Le Fenicie (Euripide - Romagnoli)/Terzo episodio

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Terzo episodio

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Euripide - Le Fenicie (410 a.C. / 409 a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1928)
Terzo episodio
Secondo stasimo Terzo stasimo
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


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Giunge Tiresia, guidato da un fanciullo. Cinge una corona d’oro. Lo accompagna anche Meneceo.

tiresia

Guidami, o figlio, avanza. Al cieco piede
occhio sei tu, come ai nocchieri un astro:
volgi i miei piedi ove pianeggia il suolo,
ché cader non si debba, e innanzi muovi.
Non ha piú forza, il padre. E le assicelle
ove i responsi degli uccelli scrissi
dal sacro seggio, ov’io traggo gli oracoli,
tu custodisci nelle man’ virginee. —
O figliuol di Creonte, o Menecèo,
dimmi quanta ancor via resta per giungere
a Tebe, al padre tuo: stanco è il ginocchio
mio, che mal regge ad un assiduo passo.

creonte

Fa’ cuor Tiresia: ché agli amici presso
approda il piede tuo. Figlio, sorreggilo:
ché quasi un carro è il pie’ dei vecchi, e attende
l’aiuto d’altrui man che lo sospinga.

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tiresia

Creonte, ecco, son qui: perché m’hai fatto
chiamar con tanta fretta?

creonte

                                        Or lo saprai.
Ma raccogli il respiro, pria, recupera
le forze, della via scaccia l’affanno.

tiresia

Dalla fatica affranto son: ché ieri
tornato son dagli Erettídi. Ardeva
una guerra anche lí, contro le schiere
d’Eumolpo; e in grazia mia, fu la vittoria
dei Cecròpidi; e mio fu, come vedi,
primizia del bottin, quest’aureo serto.

creonte

La tua corona come auspicio interpreto
di vittoria; poiché fra la procella
siam dei Dànai guerrieri, e pei Tebani
grande è il cimento; ed il re stesso, Etèocle,
contro la forza micenèa già muove
chiuso nell’armi. E a me lasciato ha il compito
di dimandare a te che cosa piú
per salvar la città far si convenga.

tiresia

Chiuse le labbra, se parlar dovessi,
per Etèocle terrei, terrei gli oracoli

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nascosti; ma per te, quando lo brami,
favellerò. Malata è questa terra,
dal dí che Laio figli procreò
contro il voler dei Numi, a luce diede
quei che fu sposo di sua madre, Edípo.
E fu degli occhi il sanguinoso strazio
voler dei Numi, e ammonimento all’Ellade.
E poi, col tempo, questi errori ascondere
voller d’Edípo i figli, e quasi al guardo
sfuggir dei Numi; e in grave errore incorsero:
ché non resero onore al padre loro,
e d’uscir gli contesero, e inasprirono
quell'infelice, che, malato, e privo
d’onore, contro lor scagliò terribili
imprecazioni. E allora io, che non dissi,
che non feci? E riscossi odio soltanto
dai figliuoli d’Edípo. Ora s’approssima
per reciproca mano a lor la morte.
E salme sovra salme al suol piombate
con gran mischio d’argive armi e cadmèe,
causa a Tebe saran d’amaro pianto.
Città misera, e tu sarai distrutta,
dove non sia chi quanto io dico adempia.
Ché questo il primo punto era: che niuno
dei figliuoli d’Edípo esser doveva
signor di Tebe o cittadino: ch’erano
invasati dal Dèmone, ed avrebbero
distrutta la città. Ma quando il male
sovra il ben prepoté, sola rimase
di salvezza una via; né dirla io posso
sicuramente; e a chi regge il potere,
sarebbe amaro procurare il farmaco
della salvezza a Tebe. E dunque, io parto.

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Salvete. Il mal che giungerà con gli altri,
patirò, quando occorra. Altro non posso.
Fa per allontanarsi.

creonte

Vecchio, rimani qui.

tiresia

                                   Non trattenermi.

creonte

Mi fuggi tu?

tiresia

                              Non io, ma la fortuna.

creonte

Dimmi come salvar Tebe e i Tebani.

tiresia

Ora tu vuoi? Ma presto non vorrai.

creonte

Come? Salvar la patria mia non voglio?

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tiresia

Udir dunque tu vuoi? N’hai dunque fretta?

creonte

E per che si potrebbe aver piú fretta?

tiresia

I miei responsi dunque udrai; ma prima
chiaro saper ciò voglio: Menecèo,
il figlio tuo che qui m’addusse, ov’è?

creonte

Non lontano di qui, vicino a te.

tiresia

Vada or lungi, e non oda i miei responsi.

creonte

Tacerà, dove occorra; è figlio mio.

tiresia

Dunque, tu vuoi che innanzi a lui ti parli?

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creonte

Vie di salvezza udir, lo farà lieto.

tiresia

Dei miei responsi ascolta dunque il tramite:
per la patria immolar Menecèo devi,
il figlio tuo: ciò che bramavi or sai.

creonte

Che discorsi fai tu, vecchio? Che dici?

tiresia

Quello ch’è d’uopo far, tu far lo devi.

creonte

Ahi, quanto male in un sol punto hai detto!

tiresia

Per te mal: per la patria, alma salvezza.

creonte

Non sento, non udíi: Tebe precipiti.

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tiresia

Quest’uom lo stesso non è piú: rifiuta.

creonte

Va’: bisogno non ho dei tuoi responsi.

tiresia

Vero il vero non è, se ti danneggia.

creonte

Per le ginocchia tue, pei crini bianchi.....

tiresia

A che mi preghi? È il male inevitabile.

creonte

Taci: a Tebe non dar tali responsi.

tiresia

Colpevole mi vuoi? Tacer non posso.

creonte

Che vuoi tu farmi? Uccidere mio figlio?

