuosa Scuola ancor grida del gran torto che si fece a quel bel marmo. Io credo che e’ vi fu appiccato piú di mille sonetti, in vitupero di cotesta operaccia; e io so che Vostra Eccellenzia illustrissima benissimo se ne ricorda. E però, valoroso mio Signore, se quegli uomini che avevano cotal cura, furno tanto insapienti, che loro tolsono quel bel marmo a Michelagnolo, che fu cavato per lui, e lo dettono al Bandinello, il quale lo guastò, come si vede; oh! comporterete voi mai che questo ancor molto piú bellissimo marmo, se bene gli è del Bandinello, il quale lo guasterebbe, di nollo dare ad uno altro valent’uomo che ve lo acconci? Fate, Signor mio, che ogniuno che vuole faccia un modello e dipoi tutti si scuoprano alla Scuola, e Vostra Eccellenzia illustrissima sentirà quel che la Scuola dice; e Vostra Eccellenzia con quel suo buon iudizio saprà scerre il meglio, e in questo modo voi non gitterete via i vostri dinari, né manco torrete l’animo virtuoso a una tanto mirabile Scuola, la quale si è oggi unica al mondo: che è tutta gloria di Vostra Eccellenzia illustrissima -. Ascoltato che il Duca mi ebbe benignissimamente, subito si levò da tavola e voltomisi, disse: - Va, Benvenuto mio, e fa un modello, e guadàgnati quel bel marmo, perché tu mi di’ il vero, e io lo conosco -. La Duchessa, minacciandomi col capo, isdegnata disse borbottando non so che; e io feci lor reverenza, e me ne tornai a Firenze, che mi pareva mill’anni di metter mano nel detto modello.