Le Fenicie (Euripide - Romagnoli)/Terzo stasimo
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coro
Strofe
Venisti, o aligera,
venisti, o gèrmine
della Terra e d’Echídna1 sotterranea,
o dei Cadraèi sterminio,
fra molte stragi, fra suonar di gemiti,
o funesto prodigio,
mezzo tra fiera e vergine,
dell’ali tue con l’impeto,
degli artigli crudivori.
E su le scaturigini
di Dirce, i Cadmèi giovani
attraevi col fascino
d’un canto senza lira; e su la patria
una lugubre Erinni, un fiero eccidio
eccitavi: di sangue avido un Dèmone
compieva un tale scempio.
Quivi di madri gemiti,
e gemiti di vergini
nelle case suonavano.
E grida querule,
queruli càntici,
or questo or quello alzavano, perpetua
di Tebe trenodía.
I gridi a tuoni simili,
simili a tuoni gli ululi
eran, quando la vergine
alata, alcun degli uomini rapía.
Antistrofe
E poi, col volgere
d’anni, l’oracolo
di Pito, Edípo qui mandò, che causa
fu dapprima di giubilo
per la terra tebana, e poi d’ambascia.
Ché, poi ch’ebbe vittoria
d’enimmi inesplicabili,
s’uní di nozze orribili
con la madre; e la macchia
di Tebe indi ebbe origine.
E proruppe all’eccidio
quando a gara esecrabile
con l’orrendo imprecar, sospinse, o misero,
i proprî figli. Onore, onore al giovine
che morí per la patria. Egli retaggio
lasciò a Creonte d’ululi,
ma procurò vittoria
fulgidissima ai claustri
delle torri settemplici.
Aver potessimo
deh, figli simili,
o Palla, che al dragon traesti l’ícore
col lancio del macigno.
Tu tramutasti in opera
quanto volgea nell’animo
Cadmo: onde poi la furia
piombò su Tebe d’un Iddio maligno.