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La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XCVIII

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Libro secondo
Capitolo XCVIII

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Il Duca mi fece intendere per messer Lelio Torello, suo aulditore, che voleva che io facessi certe storie di basso rilievo di bronzo intorno al coro di santa Maria del Fiore; e per essere il detto coro impresa del Bandinello, io non volevo arricchire le sue operaccie con le fatiche mie; e con tutto che ’l detto coro non fussi suo disegno, perché lui non intendeva nulla al mondo d’architettura (il disegno si era di Giuliano di Baccio d’Agnolo, legnaiuolo, che guastò la cupola): basta che e’ non v’è virtú nessuna; e per l’una e per l’altra causa io non volevo in modo nessuno far tal opera, ma umanamente sempre dicevo al Duca, che io farei tutto quello che mi comandassi Sua Eccellenzia illustrissima, di modo che Sua Eccellenzia commesse agli Operai di Santa Maria del Fiore che fussino d’accordo meco, e che Sua Eccellenzia mi darebbe solo la mia provvisione delli dugento scudi l’anno e che a ogni altra cosa voleva che i detti Operai sopperissino di quello della ditta Opera. Di modo che io comparsi dinanzi alli detti Operai, i quali mi dissono tutto l’ordine che loro avevano dal Duca; e perché con loro e’ mi pareva molto piú sicuramente poter dire le mie ragioni, cominciai a mostrar loro che tante storie di bronzo sariano di una grandissima spesa, la quale si era tutta gittata via: e dissi tutte le cagioni, per le quali eglino ne furno capacissimi. La prima si era, che quel ordine di coro era tutto scorretto, ed era fatto senza nissuna ragione, né vi si vedeva né arte, né comodità, né grazia, né disegno; l’altra si era che le ditte storie andavano tanto poste basse, che le venivano troppo inferiore alla vista, e che le sarebbono un pisciatoi’ da cani, e continue starebbono piene d’ogni bruttura; e che per le ditte cagioni io in modo nessuno nolle volevo fare. Solo per non gittar via il resto dei mia migliori anni e non servire Sua Eccellenzia illustrissima, al quale io desideravo tanto di piacere e servire; imperò, se Sua Eccellenzia si voleva servir delle fatiche mie, quella mi lasciassi fare la porta di mezzo di Santa Maria del Fiore, la quale sarebbe opera che sarebbe veduta, e sarebbe molto piú gloria di Sua Eccellenzia illustrissima; e io mi ubbrigherei per contratto che, se io nolla facessi meglio di quella, che è piú bella, delle porte di San Giovanni, non volevo nulla delle mie fatiche; ma se io la conducevo sicondo la mia promessa, io mi contentavo che la si facessi stimare, e dappoi mi dessino mille scudi di manco di quello che dagli uomini dell’arte la fussi stimata. A questi Operai molto piacque questo che io avevo lor proposto, e andorno a parlarne al Duca, che fu, in fra gli altri, Piero Salviati, pensando di dire al Duca cosa che gli fussi gratissima; e la gli fu tutto ’l contrario; e disse che io volevo sempre fare tutto ’l contrario di quello che gli piaceva che io facessi: e sanza altra conclusione il detto Piero si partí dal Duca. Quando io intesi questo, subito me n’andai a trovare ’l Duca, il quale mi si mostrò alquanto sdegnato meco; il quali io pregai che si degnassi di ascoltarmi, ed ei cosí mi promesse: di modo che io mi cominciai da un capo; e con tante belle ragioni gli detti ad intendere la verità di tal cosa, mostrando a Sua Eccellenzia che l’era una grande spesa gittata via: di sorte che io l’avevo molto addolcito con dirgli, che se a Sua Eccellenzia illustrissima non piaceva che e’ si facessi quella porta, che egli era di necessità il fare a quel coro dua pergami, e che quegli sarebbono due grande opere e sarebbono gloria di Sua Eccellenzia illustrissima, e che io vi farei una gran quantità di storie di bronzo, di basso rilievo, con molti ornamenti: cosí io lo ammorbidai e mi commesse che io facessi i modegli. Io feci piú modelli e durai grandissime fatiche: e infra gli altri ne feci uno a otto faccie, con molto maggiore studio che io nonnavevo fatto gli altri, e mi pareva che e’ fussi molto piú comodo al servizio che gli aveva affare. E perché io gli avevo portati piú volte a Palazzo, Sua Eccellenzia mi fece intendere per messer Cesere, guardaroba, che io gli lasciassi. Dappoi che ’l Duca gli aveva veduti, vidi che di quei Sua Eccellenzia aveva scelto il manco bello. Un giorno Sua Eccellenzia mi fe’ chiamare, e innel ragionare di questi detti modelli io gli dissi e gli mostrai con molte ragioni, che quello a otto faccie saria stato molto piú comodo a cotal servizio, e molto piú bello da vedere. Il Duca mi rispose, che voleva che io lo facessi quadro, perché gli piaceva molto piú in quel modo; e cosí molto piacevolmente ragionò un gran pezzo meco. Io non mancai di non dire tutto quello che mi occorreva, in difensione dell’arte. O che il Duca conoscessi che io dicevo ’l vero, e pur volessi fare a suo modo, e’ si stette di molto tempo che e’ non mi fu detto nulla.