Libro secondoCapitolo XXXVI
../Capitolo XXXV
../Capitolo XXXVII
IncludiIntestazione
17 luglio 2008
75%
Autobiografie
<dc:title> La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze </dc:title>
<dc:creator opt:role="aut">Benvenuto Cellini</dc:creator>
<dc:date>1558</dc:date>
<dc:subject></dc:subject>
<dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights>
<dc:rights>GFDL</dc:rights>
<dc:relation></dc:relation>
<dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_vita_di_Benvenuto_di_Maestro_Giovanni_Cellini_fiorentino,_scritta,_per_lui_medesimo,_in_Firenze/Libro_secondo/Capitolo_XXXVI&oldid=-</dc:identifier>
<dc:revisiondatestamp>20110420232855</dc:revisiondatestamp>
//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_vita_di_Benvenuto_di_Maestro_Giovanni_Cellini_fiorentino,_scritta,_per_lui_medesimo,_in_Firenze/Libro_secondo/Capitolo_XXXVI&oldid=-
20110420232855
La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze - Libro secondo Capitolo XXXVI Benvenuto Cellini1558
In mentre che questa opera si tirava innanzi, io compartivo certe ore del giorno e lavoravo in su la saliera, e quando in sul Giove. Per essere la saliera lavorata da molte piú persone che io non avevo tanto di comodità per lavorare in sul Giove, di già a questo tempo io l’avevo finita di tutto punto. Era ritornato il Re a Parigi, e io l’andai a trovare, portandogli la ditta saliera finita; la quale, sí come io ho detto di sopra, era in forma ovata ed era di grandezza di dua terzi di braccio in circa, tutta d’oro, lavorata per virtú di cesello. E sí come io dissi quando io ragionai del modello, avevo figurato il Mare e la Terra assedere l’uno e l’altro, e s’intramettevano le gambe, sí come entra certi rami del mare infra la tetra, e la terra infra del detto mare: cosí propiamente avevo dato loro quella grazia. A il Mare avevo posto in mano un tridente innella destra; e innella sinistra avevo posto una barca sottilmente lavorata, innella quale si metteva la salina. Era sotto a questa detta figura i sua quattro cavalli marittimi, che insino al petto e le zampe dinanzi erano di cavallo; tutta la parte dal mezzo indietro era di pesce: queste code di pesce con piacevol modo s’intrecciavano insieme; in sul qual gruppo sedeva con fierissima attitudine il detto Mare: aveva all’intorno molta sorte di pesci e altri animali marittimi. L’acqua era figurata con le sue onde; di poi era benissimo smaltata del suo propio colore. Per la Terra avevo figurato una bellissima donna, con il corno della sua dovizia in mano, tutta ignuda come il mastio appunto; nell’altra sua sinistra mana avevo fatto un tempietto di ordine ionico, sottilissimamente lavorato; e in questo avevo accomodato il pepe. Sotto a questa femina avevo fatto i piú belli animali che produca la terra; e i sua scogli terrestri avevo parte ismaltati e parte lasciati d’oro. Avevo da poi posata questa ditta opera e investita in una basa d’ebano nero: era di una certa accomodata grossezza, e aveva un poco di goletta, nella quale io aveva cumpartito quattro figure d’oro, fatte di piú che mezzo rilievo: questi si erano figurato la Notte, il Giorno, il Graprusco e l’Aurora. Ancora v’era quattro altre figure della medesima grandezza, fatte per i quattro venti principali, con tanta puletezza lavorate e parte ismaltate, quanto immaginar si possa. Quando questa opera io posi agli occhi del Re, messe una voce di stupore, e non si poteva saziare di guardarla: di poi mi disse che io la riportassi a casa mia, e che mi direbbe a tempo quello che io ne dovessi fare. Porta’nela a casa, e subito invitai parecchi mia cari amici, e con essi con grandissima lietitudine desinai, mettendo la saliera in mezzo alla tavola; e fummo i primi a ’doperarla. Di poi seguitavo di finire il Giove d’argento, e un gran vaso, già ditto, lavorato tutto con molti ornamenti piacevolissimi e con assai figure.