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tiresia

Ad altri spetta farlo: io l’avrò detto.

creonte

D’onde tal male al figlio, a me provenne?

tiresia

Onesta è la domanda, e a buon diritto
tu m’inviti a parlar. Deve costui,
nello speco sgozzato, ove, custode
delle Ninfe Dircèe, visse il terrígeno
dragone, offrire il suo purpureo sangue,
sacro libarne al suol di Cadmo, l’ire
di Marte antiche ad espïar, che vendica
del dragone la morte. Ed alleato,
se ciò farete, avrete ognora Marte.
E se, frutto per frutto, umano sangue
per sangue, avrà la terra, ognor benevolo
il suolo a voi sarà, che un dí la spiga
degli Sparti vi diede elmetti d’oro;
ed un figlio morir deve che nato
sia dalla stirpe che dai denti avulsi
crebbe del drago. Or tu solo rimani
di quella stirpe germine incorrotto
e di padre e di madre, e i tuoi figliuoli.
Ma, che s’immoli Emóne proibiscono
le nozze: piú garzone egli non è:
ché, se non giacque con la sposa, il talamo

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è pronto già. Questo fanciullo solo
v’è, sacro alla città, che con la vita
salva la patria sua fare potrebbe.
Un ritorno ben duro avranno Adrasto
e gli Argivi per lui: ch’esso la Parca
livida getterà sulle lor pàlpebre,
e Tebe illustrerà. Sceglier fra i due
or devi tu: salvar la patria, o il figlio.
Quanto volevi or sai tutto. — O figlio,
or tu guidami a casa. — Oh, quei ch’esercita
degli oracoli l’arte, è troppo stolto:
se infesti eventi egli predice, inviso
riesce a quelli a cui li presagí:
se invece per pietà dice menzogne,
offende i Numi. Febo sol dovrebbe,
che nulla teme, dar responso agli uomini.

corifea

Perché taci, Creonte, e il labbro serri?
Non men di te me lo stupor percosse.

creonte

Dire che mai potrei? La mia risposta
ben s’indovina. Sciagurato mai
non sarò tanto, che alla patria immoli
il figlio mio. Sinché vivono, gli uomini
amano i figli; e niun concederebbe
che fosse ucciso il figlio suo. Non venga
ad esaltarmi alcuno, allor che uccisi

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abbia i miei figli. Io stesso sono pronto,
poiché nel fiore della vita io sono,
a dar la vita per salvar la patria.
Orsú via, figlio mio, prima che tutto
apprenda la città, poni in non cale
le temerarie profezie dei vati,
e fuggi prima che tu possa, e lascia
questa terra: ché certo ora alle sette
porte ei si reca, e ai capitani, e dice
i suoi responsi ai condottieri e ai principi.
Salvo sarai, se noi lo preverremo:
se no, siamo perduti, e tu morrai.

meneceo

Fuggire? E a qual città? Presso quale ospite?

creonte

Dove piú lungi da Tebe tu sia.

meneceo

Giusto è che tu lo dica; ed io vi andrò.

creonte

Delfi traversa e fuggi.

meneceo

                                        E dove, o padre?

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creonte

Nell’Etolia.

meneceo

                              E di lí, poi, dove andrò?

creonte

In Tesprozia.

meneceo

                         
                              A Dodóna? All’are sacre?

creonte

Appunto.

meneceo

                              E lí, quale difesa avrò?

creonte

Quella del Nume che ti guida.

meneceo

                                                       E donde
denaro avrò?

creonte

                              Dell’oro io ti darò.

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meneceo

Ben dici, o padre. Or va. Da tua sorella
mi recherò frattanto io, da Giocasta,
onde il latte succhiai, che di mia madre
privato io fui bambino, orfano fui,
per salutarla e per condurmi in salvo.
Ma va’: non fare ch’io per te ritardi.
Creonte s’allontana. Meneceo si rivolge al coro.

Donne, cosí del padre ogni sospetto
sventai coi miei discorsi, onde ora posso
effettuare il mio disegno. Ei vuole
allontanarmi, e la città privare
della salvezza, e indurmi a codardia.
E perdonar bisogna un vecchio; ma
io di perdono degno non sarei,
se tradissi la patria onde pur nacqui.
Io dunque andrò, sappiatelo, farò
salva la mia città, darò la vita
per questa terra. Assai turpe sarebbe,
se quei che immuni sono d’ogni oracolo,
né son costretti dal voler dei Dèmoni,
saldi alle torri innanzi rimanessero,
senza schivar la morte, e combattessero
per difender la patria; ed io, tradito
il mio fratello, il padre mio, la patria,
dalla terra fuggissi a mo’ d’un vile:
vile, ovunque vivessi, io sembrerei.
No, per Giove che siede in mezzo agli astri,
e per Marte cruento, onde gli Sparti
dal suol nati, di Tebe ebber l’impero.
Andrò, starò sovra gli eccelsi spalti,

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e nel profondo oscuro antro del drago
che il profeta indicò, m’ucciderò,
e la patria farò libera. Ho detto.
Vado, ed offro la vita alla mia terra,
non spregevole dono; e sanerò
questo suolo dal morbo. Ove ciascuno
quanto di bene conseguir potesse,
a vantaggio comun della sua patria
l’adoperasse, men di male avrebbero
gli stati allora, e prosperi vivrebbero.
Esce.